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Oltre la repressione: i trascorsi di potere dei militari in Cile

Di Antilla Fürst e Francesca Rongaroli

No son treinta pesos, son treinta años.
Quando a Santiago gli studenti hanno iniziato a protestare per l’aumento del prezzo del trasporto pubblico, era difficile intuire la portata del movimento che si sarebbe scatenato. O forse no. Forse era già chiaro nella coscienza di milioni di cileni che il meccanismo era da tempo sul punto di saltare, che trent’anni di transizione democratica incoerente avevano fatto troppi danni in termini di disuguaglianza sociale ed economica. Solo che il governo preferiva raccontare una storia diversa, secondo la quale il Cile rappresenta un modello di sviluppo e ogni manifestazione di malessere cittadino non è che un caso isolato.

A due settimane dallo scoppio della grande mobilitazione cilena, è impossibile dubitare della storicità del momento, perché a essere messo in discussione è l’intero sistema e gli equilibri di potere che lo reggono. Sono stati giorni segnati da manifestazioni oceaniche e rivendicazioni sempre più strutturate: in primo luogo, l’appello alla stesura di una nuova Costituzione e a un patto sociale più giusto. In tutto ciò, a partire dal 17 ottobre, la triste costante è stata la modalità con cui le forze armate hanno reagito alle manifestazioni in tutte le principali città del Cile.

Lo spettro del regime militare

Vedere carri armati e soldati in uniforme per le strade ha rievocato le peggiori immagini dal passato del Paese, ai tempi della dittatura. Anche oggi, come sappiamo, non si tratta solo di immagini ma di autentici traumi, che si sono concretizzati in pesanti violazioni dei diritti umani.

Se è vero che le proteste hanno gravemente danneggiato infrastrutture pubbliche e private, nel 2019 rimane scioccante assistere all’imposizione senza mezzi termini dello stato di emergenza e del coprifuoco (rispettivamente dal 18 e dal 19 ottobre). Di lì a poche ore, il presidente Piñera – affiancato dal ministro della Difesa Espina e dal generale Iturriaga del Campo – avrebbe poi pronunciato un discorso di inequivocabile appoggio all’operato delle forze dell’ordine, esordendo con la frase “siamo in guerra” e insistendo con la chiamata a “unirsi alla battaglia”.

Serve a poco che, da allora, la retorica del presidente abbia nettamente cambiato di registro. Restano i numeri delle violenze e degli abusi compiuti da Carabineros e militari, che sono da bollettino di guerra.
La Fiscalía de Chile (l’organismo responsabile delle indagini penali) ha rilevato che 23 persone hanno perso la vita durante le proteste, per quanto la cifra non ufficiale sia molto più elevata. La Fiscalía ha inoltre accertato 5 morti direttamente per mano delle forze armate e nei loro confronti ha ricevuto 840 denunce di violazioni dei diritti umani.

In parallelo, il report dell’Instituto Nacional de Derechos Humanos (aggiornato al primo novembre) denuncia 18 casi di violenza sessuale e 132 relativi ad altre forme di tortura. Secondo lo stesso report, più di 4000 persone sono state arrestate (anche in maniera arbitraria), di cui 475 minorenni. I feriti ospedalizzati sono stati circa 1500, 157 dei quali hanno subito gravi danni alla vista dovuti a proiettili e gas lacrimogeni.

La crudeltà sotto gli occhi di tutti

Il resoconto della violenza surreale che ha avuto luogo per le strade e nelle caserme è passato attraverso le riprese dei cellulari e grazie ai social network ha potuto essere trasmesso dal Cile al mondo. Come testimoniano le immagine e i racconti delle vittime, l’abuso di potere si è distinto più volte per la brutalità spropositata, aggravata da connotazioni di sessismo e omofobia. Le vessazioni riportate raccontano una sfrontatezza che può essere ricondotta solo alla consapevolezza dell’impunità.

È da menzionare che negli ultimi giorni di ottobre sono arrivate in Cile una missione di Amnesty International e una delle Nazioni Unite, precisamente per documentare le ripetute violazioni dei diritti umani e i crimini nel quadro del diritto internazionale. Gli organismi internazionali si erano già rivolti direttamente a Piñera, affinché rispettasse i motivi del dissenso e per esortarlo alla cessazione immediata dello scontro con i civili.

A trent’anni dalla destituzione di Pinochet e dalla fine del potere della giunta militare, viene da chiedersi come sia possibile che alle forze armate sia stata garantita una tale libertà di azione. Com’è possibile che la prima risposta istituzionale di fronte a una situazione di disordine sia la repressione violenta? Com’è possibile che la mancanza di trasparenza riguardo le responsabilità di Carabineros ed esercito li protegga dall’essere giudicati?
Molte risposte risiedono nello stretto legame con il potere esecutivo, ma la vera chiave di comprensione è la storia del Paese.

Una nazione nata dai militari

È da tenere presente che le province spagnole d’America hanno ottenuto l’indipendenza a seguito di vere e proprie guerre, nelle quali il rafforzamento delle milizie locali fu fondamentale per sconfiggere la madrepatria. Alla luce di queste circostanze, i primi governi erano costituiti dai vincitori e oltre alla classe burocratica dei tempi coloniali, includevano inevitabilmente la classe militare.
Nel contesto di neo-nazioni inizialmente in rovina, gli eserciti intrapresero azioni di violenza e di corruzione per sostentarsi, alimentando lo spirito di corpo autonomo che avrebbe continuato a contraddistinguerle. Queste circostanze trasformarono i soldati in uno strumento di mantenimento dell’ordine e allo stesso tempo aumentarono la percezione di insicurezza delle classi dirigenti civili.

Per quanto riguarda il caso cileno, il binomio tra militari e politica è sempre esistito. Scorrendo la lista dei presidenti del XIX secolo, risalta il fatto che fossero quasi tutti membri dello Stato Maggiore. Il Paese è stato dunque “creato” e rafforzato direttamente dalle forze armate.

Il bisogno di una sicurezza istituzionalizzata

Nell’immaginario collettivo nazionale si è formata l’idea di una minaccia latente contro la sicurezza e l’integrità del territorio. Questa visione è nata durante la guerra di indipendenza. Successivamente, si è rafforzata con la campagna della cosiddetta pacificazione dell’Araucanía, con le due guerre ottocentesche contro il Perù e la Bolivia, con le crisi di vicinato durante il XX secolo e infine per via delle ricorrenti catastrofi naturali. Davanti a queste situazioni, è stato sempre l’esercito a “riscattare” il Paese e questo ha creato l’illusione del bisogno di avere forze militari permanenti e professionalizzate.

Per celebrare le forze armate, ogni 19 settembre, da ben 187 anni a Santiago si tiene un’imponente parata militare, il cosiddetto Día de las Glorias del Ejército, in cui si rende omaggio ai soldati morti per la patria. Il 21 maggio invece è festa nazionale per la commemorazione della Battaglia di Iquique, avvenuta nel 1879 durante la Guerra del Pacifico. Questi due appuntamenti sono l’emblema del peso che continua a ricoprire l’esercito per i cileni, nel bene e nel male.

La frattura tra militari e politica

Bisogna aspettare più di cento anni dall’indipendenza per la prima frattura tra militari e Stato. Avvenne negli anni Trenta, con la rimozione dei militari dal governo e con l’umiliante istituzione di una milizia repubblicana per proteggere i governi da tentativi di golpe militari. Da quel momento, l’esercito si è sviluppato sullo sfondo della crescente opposizione politica e la sua autonomia è stata aiutata da una legge, ancora in vigore, che prevedeva che il 10% delle rimesse dell’esportazione di rame fossero destinate al suo finanziamento.
Tuttavia, la prima azione apertamente conflittuale arriverà solo nel 1969 (il cosiddetto Tacnazo), quando un gruppo di ufficiali assediò un reggimento di Santiago per esigere aumenti salariali e professionali, sfidando il governo.

A questa tendenza, e alla diffusa convinzione della necessità delle forze armate, si aggiunsero i principi di sicurezza nazionale dell’ideologia della Guerra Fredda, adattati ai discorsi dottrinari locali. In questo contesto, le forze armate attuarono il golpe del 1973 e instaurarono il regime dittatoriale che ha mantenuto il terrore per 17 anni, commettendo innumerevoli violazioni dei diritti umani.

Una transizione peculiare

La vera persistenza della sfera militare nell’attuale politica e società cilena è stata determinata non tanto dalla dittatura militare in sé, che è finita nel 1990, ma dalle modalità con cui è avvenuta la transizione alla democrazia.
In Cile non vi è stato il collasso del potere militare per via di un’azione esogena, né di un golpe interno: le forze armate hanno consegnato il potere all’ambito civile solo dopo aver imposto esse stesse le condizioni della transizione, assicurandosi importanti garanzie per il futuro e rimanendo nel retroscena politico. La Costituzione del 1980 , ancora oggi vigente, di fatto legittima e assicura la continuazione degli schemi politici ed economici da loro elaborati e normalizzati tramite l’assegnazione all’esercito della funzione di difesa.

In aggiunta, fu prevista l’impossibilità per il presidente di rimuovere i capi delle forze armate, la permanenza di Pinochet al comando dell’esercito, la legge Amnistía per i militari e il mantenimento di un certo grado di controllo sul potere giudiziario e sui partiti creati dai collaboratori civili del regime. La restaurazione della democrazia è dunque basata su molte restrizioni e retaggi di autoritarismo.

L’evoluzione nel riconoscimento dei crimini della dittatura

Nel 1991, l’Esercito ha rifiutato il rapporto della Commissione Rettig sugli abusi perpetrati durante il regime e le proprio responsabilità a riguardo.

Questo tipo di posizioni continuavano ad alimentare la distanza tra mondo civile e militare, ma il silenzio di quest’ultimo e dei suoi collaboratori si è progressivamente incrinato con l’arresto di Pinochet (Londra, 1998) e il conseguente rafforzamento dell’attività giudiziaria. Peraltro, alcuni esponenti delle forze armate hanno accettato di partecipare a dei tavoli di dialogo per ricostruire informazioni sui desaparecidos, sebbene il risultato sia un rapporto fatto di stime “incomplete”.
L’apertura del dialogo è apparsa possibile solo dal 2002, con la nomina del generale Emilio Cheyre a capo dell’esercito e il suo riconoscimento ufficiale delle responsabilità dell’istituzione nelle violazioni di diritti umani durante la dittatura. In seguito, le forze armate si sono rinnovate e dimostrate più collaborative, grazie all’accesso agli alti ranghi di coloro che non ricoprirono ruoli decisivi nel golpe. Purtroppo, nel 2018 Cheyre è stato condannato proprio per un crimine perpetrato durante il regime di Pinochet, rimettendo in questione gli avanzamenti nel dialogo tra mondo civile e militare degli ultimi 30 anni.

Lo stato delle garanzie al giorno d’oggi

Le garanzie delle forze armate hanno gradualmente perso la propria forza, ma non sono state cancellate e alcune sono persino diritti di rango costituzionale. In effetti, come si è visto recentemente, il potere legislativo ha ancora difficoltà a incriminare uomini in divisa e la ricerca della verità sui crimini della dittatura non è cessata. Inoltre, negli ultimi anni, l’autonomia e le prerogative delle forze armate sono tornati a far scalpore, soprattutto in seguito ai casi di corruzione che le hanno viste coinvolte. Se non bastasse, considerata l’urgenza di cambiare il sistema pensionistico creato da Pinochet, le pensioni privilegiate degli ex-militari, incluso di quelli condannati per crimini contro l’umanità, generano forti proteste.

Gli eventi delle ultime settimane riaprono per il Cile la ferita della memoria e sono la prova di quanto resti da fare prima che si possa parlare veramente di transizione alla democrazia. Il fatto che una parte delle forze armate continui a negare i crimini dell’ex-regime mette in chiaro la necessità di rivedere il ruolo e il peso del potere militare. 

Fonti e approfondimenti:

Felipe Agüero, La ciencia política y las relaciones Fuerzas Armadas, Estado y sociedad, in Revista de Ciencia Política. Volumen XXIII, University of Miami, 2003

Francesco Betrò, Coprifuoco, proteste e morti: cosa sta succedendo in Cile?, Lo Spiegone, 22/10/2019

P. V. Milet, Fuerzas Armadas y democracia en Cile, Nueva Sociedad, 2018

T. Moulian, Limitaciones de la transición a la democracia en Chile, in Proposiciones 25, Flacso, 1994

Gabriel Salazar Vergara, El «reventón social» en Chile – Una mirada histórica, Nueva Sociedad, 10/2019

Noam Titelman, Fuego y furia en el «oasis» chileno, Nueva sociedad, 10/2019

El Mostrador: INDH presenta querella contra Carabineros de Pedro Aguirre Cerda por tortura sexual y Ley Zamudio 26/10/2019

Nodal: Chile: Ministerio Público investiga 840 violaciones de DDHH y Piñera habla de “errores” y “excesos” 31/10/2019

Nodal: Abusos y violaciones por parte de policías y militares 01/11/2019

 

 

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