La banca più potente del mondo – Le politiche monetarie della FED

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

La Federal Reserve System, comunemente denominata FED, è una struttura privata indipendente dal governo statunitense che persegue tuttavia interessi pubblici. Ad oggi, è forse l’istituzione che più al mondo è in grado di influenzare i mercati con le proprie decisioni. Tra le funzioni principali vi sono in ordine decrescente:

  1. Condurre la politica monetaria della Nazione promuovendo:
    • il massimo impiego
    • la stabilità dei prezzi
    • il controllo dei tassi d’interesse
  2. Aiutare a mantenere la stabilità del sistema finanziario USA
  3. Regolare e monitorare le attività delle istituzioni finanziarie
  4. Promuovere la sicurezza e l’efficienza dei sistemi di pagamento
  5. Promuovere la tutela dei consumatori

 

Come funziona: un sistema decentralizzato

Fin dall’approvazione del Federal Reserve Act del 1913, i costituenti rifiutarono l’idea di una singola banca centrale, optando per tre entità principali che compongono oggi il sistema FED: il Board of Governors (BoG), le dodici Federal Reserve Banks e il Federal Open Market Committee (FOMC).

Il Congresso degli Stati Uniti monitora i tre organi principali e attraverso il presidente, coadiuvato dal Senato, nomina i sette governatori membri del BoG, che perseguono l’obiettivo di supervisionare le dodici banche che coprono il territorio nazionale. I sette governatori, il presidente della FED di New York e, a rotazione, altri quattro degli undici presidenti delle FED Banks compongono invece il FOMC, che è responsabile per la definizione delle politiche monetarie attuate dalla FED.

 

Le politiche monetarie degli ultimi anni

Pre-Crisi

All’inizio del terzo millennio, l’economia a stelle a strisce era “annebbiata” dalla recessione causata dalla bolla speculativa delle dot-com e dal successivo calo delle performances azionarie, ma anche da situazioni geopolitiche incerte in seguito agli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 e della imminente invasione in Iraq. Ciò ha spinto il FOMC ad abbassare il tasso di riferimento, e, di conseguenza anche il federal funds rate (ffr), ovvero il tasso d’interesse a brevissimo termine (overnight) utilizzato nei prestiti interbancari e determinato in parte dal mercato ma condizionato dal tasso di riferimento stabilito dal FOMC.

Il ffr è crollato dal 6,5% di fine 2000 all’1,75% a fine 2001 per raggiungere il record negativo del 1% nel giugno 2003 fino al giugno 2004. Un tale ribasso rende il costo dei prestiti interbancari meno esoso e, di conseguenza, aumenta la liquidità nel mercato. La politica monetaria espansiva è durata fino al giugno 2004, nonostante l’economia statunitense si fosse già ripresa nel 2002, con una crescita media del PIL del 3% fino al 2005, un grande tasso d’inflazione, una riduzione della disoccupazione e buoni rendimenti sui mercati finanziari. Tuttavia il FOMC decise di attuare una politica monetaria restrittiva solo a partire da metà 2004, iniettando nel mercato smisurate quantità di denaro.

La FED avviò una politica monetaria eccessivamente espansionistica, mentre diverse istituzioni finanziarie – non abbastanza monitorate – attuavano pratiche creditizie rischiose, creando aspettative irrazionali tra gli investitori. Questi trend, insieme alle ingenti liquidità nei mercati, resero la situazione finanziaria sempre più insostenibile.

Il basso costo del denaro spinse i soggetti intermediari a concedere prestiti a soggetti subprime, ovvero immeritevoli perché con bassa affidabilità creditizia. Allo stesso tempo, i prezzi delle abitazioni statunitensi continuavano a crescere vertiginosamente dal 1998, andando quasi a raddoppiare in soli otto anni. Tale connubio formò una bolla speculativa che la FED tentò di mitigare nel giugno 2006 con un aumento del ffr al 5,25%, rendendo le rate dei mutui subprime insostenibili. Il successivo crollo dei prezzi immobiliari portò a numerose insolvenze. La bolla speculativa era scoppiata.

 

Durante la Crisi

La grande diffusione dei titoli tossici subprime (spesso nascosti in strumenti finanziari molto più complessi) e l’interconnessione del sistema finanziario globale fecero fallire istituti di credito fino ad allora considerati too big to fail e allargarono presto la Crisi oltre i confini nazionali. In tutto il mondo l’ondata di sfiducia si tradusse in una crisi del credito, che a sua volta causò crolli di borse, consumi, investimenti e crescita.

La situazione drammatica portò la FED a rivedere le sue scelte passate. L’intervento fu tempestivo e massiccio. Poco dopo il crollo del colosso Lehman Brothers nel settembre 2008, la FED attuò misure monetarie di quantitative easing (acquisto di titoli – molti dei quali tossici – sul mercato, stampando moneta), talmente espansive da iniettare negli istituti di credito quasi 7.700 miliardi $ a tasso prossimo allo zero. Il ffr sfiorò infatti lo 0% ad inizio 2009 dall’oltre 5% del 2007. La mossa si rivelò un successo, tanto che gli Stati Uniti uscirono dalla Grande Recessione già alla fine del 2010.

 

Post-Crisi

Negli anni post-crisi, la FED ha perseguito una politica monetaria accomodante (il tasso di riferimento oscillava tra lo 0 e il 0,25%). Tramite diverse forme di quantitative easing e grazie a politiche monetarie non-tradizionali come la forward guidance, ha provveduto a comunicare pubblicamente, attraverso i membri del FOMC, come intende adeguare la politica futura, influenzando le decisioni sui mercati senza de facto implementare delle manovre.

Solo a fine del 2015, quando l’obiettivo chiave della FED di un tasso di disoccupazione soddisfacente è stato centrato, si è avviato il processo di normalizzazione del bilancio, che si era gonfiato smisuratamente dopo i molteplici interventi di quantitative easing. Il tasso di riferimento fu aumentato di 25 punti base (dallo 0-0,25 allo 0,25-0,5%).

 

Oggi

La politica monetaria di normalizzazione è andata avanti progressivamente arrivando al 2,5% a fine 2018. Il 31 luglio 2019, per la prima volta dopo l’abbassamento del 2008, la FED ha abbassato il tasso d’interesse di riferimento di 25 punti base al 2-2,25%.

Pesano infatti le previsioni di una scarsa inflazione, un leggero rallentamento del PIL. Tuttavia la disoccupazione statunitense è ai minimi storici e la FED ha annunciato che interromperà la riduzione di bilancio ricominciando a reinvestire i titoli di Stato per 20 miliardi $ dal 1 agosto.

Molti analisti si domandano se tale misura è strettamente necessaria: certo è che le pressioni del presidente Trump contro la politica di normalizzazione pesano come un macigno sulla scelta della FED.

 

 

Fonti e approfondimenti

The Federal Reserve System. 2019. Overview of the Federal Reserve System. Washington D.C., The Federal Reserve System Purposes & Functions

The Federal Reserve System. 2019. Conducting Monetary Policy. Washington D.C., The Federal Reserve System Purposes & Functions

The Federal Reserve System. 2019. Monetary Policy and the Housing Bubble. Atlanta, Speech of Chairman Ben S. Bernanke at the Annual Meeting of the American Economic Association.

Borsa Italiana, “BCE e FED: Differenze di obbiettivi a cavallo dell’Atlantico”, Borsa Italiana, Consultato il 07/09/2019.

Sorrentino, R., “Perché la Fed è pronta a tagliare i tassi”, Il Sole 24ore, 31/07/2019.

Sorrentino, R., “La Fed taglia i tassi di un quarto di punto al 2-2,25%: prima volta dal 2008. Trump «deluso» da Powell”, Il Sole 24ore, 31/07/2019.

Ricci, N., “La politica monetaria della Federal Reserve dal 2000 a oggi. Un’analisi controfattuale della Taylor’s rule.”, Tesi Luiss Guido Carli, 2015.

 

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