Accolti a braccia conserte: i migranti altamente qualificati in Giappone

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Fin dall’entrata in vigore della norma sul “Controllo dell’Immigrazione” nel 1952, il Giappone è stato uno dei Paesi maggiormente restii al fenomeno immigratorio. Nonostante un progressivo adeguamento alle convenzioni internazionali, in particolar modo in materia di rifugiati e richiedenti asilo, che hanno determinato importanti emendamenti al quadro giuridico di riferimento, la popolazione straniera in Giappone costituisce ancora oggi appena il 2% del totale, a fronte di una percentuale media degli altri Paesi industrializzati che si attesta attorno al 13%. In questo contesto, il dato dell’Italia risulta sotto la media (10%), così come quello francese (12%), mentre Stati Uniti (13%) e Gran Bretagna (14%) risultano in linea con la media dei Paesi OCSE.

In realtà, le politiche di Tokyo in materia di immigrazione hanno percorso un doppio binario, che ha distinto nettamente tra manodopera straniera “poco qualificata” e quella “altamente qualificata”. Mentre i migranti meno qualificati sono stati tenuti a distanza dal Paese, anche per ragioni di convenienza politica, il Giappone ha cercato di attrarre manodopera straniera altamente qualificata sin dall’inizio del nuovo millennio, per migliorare la propria competitività sul piano industriale. A seguito dello scoppio della bolla economica nel mercato azionario e nel settore immobiliare all’inizio degli anni Novanta, l’economia del Giappone è infatti entrata in un periodo di stagnazione economica che ormai ha già fatto registrare la terza “decade perduta” per la crescita economica.

L’iniziativa “Visti per Professionisti Stranieri Altamente Qualificati”, lanciata nel 2012, ha rappresentato uno degli sforzi più significativi in tal senso. I numerosi benefit offerti hanno reso il regime giapponese tra i più favorevoli per i migranti altamente qualificati. Nonostante ciò, la linea di Tokyo non ha riscosso successo: l’ingresso di soli 13.000 migranti altamente qualificati nel 2018 dimostra che il Giappone non è riuscito ad attrarre un numero significativo di talenti stranieri. Inoltre, il governo giapponese non ha saputo farli sentire desiderati e accolti all’interno del Paese.

Vediamo come la vicenda dei migranti stranieri altamente qualificati in Giappone sia simbolica del contrasto tra il bisogno di manodopera del Paese e un retaggio culturale fondato sull’isolamento, l’autosufficienza e la presupposta omogeneità etnica della popolazione giapponese.

 

Apertura all’immigrazione “altamente qualificata”

La popolazione giapponese registra contemporaneamente il tasso di natalità più basso al mondo (seguita da quella italiana) e un tasso di invecchiamento tra i più rapidi a livello globale, con una variazione media della popolazione del -0.2%. Nel 2018, il tasso di declino della popolazione giapponese è stato il più alto degli ultimi trent’anni, con 921.000 nascite (il dato più basso dal 1899) a fronte di 1,37 milioni di morti. Oltre un quarto della popolazione giapponese ha ormai superato la soglia dei 65 anni e, con il progressivo ritiro dal mondo del lavoro della generazione dei baby boomer, si prevede che 6,4 milioni di colletti blu andranno persi entro il 2030.

Come osserva la sociologa Nana Oishi, oltre alle necessità demografiche, il declino della competitività dei settori industriali e tecnologici giapponesi, particolarmente marcata all’inizio del millennio, ha giocato un ruolo fondamentale nella decisione di Tokyo di attrarre migranti altamente qualificati. Come già menzionato, la stagnazione economica è stata cruciale, esacerbata anche dalla crisi finanziaria globale del 2008 e il triplo disastro del 2011, che ha visto il Giappone ferito dal terremoto nella regione del Tōhoku, il disastro nucleare di Fukushima e lo tsunami. Infine, l’attività di lobbismo dei grandi conglomerati aziendali e delle multinazionali giapponesi ha spinto il governo a mettere in atto programmi simili a quelli promossi in Germania (Carta Verde), nell’Unione Europea (Carta Blu), così come a Singapore e nella Repubblica di Corea, al fine di partecipare alla corsa ai talenti globali e incoraggiare la crescita economica basata sull’innovazione.

 

L’iniziativa “Visti per Professionisti Stranieri Altamente Qualificati”

Lanciata nel 2012, questa iniziativa costituisce un sistema “a punti”, simile al 9modello canadese e australiano, volto a incoraggiare l’ingresso in Giappone di ricercatori, professori, lavoratori nel settore tecnologico, informatico e delle telecomunicazioni, manager e professionisti di vario tipo. Il programma prevede tre categorie di visto, ovvero: 1) ricercatori accademici, 2) professionisti tecnici altamente specializzati 3) manager industriali. Il sistema attribuisce dei punti in base alle competenze accademiche, all’esperienza professionale, al salario annuale e all’età del richiedente del visto lavorativo. Il raggiungimento di una soglia minima di 70 punti consente ai lavoratori stranieri altamente qualificati di usufruire di un trattamento preferenziale.

Le agevolazioni previste sono numerose. Coloro che rientrano nel programma possono non limitarsi a lavorare nella categoria dichiarata all’atto di conferimento del visto, ma intraprendere diverse attività. Ad esempio, un ricercatore universitario è autorizzato a gestire contemporaneamente un’attività commerciale. Essi ottengono inoltre il diritto a lavorare in Giappone a tempo indeterminato, a patto che il visto venga regolarmente rinnovato ogni cinque anni. Il sistema ha diminuito drasticamente le tempistiche necessarie a ottenere il diritto di soggiorno permanente e la cittadinanza giapponese. Un altro benefit offerto dal programma è un rapido meccanismo di ricongiungimento familiare. I familiari, così come i collaboratori domestici, sono infatti autorizzati a stabilirsi in Giappone ed è contestualmente permesso al coniuge di lavorare nel territorio giapponese.

Il sistema introdotto nel 2012 ha reso il Giappone uno dei Paesi più aperti e favorevoli all’immigrazione altamente qualificata e il suo uno dei meccanismi più rapidi per il riconoscimento del diritto di soggiorno permanente e per la naturalizzazione. Tuttavia, secondo una ricerca condotta dal Centro per la competitività mondiale dell’Istituto Internazionale per lo Sviluppo del Management (IMD), l’offerta giapponese risulta essere tra le meno attraenti per i Paesi asiatici: perché?

 

I limiti del Giappone

La mancanza di attrattività del Giappone può essere analizzata sotto diversi profili. Partendo dal mondo lavorativo, i migranti altamente qualificati si trovano a operare in un ambiente ancora fortemente monolingue e monoculturale. Nonostante la necessità di internazionalizzare, il sistema aziendale è fondamentalmente basato sulla lingua giapponese e la percentuale di aziende che hanno adottato l’inglese come lingua ufficiale è ancora esigua. La cultura del lavoro giapponese, basata sull’impiego a vita, non solo contrasta con la tendenza a cambiare occupazione con frequenza, maggiormente diffusa nei Paesi occidentali, ma rende anche l’offerta di lavoro sostanzialmente ferma per i migranti a metà carriera e poco attraente per quelli più giovani, poiché i salari iniziali sono molti bassi. Fino a pochi anni fa, anche il sistema pensionistico risultava essere particolarmente svantaggioso, in quanto veniva richiesto il versamento di 25 anni di contributi, ridotti ora a 10. Ancor più importante è il fatto che l’esperienza in territorio nipponico fornisce delle conoscenze che sono legate soltanto al mondo degli affari giapponese, rendendo l’esperienza lavorativa difficilmente spendibile in altri contesti.

Oltre alla dimensione lavorativa, vi sono diverse problematiche legate alla sfera familiare dei migranti. In primo luogo, non vengono forniti sussidi all’istruzione, per cui i migranti sono costretti a mandare i propri figli nelle scuole statali. Come i genitori, i figli rischiano di essere intrappolati in un ambiente esclusivamente giapponese anziché multiculturale. A livello sociale, i fenomeni di razzismo, bullismo e discriminazione sono ancora molto diffusi, e rafforzati dalla mancanza di una legge anti-discriminazione. L’articolo 14 della Costituzione proibisce la discriminazione, ma solo a livello della sfera pubblica, mentre non colpisce direttamente quella privata.

 

La dimensione politica

Il fenomeno immigratorio in Giappone ha una connotazione fortemente politica, accentuata dal mito dell’omogeneità culturale e dell’unicità della popolazione giapponese. Il sentimento nazionalista è molto forte, ed è alimentato anche dal fatto che il Giappone è l’unica democrazia liberale ad aver ricostruito la propria economia dalle ceneri del Dopoguerra scegliendo in maniera deliberata di non contare su manodopera straniera.

I sentimenti anti-immigrazione sono molto diffusi tra la maggior parte dei giapponesi, che ritiene adeguato l’attuale tasso di immigrazione nel Paese. A questo si aggiunge una percezione diffusa che l’immigrazione irregolare e “poco qualificata” sia associata a un aumento della criminalità. Circa un terzo della popolazione accosta a un maggior numero di immigrati un aumento del rischio terrorismo e per la sicurezza, mentre la metà ritiene che gli stranieri siano più tendenti al crimine rispetto ai giapponesi. 

Queste convinzioni diffuse tra la popolazione nutrono e rafforzano la retorica del partito di governo, il Partito Liberal Democratico, guidato dal Primo Ministro Shinzō Abe. Poiché la massa critica dell’elettorato crede fermamente nei valori di autosufficienza e omogeneità culturale, un atteggiamento troppo aperto all’immigrazione poco qualificata risulta essere controproducente a livello politico. Anche per questo motivo, la scelta del governo è stata quella di puntare sulla manodopera straniera altamente qualificata, che registra il tasso di approvazione più alto tra la popolazione giapponese.

 

Conclusione

Nell’aprile del 2019 è stata introdotta una nuova legislazione che va a riformare la norma sul “Controllo dell’immigrazione e sul Riconoscimento dei Rifugiati” con l’obiettivo di accogliere 345.000 lavoratori stranieri all’interno del Paese, attraverso la creazione di due categorie di visto per i lavoratori meno qualificati. Tuttavia, l’apertura del Paese sembra essere molto cauta. Nell’annunciare la misura, il Primo Ministro Abe ha infatti specificato che il suo partito non ha alcuna intenzione di mettere in piedi una politica “pro-immigrazione”.

In ultima analisi, per poter attrarre i migliori talenti a livello globale, sarebbe necessario non soltanto un cambiamento strutturale a livello aziendale, ma soprattutto un cambio di passo a livello socioculturale. Il sostrato nazionalista e le forti tendenze razziste del Giappone risultano determinanti nella creazione di ineguaglianze tra immigrati basate sul livello di istruzione, che hanno effetti sia a livello economico che di integrazione sociale, contrastando con le necessità del Paese. L’introduzione della norma per i migranti “meno qualificati” ha sicuramente lanciato un messaggio positivo in tal senso, ma sembra difficile che il Giappone cambierà al punto da accogliere i migranti “a braccia aperte”.

 

 

Fonti e approfondimenti

Green, David, As Its Population Ages, Japan Quietly Turns to Immigration, Migration Policy Institute, 28 marzo 2017

IMD World Competitiveness Center, “IMD World Talent Ranking 2018”, novembre 2018

Kondo, Atsushi, “Migration and Law in Japan”, Asia & the Pacific Policy Studies, 2, n. 1, 2015: 155–168

McCurry, Justin, Japan shrinking as birthrate falls to lowest level in history, The Guardian, 27 dicembre 2018

Obe, Mitsuru, Famous for its resistance to immigration, Japan opens its doors, Nikkei Asian Review, 30 maggio 2018

Oishi, Nana, “The Limits of Immigration Policies: The Challenges of Highly Skilled Migration in Japan”, American Behavioral Scientist, 56, n.8, 2012: 1080-1100

Smith, Noah, Japan Wants Immigrants. The Feeling Isn’t Mutual, Bloomberg, 30 novembre 2017

Stokes, Bruce and Kat Devlin, “Despite Rising Economic Confidence, Japanese See Best Days Behind Them and Say Children Face a Bleak Future”, Pew Research Center, 12 novembre 2018

The Japan Times, Foreign population in Japan breaks record with 2.82 million, 26 ottobre 2019

 

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