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Ricorda 1999: Seattle e il movimento no-global

È il 30 novembre del 1999 quando a Seattle, durante i giorni in cui si teneva l’incontro della WTO (World Trade Organization), avvengono i famosi scontri tra le organizzazioni aderenti al movimento no-global e la polizia. L’evento viene considerato da molti la pietra miliare della fondazione del movimento no-global.

Che cos’è il movimento no-global

Il movimento no-global, che fu l’agente principale degli eventi di Seattle, è un movimento di persone e associazioni unite tra loro dalle istanze anti-globalizzazione, ma senza un vero e proprio coordinamento unico che unisca le diverse forze che vi partecipano, e costruito dal basso. Per questi motivi, viene tradizionalmente considerato come un grassroot movement, ovvero un movimento della società civile nato dal basso.

Nato verso la fine del XX secolo, con le prime manifestazioni che avvennero già nel 1988 a Berlino Ovest, durante un meeting del Fondo Monetario Internazionale, il movimento continuò a svilupparsi negli anni ’90. I raduni avvenivano sempre in concomitanza di importanti summit di istituzioni internazionali, sfruttati strategicamente dai manifestanti in quanto simbolo del potere delle élite che, non elette direttamente dal popolo, impongono le loro politiche e una globalizzazione dall’alto, riducendo la forza politica delle comunità locali e nazionali.

Il movimento, quindi, si caratterizza per una forte opposizione alla globalizzazione, in quanto processo che toglie potere alle persone, alle associazioni e alle comunità, aumenta le disuguaglianze economiche e sociali, danneggia l’ambiente e accresce il divario tra il Nord e il Sud del mondo. L’opposizione riguarda in particolare le politiche neoliberali, responsabili, agli occhi degli attivisti del movimento, della crescita delle disuguaglianze avvenuta dagli anni ’70 in poi. In contrapposizione alla globalizzazione, viene proposto un cambio di sistema, spingendo per la creazione di un mondo più equo, giusto e solidale.

La lotta alle disuguaglianze, al nuovo imperialismo combattuto con mezzi economici e militari, al sistema internazionale diventano i punti cardine delle rivendicazioni della miriade di associazioni che si uniscono sotto l’ombrello che racchiude il vastissimo movimento no-global. Oltre ai governi e alle istituzioni internazionali, i target principali delle critiche diventano le multinazionali, colpevoli dello sfruttamento economico e sociale delle persone, in particolare nel sud del mondo.

Le tappe verso il 30 novembre 1999

Come detto, il movimento no-global non ha una gerarchia, un coordinamento stabile o una struttura istituzionale. È, piuttosto, un insieme di associazioni che provengono da esperienze molto diverse, ma che portano avanti insieme una causa comune, ovvero quella della lotta alla globalizzazione. Non ci sono, quindi, al suo interno, confini netti, ma solo alcune idee condivise da tutti i membri che si riconoscono nel movimento.

Prima dei fatti di Seattle, c’erano state altre occasioni in cui il movimento si era riunito, sempre in concomitanza di vertici governativi, per manifestare. Altri appuntamenti importanti che precedettero Seattle furono Parigi 1989, Madrid 1994, e le manifestazioni del 1999 avvenute in diverse città, tra le quali quali Londra e Colonia, dove si teneva il vertice del G8 annuale.

Cruciale, nella creazione di questo movimento e di queste insolite alleanze, furono il Direct Action Network (DAN), un forum che riuniva alcune associazioni antiglobaliste, soprattutto anarchiche, e il People’s Global Action (PGA), un network globale di gruppi sociali e movimenti dal basso anticapitalisti. Entrambi confluirono nelle proteste di Seattle, e continuarono poi a essere membri attivi del movimento no-global negli anni 2000.

Queste furono dunque le tappe di avvicinamento al 30 novembre 1999, quando circa 40 mila persone si riversarono nelle strade di Seattle in occasione del vertice della WTO. Tra di loro, persone di tutte le età, con diversi percorsi politici – lo spettro comprendeva una miriade di associazioni, dai gruppi religiosi agli anarchici, passando per sindacati e associazioni per i diritti civili. Tra questi, pur non distinguendosi una leadership vera e propria o un gruppo di maggiore spicco, il coordinamento era reso possibile dai sopracitati network transnazionali (PGA, DAN), dalla prima diffusione delle nuove tecnologie di comunicazione e dalla convergenza di ideali tra tutte le associazioni. Pur con le proprie differenze, che risaltavano sia nei metodi di protesta che negli obiettivi politici, tutti i gruppi del movimento no-global riuscirono a ricomporre qualsiasi frattura ideologica, unendosi sotto l’ombrello comune della lotta contro le politiche della globalizzazione.

I fatti di Seattle

Il giorno del vertice, le strade della città nordamericana di riempirono di manifestanti, mentre membri di associazioni aderenti al Direct Action Network occuparono in modo nonviolento diverse intersezioni chiave tra le vie principali di Seattle, soprattutto nella zona attorno al centro conferenze in cui si teneva il vertice. Alcuni gruppi di manifestanti isolati, poi definiti dai media “black block“, commisero alcune azioni di vandalismo, che non ebbero però seguito.

La situazione sfuggì presto di mano alla polizia locale, che non riuscì a sfondare i blocchi imposti dai manifestanti. Nonostante l’impiego di spray al peperoncino, lacrimogeni, granate stordenti da parte dei reparti antisommossa, fu impossibile ripulire le strade in tempo per le riunioni. Alle 12 dello stesso giorno, il WTO cancellò la cerimonia di inaugurazione del vertice, vista l’impossibilità per i delegati di raggiungere il centro conferenze. In vista degli scontri previsti anche per il giorno successivo Paul Schell, sindaco di Seattle, dichiarò lo stato di emergenza, chiamando due reparti della Guardia Nazionale a supporto, imponendo un coprifuoco e limitando le zone accessibili per le proteste, soprattutto nell’area attorno al centro.

Il giorno seguente, gli agenti formarono un cordone attorno alla cosiddetta no-protest zone, impedendo il passaggio dei manifestanti. Durante il giorno, i manifestanti si scontrarono con la polizia, che impiegò spesso metodi piuttosto violenti per soffocare le proteste, e molti civili furono attaccati dalla polizia, pur non avendo alcun ruolo attivo nelle manifestazioni, in un clima che ormai era diventato molto pesante. Alla fine della giornata, la polizia arrestò più di 500 persone.

Il movimento-no global dopo Seattle

La mobilitazione di Seattle, pur non essendo la prima manifestazione dei no-global, fu quella che per prima ebbe una risonanza mondiale e che vide una partecipazione e un’organizzazione ben strutturate. Il movimento no-global, negli anni successivi, continuò a sfruttare le riunioni delle istituzioni internazionali per organizzare i propri cortei, come avvenne a Davos, Napoli e Goteborg nel 2001. Il culmine del movimento si raggiunse poi con gli eventi del G8 di Genova, sempre nel 2001, diventati famosi per gli abusi commessi dalle forze dell’ordine che hanno portato Amnesty International a dichiarare l’evento “la più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale”.

Seattle fu quindi la scintilla che innescò un movimento diffuso in tutto il globo, incredibilimente inclusivo e che per qualche anno fu al centro del dibattito politico, diventando parte del linguaggio e della cultura mainstream. Tuttavia, la continua repressione dei no-global, e l’indifferenza delle istituzioni per le loro idee, ha portato negli anni alla disgregazione del movimento, che ha subito il colpo più duro e decisivo proprio a Genova. Nato con grandi speranze e ambizioni, alla fine questo non è riuscito a tramutare la propria agenda in concrete azioni politiche, anche se le responsabilità maggiori sono della politica e di chi avrebbe dovuto, dal 1999 in poi, comprendere e accettare le istanze dei no-global. Questi, infatti, avevano anticipato gran parte delle problematiche che sono diventate, oggi, sfide urgenti da risolvere, su tutte la questione ambientale e le disuguaglianze.

Fonti e approfondimenti:

Burgess, J. “Violence Breaks Out at Seattle WTO Meeting”, Washington Post, 30/11/1999.

Hardt, M., “What the Protesters in Genoa Want”, The New York Times, 20/07/2001.

Warden A. “A Brief History Of The Anti-Globalization Movement”, University of Miami International and Comparative Law Review, 2005.

 

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