La Via tra Cina e UE: l’Unione divisa

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Le relazioni tra Cina e Unione Europea sono cambiate radicalmente dal lancio della Belt and Road initiative (BRI). Con l’aumentare della presenza cinese in Europa, Bruxelles ha assunto una posizione più assertiva nei confronti degli accordi bilaterali tra Pechino e gli Stati membri dell’UE, sostenendo un approccio multilaterale e gli standard dell’UE. La BRI ha diviso l’UE tra Paesi che sostengono una posizione più dura nei confronti del “rivale sistemico, come Francia e Germania, e altri che sono aperti a instaurare stretti legami politici e di investimento con Pechino, tra cui l’Italia, l’Ungheria e la Grecia.

 

UE occidentale, restia alla BRI

Se, al momento del lancio, la Belt and Road Initiative (BRI) era vista come un’opportunità (per quanto indefinita) per la ripresa economica europea dopo le crisi dell’Eurozona, col tempo ha suscitato diverse preoccupazioni. Seguendo un approccio “wait and see”, l’UE ha velocemente capito che – malgrado le promesse di sviluppo globale – la BRI comporta sfide scoraggianti, in contrasto con l’agenda dell’UE che favorisce la liberalizzazione del commercio.

L’Unione ha delineato il suo nuovo approccio nel recente documento EU-China strategic outlook. Da “partner strategico”, per più di 15 anni nel gergo dell’Unione, La Cina è diventata un “partner negoziale” con cui è necessario trovare un equilibrio di interessi.  Addita la Cina come “concorrente economico” nel perseguimento della leadershiptecnologica, e come un “concorrente sistemico” che promuove modelli di governancealternativi.

In particolare, Francia e Germania sono i Paesi dell’UE più restii al crescente sviluppo della Cina sul territorio europeo. Preoccupati per la mancanza di reciprocità in termini di accesso al mercato (ad esempio in settori ristretti come gli appalti pubblici, i servizi digitali, le telecomunicazioni e i servizi finanziari) e la mancanza di un contesto normativo affidabile e trasparente per gli investitori e investimenti, hanno reagito e si sono fatti promotori di un nuovo meccanismo di screening per gli investimenti esteri. Entrato in vigore lo scorso aprile, il nuovo quadro contribuisce a salvaguardare la sicurezza, l’ordine pubblico e gli interessi strategici dell’Europa nel contesto degli investimenti esteri nell’Unione.

 

I Paesi orientali e centro-meridionali, più flessibili 

Sottolineando la sua strategia a lungo termine, l’obiettivo della Cina è accedere alle economie fondamentali dell’Europa, assumendo contemporaneamente il controllo strategico dei principali porti marittimi come punti di entrata per i prodotti cinesi. Tuttavia, data l’evidente difficoltà nell’instaurare una collaborazione approfondita coi Paesi dell’Europa centro-occidentale, Pechino ha lentamente penetrato il continente partendo dalla periferia più “malleabile”: i Paesi orientali e centro-meridionali.

Paesi come Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Grecia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Slovacchia e Slovenia hanno visto negli investimenti cinesi in grandi progetti infrastrutturali un’occasione per rafforzare l’occupazione e le loro economie locali. A causa del rallentamento economico, della crisi del debito pubblico e della riduzione delle risorse finanziarie, soprattutto nell’Europa meridionale, la privatizzazione delle società di trasporto pubblico è diventata sempre più comune. Questa tendenza ha incoraggiato la cooperazione cinese con i governi e le imprese locali.

 

La Grecia

Ad esempio, la privatizzazione del porto di Pireo, ad Atene, ha visto l’acquisizione del 67% delle sue quote da parte dell’azienda statale cinese COSCO Shipping. Se da una parte, la compagnia cinese detiene la maggioranza delle azioni e ha il potere decisionale sul porto ellenico, collegamento marittimo strategico, dall’altra parte questo investimento ha contribuito a rafforzare il PIL greco e a renderlo un hub strategico nella regione.

Al summit di Dubrovnik (11-12 aprile 2019), la Grecia è diventata il 17° membro della piattaforma di cooperazione precedentemente conosciuta come “16+1. Atene intende servirsi del forum per valorizzare ulteriormente il ruolo del Pireo quale snodo marittimo di riferimento della BRI nel Mar Mediterraneo. L’utilità logistica del porto dipende, infatti, dallo sviluppo della rotta ferroviaria nei Balcani, da collegare poi alla rete infrastrutturale del Nord Europa.

 

Il Portogallo

La notizia dell’impegno formale dell’Italia, nel quadro della BRI, ha fatto indubbiamente molto scalpore, ma – prima del “Bel Paese” – altri 13 Stati membri dell’UE hanno firmato accordi bilaterali con Pechino, diventando membri della BRI. Da allora, Ungheria (2015) e Grecia (agosto 2018) hanno aderito come membri della BRI firmando un memorandum d’intesa.

Poco prima dell’adesione italiana, la firma del Portogallo lo scorso gennaio ha rappresentato il «primo Paese dell’Europa occidentale» ad accettare, di fatto, la nuova idea di globalizzazione cinese. La priorità di lungo periodo di Lisbona è conciliare la stabilità economica e politica del Paese con l’identità atlantica e le storiche proiezioni extra-europee.

 

L’Italia

Se l’Italia non è stato il primo membro dell’UE ad abbracciare la BRI, è però una delle maggiori economie dell’UE, oltre che suo membro fondatore, e unico membro del G7.

Il protocollo d’intesa tra Cina e Italia è un documento molto ambizioso (sebbene non giuridicamente vincolante), che mira a una partnership strategica che copra una vasta gamma di settori, come commercio, investimenti, finanza, trasporti, logistica, infrastrutture, connettività, sviluppo sostenibile, mobilità e cooperazione, anche con paesi terzi. L’area delle telecomunicazioni sembra essere stata esclusa dall’accordo.

L’ex governo italiano giallo-verde ha sostenuto che questa formalizzazione avrebbe aiutato l’Italia a ridurre il suo deficit commerciale bilaterale con la Cina, che nel 2018 era di circa 12,1 miliardi di dollari. Tuttavia, Paesi come Francia e Germania che non hanno ufficialmente aderito all’iniziativa, hanno un commercio molto più bilanciato con la Cina. Inoltre, i 13 i Paesi europei che hanno già firmato un MoU con Pechino hanno lamentato, sin da subito, come le opportunità economiche promesse non si siano mai concretizzate.

 

La sfida dell’UE

Queste ultime evoluzioni hanno rappresentato per la Cina un costante avvicinamento alle maggiori potenze dell’UE e, quindi, una crescente legittimazione.

“La Cina di oggi è già in un nuovo punto storico. Nonostante i successi, ci sono ancora montagne che devono essere ridimensionate.”

Sono le parole del presidente cinese Xi Jinping alla seconda edizione del BRF, il Belt and Road Forum, tenutosi lo scorso aprile a Pechino. All’appuntamento internazionale, la Cina ha tentato di assicurarsi un ulteriore avvicinamento alle maggiori potenze UE promettendo un approccio più flessibile nel quadro della BRI, l’apertura  dei mercati nazionali, una maggiore trasparenza degli investimenti esteri e una facilitazione delle barriere all’importazione e doganali.

Malgrado queste promesse rappresentino le richieste dei principali Paesi dell’UE, non è scontato che questi cedano alla tentazione: fino ad oggi, hanno preferito collaborazioni e accordi senza minare l’unità dell’Unione. Nonostante gli approcci discordanti degli Stati membri nei confronti della BRI, la sfida per l’Europa è creare un fronte unito a una Cina che può danneggiare l’Unione Europea, attraverso una vera e propria politica di divide et impera.

 

 

Fonti e approfondimenti

European Commission, “EU-China: a strategic outlook”, 12 marzo 2019.

Federico Petroni, “La Cina “rivale sistemico” è un avvertimento dell’Ue all’Italia”, Limes, 13 marzo 2019.

Liu Zhen, “Italy aims to be China’s first G7 partner on belt and road”, SCMP, 22 settembre 2018.

Simone Pieranni, “La Belt and Road divide l’Ue”, Il Manifesto, 12 dicembre 2018.

 

 

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