Storia del popolo curdo: dalle origini al Trattato di Losanna

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

di Francesco Nasi

Il concetto di “nazione” è uno dei grandi misteri della politica. Non esiste un’opinione univoca su quali caratteristiche una comunità di individui debba avere per rientrare in questa categoria, se l’omogeneità della lingua, il riconoscimento esterno, una storia e delle tradizioni in comune oppure una stessa discendenza. Il filosofo Ernest Renan credeva che l’elemento determinante per la sussistenza di una nazione fosse la volontà di stare insieme, mentre il politologo e storico Jens Bartelson parlava di una “comunità immaginata”. La grande “tragedia della nazione” e tutte le sue contraddizioni emergono con forza nella storia del popolo curdo, ad oggi la più grande nazione senza Stato. Per capire a fondo la questione curda è quindi necessario ripercorrerne le tappe e analizzare come si sia sviluppata l’identità curda nel corso dei secoli.

 

Kurdistan, lingua e storia: l’identità curda

Storicamente l’identità curda si è sviluppata attorno a tre pilastri. In primo luogo, la posizione geografica. Ci muoviamo nelle terre che vengono definite dai sostenitori della causa curda come Grande Kurdistan. Il Grande Kurdistan comprende territori abitati per la maggior parte da una popolazione di etnia curda. Si estende tra Turchia Sud-Orientale, il Rojava nel Nord della Siria, gran parte del Nord dell’Iraq e il Nord-Est dell’Iran. Il Grande Kurdistan più che come una reale entità geografica o uno Stato autonomo, ha funzionato da sempre come doppio vettore di identità. Da una parte, rappresentando il mito del passato, la storica casa comune da cui i curdi provengono; dall’altra, permettendo al movimento nazionale curdo di darsi un obiettivo comune, anche se in pratica difficilmente realizzabile, cioè quello di costruire un giorno un grande Stato indipendente.

Elemento ancora più cruciale è la lingua. Nonostante la presenza di diversi dialetti, il curdo è da sempre il fattore che più di tutti ha contraddistinto la specificità di questo popolo, permettendo la conservazione del suo spirito nazionale. Questa lingua di origine indoeuropea è stata riconosciuta nella sua autonomia (e quindi non come dialetto di altre lingue) soltanto a fine Settecento, grazie al lavoro pioneristico del padre domenicano Maurizio Garzoni, che con il suo “Grammatica e vocabolario della lingua curda” diventò il padre della linguistica curda. Infine, l’identità curda trova la sua forza in una millenaria storia comune.

 

Dalle origini al XVII secolo: tra arabizzazione e autonomia

Gli antenati dei curdi sembrano essere stati i Medi, ma le fonti del periodo compreso tra VII secolo a.C. e VI secolo d.C. sono incerte. Fu solo in seguito che alcuni storici musulmani, come Masudi, Istakhri, Hamdullah, descrissero per la prima volta i curdi come collettività distinta nel processo di espansione del Califfato che ebbe luogo a metà del VII secolo d.C.  Essi raccontano come l’Islam non riuscì mai ad assimilare completamente le numerose tribù curde, che, allora fedeli ai riti zoroastriani, si resero protagoniste di numerose rivolte. Tuttavia, nei secoli successivi, nonostante la volontà autonomista, il contatto con il mondo musulmano fu forte e i curdi finirono con l’amalgamarsi alla realtà araba.

Come parte dell’impero ottomano, la regione del Kurdistan ha goduto di uno status privilegiato e di una larga autonomia, anche se divenne a più riprese terreno di scontro tra i persiani e il Califfato. Ai curdi era richiesto, in cambio, di pagare tributi al sultano e di fornirgli soldati in caso di bisogno. Vista la distanza dalla capitale, la parcellizzazione tribale del popolo curdo e le barriere naturali che rendevano difficile la comunicazione, tali obblighi furono rispettati solo sporadicamente.

 

Il lungo Ottocento e la nascita del nazionalismo curdo

Fino all’inizio del XIX secolo, i curdi godettero quindi di uno stato di quasi-autonomia all’interno dell’Impero Ottomano, che da quel momento in poi avrebbe attraversato una fase irreversibile di declino. Il grande malato d’Europa, come venne soprannominato, era bloccato in a uno Stato pre-moderno, senza avere un reale controllo del territorio e un vero monopolio sull’uso legittimo della forza, costretto a competere con Stati nazionali dotati di burocrazie e apparati di gran lunga più efficienti.

La Sublime Porta cercò di sopperire a queste mancanze, varando nel 1839 una riforma che centralizzava l’amministrazione e introduceva anche per i curdi il servizio militare obbligatorio, la sostituzione dei capi locali con governatori turchi e regole fiscali più stringenti. Queste imposizioni diedero vita a vigorose insurrezioni di massa da parte curda: se ne contarono più di 50 da quel momento fino alla fine del secolo. Tra di esse, è da segnalare soprattutto quella del 1853-1856, guidata da Yazdansher, considerato un eroe nazionale dal movimento nazionale curdo.

Fino ad allora, il termine “curdo” non aveva mai avuto una connotazione politica, ma esclusivamente linguistica e culturale. Non c’era mai stata infatti la volontà di unirsi in uno Stato: le rivolte del XIX secolo erano nate dalla volontà di mantenere gli antichi privilegi feudali delle tribù, mentre con le insurrezioni del nuovo secolo, i curdi posero per la prima volta la questione della necessità di creare uno Stato curdo autonomo.

Questa volontà nacque principalmente da due fattori. Da una parte, l’influenza dell’ambiente esterno: la questione dell’autonomia nazionale curda fece infatti da eco alle rivendicazioni indipendentiste mosse da arabi, armeni e popoli balcanici durante lo stesso periodo. Dall’altra parte, all’inizio del Novecento prese forma un movimento intellettuale che scriveva e pubblicava in curdo. Nacquero giornali, club e associazioni che andarono a costituire il primo nucleo di una “società civile” curda, avviando un dibattito sulla questione dell’unificazione di tutti i curdi in una stessa comunità politica, da realizzare ottenendo maggiore autonomia all’interno dell’Impero Ottomano o dando vita a uno Stato indipendente. Dopo la Prima guerra mondiale, fu la seconda strada a prevalere.

 

La Prima guerra mondiale e le sue conseguenze

Le grandi potenze europee, in primis Gran Bretagna e Francia, avevano indirizzato la loro attenzione sul territorio del grande Kurdistan già prima dell’inizio della Grande Guerra, grazie alla sua posizione strategica e le sue ricchezze petrolifere. Fu però nel 1916, con il celebre accordo Sykes-Picot, che i ministri degli Esteri inglese e francese divisero il Medio Oriente in base ai loro rispettivi interessi. A Londra spettarono Mesopotamia, Palestina e Giordania, mentre Parigi ottenne la Siria e il Libano.

Allo stesso tempo, terminato il primo conflitto mondiale, i 14 punti di Wilson e la promessa dell’autodeterminazione dei popoli come principio fondamentale del nuovo ordine mondiale, accesero le speranze indipendentiste curde. Queste promesse, almeno in parte, sembrarono realizzarsi nel trattato di Sèvres, l’accordo di pace firmato il 10 agosto del 1920 tra Francia, Gran Bretagna, Italia, Grecia, Giappone e Impero Ottomano, quest’ultimo uscito sconfitto dalla guerra.

Agli articoli 62, 63 e 64 il trattato parlava del diritto del popolo curdo all’indipendenza e identificava come Stato nazionale dei curdi una regione all’interno del Kurdistan turco. In questo modo, le Grandi potenze occidentali raggiunsero due obiettivi: indebolire ulteriormente l’Impero Ottomano e creare uno Stato cuscinetto tra Russia e Turchia, in modo da prevenire l’eventuale sconfinamento della rivoluzione bolscevica. Inoltre, per la Gran Bretagna, l’esistenza di uno Stato in cui potessero confluire i curdi delle altre regioni avrebbe permesso di alleggerire le pulsioni nazionaliste che agitavano i suoi protettorati.

Ma il trattato di Sèvres rimase lettera morta con l’affermarsi di Mustafa Kemal Ataturk, che si pose alla guida della guerra d’indipendenza turca, facendosi portatore di una nuova idea di Turchia, laica e nazionalista, in alternativa all’ormai obsoleto Impero Ottomano. Dopo un anno e mezzo di scontri, nel 1923 Ataturk trionfò, scacciando le potenze straniere e abolendo il Sultanato. Come primo presidente della Turchia, firmò un nuovo trattato di pace, il Trattato di Losanna, nel 1924.

Ataturk riuscì a ottenere la rimozione di qualsiasi riferimento al Kurdistan indipendente, delimitando i confini della Turchia che ancora oggi conosciamo in cambio del riconoscimento delle colonie occidentali nelle ex-province ottomane: Cipro e i giacimenti petroliferi mesopotamici alla Gran Bretagna; Tripolitania, Cirenaica e Dodecaneso all’Italia; Tunisia e Marocco alla Francia. I curdi vennero così divisi tra Turchia, Siria, Iraq e Iran.

 

Conclusione

Se la storica divisione in tribù, il tardivo imporsi della questione dell’unità nazionale e la difficoltà di esprimersi con un’unica voce sono sicuramente fattori da considerare nella vicenda della mancata nascita dello Stato curdo, ciò che fece davvero la differenza fu il ruolo delle grandi potenze. Se Cavour, settant’anni prima, era riuscito a inserire la questione nazionale italiana nell’agenda di Francia, Regno Unito e Prussia, la stessa cosa non riuscì invece ai curdi dopo gli stravolgimenti della guerra d’indipendenza turca. Questo ci aiuta a capire che Stati e nazioni non sono entità naturali, ma al contrario costituiscono complesse costruzioni storiche e sociali, frutto di interessi, contraddizioni, relazioni di potere e, molto spesso, anche di contingenze storiche. Costruzioni che hanno enormi ripercussioni sulle persone che le abitano, come la storia dei curdi nel XX secolo ci mostrerà nei prossimi articoli.

 

 

Fonti e approfondimenti

Galletti, M. I curdi nella storia, Editrice Vecchio Faggio, 1990

BBC, Who are the Kurds? 15/10/2019

White, P., PKK Coming down from the mountains, Zed Books Ldt, London, 2015

Institut Kurde de Paris, The Kurdish Population

O’Shea, M. T., Trapped Between the Map and Reality, Routledge New York&London, 2004

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