Jugonostalgija: la nostalgia di una patria perduta

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Abbiamo spesso parlato dei Balcani e della Jugoslavia, dei singoli Paesi dei Balcani occidentali e delle sfide che stanno affrontando per arrivare all’Unione europea, e delle fragilità istituzionali e politiche di alcuni tra questi. Oggi, però, rifletteremo su un aspetto che attraversa la penisola balcanica: la nostalgia per una grandezza perduta.

Ciò si è tradotto nell’esaltazione dell’arte jugoslava (o di cosa è sopravvissuto al conflitto) e di un passato glorioso (così come sta succedendo anche in Russia). D’altronde, abbiamo già avuto modo di osservare che ruolo ha svolto la storia come strumento di giustificazione politica. Eppure, cosa ci dice questa nostalgia del passato sul presente dei Balcani?

 

Tra identità e Ostalgie

In seguito allo smembramento dell’URSS e della Jugoslavia, la nascita dei nuovi Stati dell’Europa centro-orientale è stata accompagnata dalla tendenza a utilizzare la storia passata come elemento unificante, che fornisse al tempo stesso continuità e una nuova identità al nascente soggetto statale. L’unica eccezione fu la Germania che, dopo l’unificazione del 1990,  non ha visto il riemergere di narrazioni etniche, ma al contrario ha trasformato il superamento del divario tra Est e Ovest nel ritorno a una radice culturale e nazionale comune.

Eppure, è proprio nel contesto tedesco che fu coniato il termine “Ostalgie”, letteralmente “nostalgia dell’Est” (da Ost Nostalgie). Infatti, sin dall’immediata riunificazione, l’incontro in un’unica nazione di diversità culturali che avevano alle spalle quarant’anni di divisioni fu tale da creare un vero e proprio shock culturale. Molti tedeschi orientali non riuscirono a integrarsi nel nuovo sistema di valori proposti (o imposti) dall’occidente e ne nacque così una nostalgia per una dimensione passata, per una patria ormai perduta (in quel caso la DDR), per una quotidianità che distingueva il cittadino orientale da quello occidentale.

I molteplici profili interpretativi dell’Ostalgie sono accomunati dall’affermazione che tale fenomeno non sia da leggere come una volontà di ritorno al passato, ma piuttosto come uno strumento “autodifensivo di costruzione identitaria”. Infatti, le promesse della nascita di una nuova identità tedesca, forgiata dall’unione dei valori orientali e di quelli occidentali, furono presto disattese, creando un altro fenomeno, definito “disagio dell’unità”.

Pertanto, la scomparsa improvvisa del sistema dei valori della DDR fece nascere il bisogno di proteggere il ricordo del passato e di non rinnegare il modello socialista orientale. Ciò si tradusse, sotto il profilo “visivo”, nel riemergere di alcuni prodotti (beni alimentari oppure opere cinematografiche e televisive), che rappresentavano un nuovo modo di raccontare la DDR, in cui il focus della narrazione era spostato sulla vita quotidiana e non sul suo carattere repressivo.

 

L’emergere della jugonostalgija nello spazio jugoslavo

Se nel caso tedesco la nostalgia era per un soggetto scomparso in seguito alla nascita di un soggetto statale unitario, lo spazio geo-politico ex-jugoslavo fu attraversato da un fenomeno che andava nella direzione opposta: la nostalgia dell’unità (jugonostalgija, nostalgia della Jugoslavia). Ovviamente, non era pensabile rimpiangere la Jugoslavia nella fase immediatamente successiva alla violenta dissoluzione della Federazione. Infatti, dopo la nascita dei nuovi Stati indipendenti, le élites politiche al potere sfruttarono l’onda nazionalista per creare forti contrapposizioni identitarie e nuove narrazioni che imponevano la cancellazione del passato jugoslavo.

Eppure, la jugonostalgija emerse proprio in reazione alla conclusione dell’opera di sostituzione di un passato comune con una nuova memoria collettiva di tipo nazionale. Nonostante sia un fenomeno meno studiato rispetto all’Ostalgie, sono state individuate due definizioni principali di jugonostalgija. La prima identifica la jugonostalgija come la nostalgia per un passato jugoslavo, inteso come memoria collettiva e condivisa di una vita quotidiana socialista (cui è derivata la ricomparsa di vecchi prodotti jugoslavi); la seconda, invece, la definisce come nostalgia per un’esperienza politica e statale, ossia verso la Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia fondata da Tito nel 1945 ed esistita fino al 1991.

Come osserva anche la giurista Čarna Pištan, che ha analizzato i caratteri socio-culturali, politici e costituzionali della jugonostalgija, un’altra chiave di lettura interessante è invece quella che si sofferma su due categorie di nostalgia: la “nostalgia restauratrice” e la “nostalgia riflessiva”. La prima è fondata sul nostos, la ricostruzione di una patria perduta, mentre la seconda si basa sull’algia, sul ricordo di un luogo perduto. Pištan, inoltre, osserva che l’emergere di tale fenomeno indica un forte legame tra nostalgia e trauma. La difficoltà nell’affrontare un passato recente di estrema violenza e un presente di macerie (basti pensare al rogo della biblioteca di Sarajevo) fece scattare un meccanismo di nostalgia per ciò che c’era prima, un passato comune fatto di pace e convivenza.

In generale, la jugonostalgija si è comunemente tradotta nel rimpianto di un passato che pare migliore del presente. Infatti, davanti alle difficoltà politiche, economiche e sociali che lo spazio ex-jugoslavo sta vivendo, l’esperienza jugoslava viene privata delle sue valenze negative e viene identificata come un passato glorioso, quasi mitico: il Paese era potente, unito, guidato da un leader (il leader, Tito) forte, i servizi sanitari e l’educazione erano gratuiti, i diritti e le libertà erano garantite. Si rimpiange uno splendore perduto.

 

Gli spomenik, tracce del passato

Un’altra declinazione della nostalgia per il passato è la recente riscoperta dell’arte jugoslava, in particolare degli spomenik (“monumenti” in serbo-croato). Dopo la guerra di liberazione dall’invasione nazi-fascista, Tito diede inizio alla costruzione di opere d’arte di stampo modernista che celebrassero la lotta partigiana e la resistenza del popolo jugoslavo. Un’operazione imponente che portò alla creazione di migliaia di opere d’arte sparse per tutto il territorio della Jugoslavia, a indicare la grandezza degli ideali e dei valori di Fratellanza e Unità, propri del progetto politico jugoslavo.

Durante e dopo la dissoluzione, molti di questi monumenti furono abbandonati o distrutti, per completare l’opera di damnatio memoriae cui si accennava prima. Va sottolineato, però, che tali simboli erano (e sono tuttora) oggetto di sentimenti contrastanti che trovano le proprie radici nel carattere politico della nascita stessa della Jugoslavia. I sentimenti anti-jugoslavi, infatti, erano presenti ben prima del crollo della Federazione, in quanto non tutti accettavano di sottostare a un’entità statale di matrice comunista; allo stesso modo, durante e dopo il conflitto degli anni Novanta, gli spomenik erano diventati bersaglio degli attacchi di chi voleva liberarsi dal passato jugoslavo per abbracciare una nuova era.

Tuttavia, questi imponenti blocchi di cemento sono stati recentemente riscoperti dal grande pubblico e sono stati apprezzati dagli storici dell’arte e dell’architettura come espressione del cosiddetto “brutalismo, uno stile architettonico tipico degli anni Cinquanta e Sessanta. Nel loro essere decadenti e sparsi per uno spazio geografico e politico che non esiste più in forma unitaria, gli spomenik sono diventati il simbolo più concreto di una Jugoslavia che, nel bene e nel male, non esiste più, ma il cui ricordo, al tempo stesso, rimane sottotraccia nella memoria collettiva, anche grazie a questi monumenti, provocando una certa fascinazione agli occhi dei turisti e della “generazione Instagram”.

Di per sé, la jugonostalgija non è un fenomeno da temere, perché non indica la volontà di tornare al passato, ma sicuramente manifesta una profonda insoddisfazione per il presente. Le promesse di pluralismo politico e di prosperità economica che dovevano derivare dall’indipendenza dalla Repubblica federale sono state disattese, in quanto i partiti politici rimangono fortemente etno-nazionalisti e legati ai propri interessi, mentre l’economia continua a essere in transizione e tendenzialmente stagnante. A questa situazione si è reagito in modo molto diverso a seconda della generazione a cui si appartiene: quelle più giovani hanno scelto di lasciare il proprio Paese per vivere i benefici dell’Unione europea, mentre quella dei cittadini ex-jugoslavi, vissuti nell’epoca di Tito, rimpiange la vita sotto la Federazione e la figura del Maresciallo come pater patriae.

 

 

Fonti e approfondimenti

Cella, Marcello. “Spomenik. Viaggio nella Jugoslavia perduta” Balkania, 15/06/2019.

Eror, Aleks. “What’s behind the recent craze for Yugoslavia’s modern architecture?” The Calvert Journal, 04/06/2019.

Niebyl, Donald. “Exploring the true meaning of Spomekiks, Yugoslavia’s modernist war memorialsThe Calvert Journal, 20/09/2018.

Niebyl, Donald. Spomenik Monument DatabaseFUEL Publishing, 2018.

Pištan, Čarna. “Dalla balcanizzazione alla jugonostalgija: dissoluzione della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia“, Istituzioni del Federalismo, 4/2014, pp. 817-856.

Sekularac, Ivana. “Yugoslavia’s brutalist relics fascinate the Instagram generation” The Wider Image | Reuters, 31/10/2019.

Sekularac, Ivana. “Former Yugoslavia’s brutalist beauty – a photo essay” The Guardian, 31/10/2019.

Stevanovic, Nina. “Architectural Heritage of Yugoslav-Socialist Character: Ideology, Memory and Identity.” PhD Dissertation, 2017.

Sujdic, Olivia. “Yugoslavia is gone, renamed and redrawn, but my family’s history lives on within me

Spomenik, la Jugoslavia che resta

Spomenik Database

 

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