La questione delle riparazioni per la schiavitù negli USA

di Gianluca Petrosillo

Negli Stati Uniti d’America le riparazioni per la schiavitù sono le misure finalizzate a riparare il danno causato alle comunità afroamericane dal sistema schiavista statunitense.

Le privazioni sociali, la distruzione economica e il trauma sociale della schiavitù hanno accompagnato le comunità afroamericane fino alle generazioni attuali, e sono state la base per il razzismo e le disuguaglianze razziali odierne.

Da qui nasce il punto di partenza di un dibattito sull’opportunità o meno di riparare il danno tramite misure riconciliatorie di tipo economico, sociale e culturale.

Introduzione storica alla questione delle riparazioni

Quando il generale unionista William T. Sherman emanò gli Special Field Orders No.15, (provvedimenti militari che avviavano la redistribuzione di circa quattrocentomila acri di terre che erano state confiscate ai confederati), era il gennaio del 1865 e la Guerra di Secessione giungeva agli sgoccioli. In questo modo dotava gli ex schiavi di una proprietà e dei diritti su di essa, incoraggiando, al contempo, gli uomini adulti a unirsi all’esercito dell’Unione. Sherman aveva pensato la prima forma di riparazione per la schiavitù della storia americana.

Finito il conflitto e approvati gli emendamenti che abolivano la schiavitù, iniziò il periodo della Ricostruzione. Tra il 1865 e il 1877, gli afroamericani del Sud riuscirono a sfruttare le loro libertà e i loro nuovi diritti per cambiare il panorama politico e socioeconomico degli Stati ex Confederati.

In particolare, il diritto di voto diede loro la possibilità di occupare per la prima volta diversi uffici pubblici, soprattutto nelle Contee in cui la popolazione nera era maggioritaria. L’emancipazione fu anche sociale ed economica, con gli afroamericani che per la prima volta poterono possedere terre e attività, ed ebbero accesso all’istruzione pubblica.

Il dibattito per le riparazioni nacque quindi in questo contesto di brevi, ma solide, conquiste. L’idea era di garantire agli afroamericani una compensazione per il danno causato dal sistema schiavista alle loro comunità.

Ciononostante, questa rivendicazione ebbe vita breve. Nel 1877, a seguito di un compromesso politico per garantire la Presidenza al Repubblicano Hayes, il governo federale optò per il ritiro delle truppe dal Sud, di fatto privando i neri della protezione dello Stato contro il suprematismo bianco che perdurava . Mise quindi fine alla Ricostruzione e alle possibilità di riparazioni per la schiavitù dei neri.

Il dibattito è stato però ripreso negli ultimi mesi in vista delle Primarie democratiche, dimostrando un’attenzione particolare a molti temi sociali.

Le posizioni dei candidati

Elizabeth Warren è stata la prima ad affrontare il tema delle riparazioni. Come Senatrice del Massachusetts  ha presentato, fra le altre proposte, l’American Housing and Economic Mobility Act, un ambizioso progetto volto a risolvere la crisi abitativa americana, che colpisce in particolar modo le famiglie nere.

Di riparazioni ha parlato anche Kamala Harris, candidata democratica per la California. Un punto cardine del programma della senatrice Harris è il LIFT Act, piano di sgravi fiscali applicabile a tutti i lavoratori con un reddito inferiore a cinquantamila dollari annui e alle famiglie con reddito inferiore ai centomila, che Harris sostiene essere anche a vantaggio di molti afroamericani.

Nella stessa direzione sono intervenuti Juliàn Castro, ex segretario del Dipartimento della Casa e dello Sviluppo Urbano, e Cory Booker, senatore del New Jersey e sostenitore dei Baby Bonds, un programma con cui propone di dotare ogni bambino di una somma di denaro dalla nascita fino alla maggiore età. Dagli studiosi è considerata la proposta non riparativa potenzialmente più efficace fra quelle avanzate finora.

Anche altri democratici, come Harris, Warren, Kirsten Gillibrand, Amy Klobuchar e Bernie Sanders (molto critico delle riparazioni) hanno poi appoggiato la proposta di Booker.

Anche Marianne Williamson, autrice di libri di auto-miglioramento,  ha proposto di mettere a disposizione fra i 200 e i 500 miliardi da distribuire ai discendenti degli schiavi. Di fatto, il primo vero progetto di riparazione.

Malgrado ciò, William Darity, un accademico da tempo impegnato nella causa delle riparazioni, ha giudicato insufficiente la misura proposta. Secondo Darity, infatti, dovrebbe essere investito almeno un trilione di dollari purché tale misura sia davvero efficace.

Il dibattito sulle riparazioni

Gli esperti sono quindi scettici riguardo a questi tentativi (perlopiù espressi vagamente dai candidati) e rifiutano di considerarli vere e proprie forme di riparazione per la schiavitù in quanto mancanti della principale caratteristica che ritengono essere essenziale: essere a esclusivo vantaggio dei neri.

William Darity e Derrick Hamilton, professori da tempo impegnati nelle cause per la riparazione, sostengono che non sia sufficiente fare qualcosa che aiuti tutti gli americani per aiutare i discendenti degli schiavi, o che basti avvantaggiare i poveri soltanto perché i neri sono particolarmente rappresentati nelle fasce meno abbienti della popolazione. Innanzitutto, poiché tali misure rischierebbero di essere inefficienti.

In secondo luogo, perché non rappresenterebbero né una concreta ammissione di colpa per il passato schiavista del Paese né realizzerebbero il reale cambiamento strutturale necessario per mettere fine alle discriminazioni verso gli afroamericani.

Raramente in passato è stato affrontato questo argomento, specialmente nelle aule della politica, e oggi si possono delineare due correnti di pensiero.

Una è quella per cui le riparazioni non sono affatto necessarie, e anzi rischiano di essere dannose in quanto favorirebbero una sola delle moltissime minoranze discriminate durante i primi secoli degli Stati Uniti, sarebbero pagate anche con il denaro dei discendenti dei bianchi che hanno combattuto per l’emancipazione degli afroamericani, e inoltre beneficerebbero tutti i neri, compresi i figli degli africani emigrati volontariamente, e dopo il 1865.

D’altra parte c’è chi afferma che, dall’abolizione della schiavitù a oggi, i neri hanno subito soprusi tali da trascinarsi attraverso le generazioni. Secondo i sostenitori delle riparazioni, le leggi Jim Crow, l’incarcerazione di massa, la segregazione e il razzismo generalizzato hanno creato delle comunità afroamericane mediamente più povere e meno in salute rispetto alle corrispettive bianche.

Conclusioni

In conclusione, quali che siano le motivazioni che hanno spinto i democratici a ravvivare la discussione, toccando un tema che perfino Obama e Hillary Clinton avevano preferito tralasciare durante le loro campagne elettorali, può essere che ci siano ragioni molto concrete in gioco.

È firmato NBC News lo studio che, in collaborazione con il politologo William Mayer, ha indagato le proiezioni di voto delle elezioni presidenziali a partire da quando furono adoperati per la prima volta gli exit poll, nel 1976, scoprendo che i voti degli afroamericani sono aumentati nel tempo. Dal 1992 al 2016 nessun candidato democratico ha mai vinto le primarie del partito senza ottenere anche la maggioranza dei voti dei neri.

Potrebbe quindi non essere necessario avere un progetto realistico di riparazione per aggiudicarsi il prossimo turno elettorale, quanto averne uno convincente.

 

Fonti e approfondimenti

Badger E., “Whites Have Huge Wealth Edge Over Blacks (but Don’t Know It)”, The New York Times, 18/09/2017.

Jan T., “Redlining was banned 50 years ago. It’s still hurting minorities today”, Washington Post, 28/03/2018.

Kornacki S., “Journey to power: The history of black voters, 1976 to 2020”, NBC News, 29/07/2019.

Lockhart P. R., “The 2020 Democratic primary debate over reparations, explained”, Vox, 19/06/2019.

Stein J. “Three 2020 Democrats say ‘yes’ to race-based reparations — but remain vague on details”, Washington Post, 22/02/2019.

 

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