Berta Cáceres: l’ambientalista indigena che combatteva per la terra in Honduras

Berta Caceres
@UnEnvironment - Wikimedia Commons - CC-BY-3.0

Per approfondire, consigliamo il documentario “Berta vive”, che è possibile vedere a questo link gratuitamente, grazie all’archivio della Cineteca del Festival del Cinema Ibero-Latino Americano di Trieste.

 

Il 2 dicembre 2019 il Tribunale di Tegucigalpa, Honduras, ha condannato a 34 anni di carcere i quattro imputati esecutori materiali dell’omicidio di Berta Cáceres, l’attivista honduregna assassinata nel 2016. Elvin Rápalo, Óscar Torres, Edilson Duarte e Henry Javier Hernández sono stati giudicati colpevoli e condannati a ulteriori 14 anni di reclusione anche per il tentato omicidio di Gustavo Castro. Si tratta dell’attivista messicano che si trovava con Cáceres il giorno dell’uccisione, ma che riuscì a sopravvivere all’agguato.

La sentenza rappresenta un primo passo verso la giustizia per uno degli episodi simbolo della repressione dei difensori dei diritti umani nella regione latinoamericana.

Chi era Berta?

Berta Isabel Cáceres Flores, nata e cresciuta nello Stato centroamericano dell’Honduras, è stata una delle più note attiviste della regione negli ultimi 20 anni. Era una figura centrale per il popolo indigeno Lenca, leader e co-fondatrice del COPINH, il Consiglio delle organizzazioni popolari e indigene dell’Honduras. Si è distinta per le sue battaglie a difesa dell’ambiente e dei diritti delle popolazioni indigene, su tutte il diritto alle terre ancestrali. 

La principale e più nota battaglia portata avanti dalla Cáceres è stata quella contro il complesso idroelettrico Agua Zarca, una joint venture tra la compagnia honduregna DESA e la cinese Sinohydro, il principale costruttore di dighe al mondo.

Per la sua lotta intransigente e l’attivismo coraggioso, Berta ha ricevuto nel 2015, poco prima di morire, il prestigioso Goldman Environmental Prize. Si tratta del riconoscimento che dal 1990 viene conferito agli attivisti di tutto il mondo che si dedicano alla salvaguardia dell’ambiente. È famoso il suo discorso durante la cerimonia di accettazione del premio:

“Svegliamoci! Svegliamoci, umanità! Non c’è più tempo. Scuotiamo le coscienze perché stiamo solo contemplando la nostra autodistruzione e lo sfruttamento dovuto al capitalismo rapace, al razzismo e al patriarcato. Il fiume Gualcarque ci ha chiamati e così come tutti gli altri che nel mondo come noi sono minacciati per questo, combattiamo per difendere la madre terra, militarizzata, sfruttata, avvelenata”.

L’opposizione ad Agua Zarca

Il progetto Agua Zarca prevedeva la costruzione di una diga sul Río Gualcarque, nel Nord-Ovest del Paese, con un impatto sociale e ambientale disastroso. La diga avrebbe devastato l’ecosistema della zona, compromettendo la sopravvivenza della comunità di Río Blanco. Questa è composta da circa 60 famiglie che vivono nella foresta pluviale e dipendono dal fiume per l’approvvigionamento d’acqua. Il Río, inoltre, è considerato sacro secondo la cosmogonia Lenca.

Berta ha guidato le proteste pacifiche della popolazione nativa senza mai farsi scoraggiare dai numerosi soprusi, agguati o dalle minacce ricevute (e denunciate con scarsi risultati). L’attivista è riuscita a portare il caso all’attenzione internazionale sia a livello mediatico sia giurisdizionale. Lo ha fatto, ad esempio, attraverso il ricorso presentato all’IFC, l’International Finance corporation, ossia l’ente finanziatore della Banca mondiale, e alla Corte Interamericana dei diritti umani. In particolare, in quella sede è stata contestata l’autorizzazione del progetto in contrasto con la Convenzione delle Nazioni Unite sull’autodeterminazione dei popoli indigeni (1989) e, nello specifico, la violazione del diritto alla consultazione previa e informata circa qualsiasi progetto antropico che possa violare i diritti ancestrali sulla terre di tali popolazioni.

Tra il 2013 e il 2015 la comunità ha reagito bloccando le strade per non far passare i macchinari, organizzando sit-in e manifestazioni e resistendo agli sgomberi della polizia. Il braccio di ferro tra popolazione indigena e Desa ha portato più volte all’intervento delle forze dell’ordine e a una repressione di fatto delle istanze popolari.

L’omicidio

Dopo aver ricevuto denunce in merito a minacce da parte del personale Desa, la Commissione interamericana dei diritti umani aveva previsto che lo Stato honduregno assicurarasse misure cautelari di protezione nei confronti di Berta. Tuttavia, questo non è stato sufficiente a evitarne la morte. Berta Cáceres è stata uccisa nella sua abitazione a La Esperanza nella notte tra il 2 e il 3 marzo 2016. Quella sera si trovava insieme all’amico Gustavo Castro Soto, attivista messicano da lei ospitato in occasione di una discussione collettiva proprio sulle alternative ad Agua Zarca.

Gli assassini hanno aspettato che Cáceres si mettesse a dormire per irrompere in casa, e, una volta raggiunta, le hanno sparato vari colpi di pistola fino a ucciderla. Gustavo, nonostante le gravi ferite, è sopravvissuto all’agguato.
Il tragico episodio ha contribuito a far sì che due principali finanziatori della centrale idroelettrica, la Netherlands Development Finance Institution (FMO) e la Finnish Fund for Industrial Cooperation (Finnfund), si ritirassero dal consorzio. Ad oggi, però, il progetto non risulta definitivamente bloccato.

Le indagini

Il 2 maggio 2016, circa due mesi dopo l’accaduto, sono stati arrestati i primi degli otto imputati per l’uccisione di Berta. Da subito i familiari e i membri del COPINH hanno preteso delle indagini indipendenti a causa dei forti sospetti che le autorità statali coprissero i mandanti reali dell’omicidio.

Nonostante le sollecitazioni internazionali, i riscontri negativi hanno portato alla formazione del GAIPE, un gruppo composto da cinque giuristi esperti in tutela internazionale dei diritti umani (Dan Saxon, Roxanna Altholz, Miguel Ángel Urbina, Jorge Molano y Liliana Uribe Tirado). Questo ha portato avanti un’indagine parallela a quella ufficiale. Il gruppo ha contribuito a rendere giustizia e alla condanna degli assassini dell’attivista, mantenendo alta l’attenzione sul tema e sulla ricerca della verità.

Già il 31 ottobre 2017 un rapporto pubblicato dal gruppo mostrava con evidenza lo stretto rapporto tra la DESA e i mandanti dell’omicidio. Il documento rappresenta una sintesi tra le varie testimonianze raccolte e l’analisi degli atti processuali. Tra i documenti citati all’interno, spiccano i tabulati telefonici tra gli imputati e persone terze. Da questi emerge un intenso scambio di informazioni alla base della pianificazione dell’attentato, iniziata con evidenza almeno quattro mesi prima dell’esecuzione (marzo 2015), ossia in coincidenza con le più incisive mobilitazioni della comunità indigena contro il progetto Agua Zarca. Emerge inoltre un primo tentativo di agguato, abbandonato per motivi logistici e attuato nel febbraio 2016, un mese prima dell’uccisione.

Le prime condanne

Il 29 novembre 2018, la corte del Tribunale penale nazionale di Tegucigalpa ha dichiarato colpevoli sei degli otto imputati per l’omicidio di Cáceres. Tra queste persone compaiono due funzionari di Desa e quattro militari o ex militiari dell’esercito. In particolare, spicca il nome di Sergio Ramón Rodríguez, ex direttore dell’area sociale e ambientale di Desa. È considerato uno dei principali responsabili delle infiltrazioni in seno alla comunità indigena Lenca al fine di garantire il consenso intorno al progetto oltre che la sorveglianza di Berta Cáceres e altri membri del COPINH.

Solo 45 mesi dopo la scomparsa di Berta, il 2 dicembre 2019, viene finalmente mosso il primo passo concreto verso la giustizia. Ma, come sostiene Isabel Zúniga, figlia di Berta e attuale leader del COPINH, finché saranno solo gli esecutori materiali ad andare in carcere e il progetto non sarà bloccato definitivamente, la battaglia continuerà.

Essere ambientalisti in Honduras

Nel suo report annuale del 2016, Front Line Defender evidenzia come il 45% degli omicidi di difensori dei diritti umani (HRD) nel mondo abbia un collegamento con le questioni ambientali, la difesa della terra e dei diritti delle popolazioni indigene. 

Secondo la Ong Global Witness, l’Honduras è il Paese più pericoloso al mondo per gli ambientalisti. In uno studio pubblicato nel 2016, con riferimento proprio agli anni precedenti all’omicidio di Cáceres, viene riportato il totale di 101 attivisti ambientali uccisi nel periodo di riferimento (2010-2014), ossia il più alto numero al mondo. In realtà questi dati non stupiscono visto che parliamo, in generale, di uno dei Paesi più violenti al mondo, ma c’è anche dell’altro.

La polarizzazione del Paese

Nei 10 anni successivi al colpo di stato del 28 giugno 2009 che rovesciò il presidente Manuel Zelaya, si è sviluppato un doppio movimento nella società honduregna. Da una parte, una fortissima tendenza delle istituzioni a rappresentare interessi privati e il consolidamento di una “oligarchia di fatto” che suggella il potere nelle mani di un ristretto gruppo di persone. Dall’altro lato, c’è una società civile che non subisce passivamente tali processi e, anzi, reagisce con una mobilitazione permanente. Una presa di coscienza sulla distribuzione del potere (politico, ma anche sociale ed economico) e di denuncia sociale verso l’aumento del narcotraffico, la crisi economica e la violenza generalizzata, tutti fattori che hanno generato proteste di massa e le ben note “caravanas” di migranti.

Berta Cáceres era consapevole dei rischi che correva. Aveva più volte manifestato le sue preoccupazioni a riguardo ed era stata costretta, tra le altre cose, a trasferire i suoi figli in Argentina. Ma questo non l’ha fermata nella sua lotta.

Il COPINH con la sua battaglia è riuscito a bloccare la costruzione della diga, ma a un caro prezzo: sono tre, compresa Berta, i suoi componenti uccisi in circostanze finora mai chiarite. I recenti sviluppi delle indagini sul caso della lideresa, pur lasciando dei dubbi e tendendo a punire gli esecutori materiali più che i mandanti dell’omicidio, rappresentano un primo passo verso la verità e la giustizia. Lo è non solo per un’attivista, ma per un‘intera comunità e, simbolicamente, per ogni difensore dei diritti umani nel mondo.

 

Fonti e approfondimenti

 

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