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Finanziare una campagna elettorale negli USA

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Per costruire una campagna elettorale di successo in America, è necessaria la confluenza di diversi fattori: la mobilitazione politica, la forza di un candidato, la presenza sul territorio e un buon sistema di finanziamento. Quest’ultimo punto nel corso degli anni ha assunto una posizione strategica sempre più forte. La presenza dei social media, di volontari e l’apertura di sedi nei vari stati e nelle città ha infatti rafforzato la posizione del finanziamento a partiti e candidati. Le modalità di finanziamento sono varie e differentemente regolamentate.

Un po’ di storia

Nel 1984 Ronald Reagan corse per la rielezione senza aver tenuto una sola raccolta fondi. All’epoca, e fino alla fine degli anni ‘90, il finanziamento pubblico alle presidenziali era la norma. Dal 2000 in poi George Bush decise di dare avvio ad una raccolta fondi generale, con i primi grandi contributi fatti dai cosiddetti small donors, cioè dei piccoli contributi volontari operati dai cittadini. Bush si circondò dei primi pionieri e teorici nello sviluppo di tale tecnica finanziaria, basata sullo sviluppo di una rete interna al Paese. Nel 2004, il candidato democratico Howard Dean, poi sconfitto alle primarie da John Kerry, fu il primo a credere che lo sviluppo di Internet avrebbe modificato il modo di fare campagna elettore. Una rivoluzione basata sulle grandi capacità comunicative che questo mezzo poteva mettere a disposizione.

La svolta definitiva è arrivata con Barack Obama nel 2008. L’allora senatore dell’Illinois, fu infatti il primo candidato a rinunciare dai tempi del Watergate al finanziamento pubblico, sfruttando la forza e la popolarità dei nuovi social media come Facebook, ormai in forte ascesa. Un sistema basato sulla creazione di un metodo di finanziamento pubblico parallelo a quello già preesistente. I donatori poterono così contare sul semplice accesso a Internet per poter dare il loro contributo.

Dal 2010 in poi, la Corte Suprema rivoluzionò ulteriormente il sistema con la sentenza riguardante il caso Citizens United, dando la possibilità di spesa illimitata per la campagna. In particolare tra i conservatori, tale sentenza si rivelò molto utile, visti i finanziamenti provenienti da miliardari come i fratelli Koch, in grado di donare importi senza precedenti con super PAC e non solo. Anche Obama infatti dovette uniformarsi ed ottenere l’aiuto di super PAC per ottenere la rielezione nel 2012. Nelle ultime elezioni, in ogni caso, il meccanismo delle piccole donazioni è esploso.

La raccolta nel Partito Democratico

Il fenomeno ha trovato grande riscontro nel Partito Democratico. La nascita del movimento dei democratic socialists, che fanno della mobilitazione e della partecipazione dell’elettorato un mantra, ha dato un enorme contributo. All’interno dell’area democratica, il software ActBlue ha consolidato il sistema e il mercato delle donazioni, diventando una sorta di paypal di sinistra.

Nel 2004, anno della messa in funzione, ActBlue ha gestito meno di un milione di dollari. Nel 2014 il fatturato è arrivato a 334 milioni di dollari, per poi salire ulteriormente nel 2016 a 781 milioni. Nelle primarie democratiche di quell’anno, Bernie Sanders, senza assumere un direttore finanziario o tenere raccolte fondi, ha usato gli strumenti di ActBlue per ottenere oltre 200 milioni di dollari. La dimensione media di una donazione alla sua campagna, circa 27 dollari, è diventata più di una fonte di raccolta fondi, ma è diventato un grande slogan pubblicitario.

Le midterms del 2018 hanno visto ActBlue di nuovo raggiungere nuovi traguardi: 1,6 miliardi in donazioni da circa cinque milioni di persone, con un contributo medio di 40 dollari. I candidati alla Camera e al Senato, in questo modo, in molti casi hanno potuto fare a meno di rivolgersi a lobbisti e PAC per finanziarsi. Gli uffici principali di ActBlue si trovano a Somerville, nel Massachusetts. Qualsiasi candidato democratico che sia correttamente registrato come tale può usare i suoi strumenti. Quindicimila candidati e gruppi lo hanno fatto nel 2018. Il gruppo prende una commissione di transazione del 3,95% su ciascun contributo.

Gli altri metodi

Altri metodi di finanziamento riguardano i già citati PAC e i cosiddetti dark money. I Political Action Committee, sono dei comitati creati (in genere, ma non sempre) di volta in volta per raccogliere fondi per poi finanziare e cercare di far eleggere un candidato o di farne sconfiggere un altro. Molti PAC rappresentano dei fondi messi insieme da gruppi d’interesse e stakeholders, i quali cercano di influenzare a seconda dei propri interessi, economici o ideologici, i processi legislativi. Spesso si fa riferimento a società di lobbying che operano da intermediari.

Ogni PAC deve poi essere registrato al FEC (Federal election committee), l’organo che registra e garantisce trasparenza in base alla legge federale in materia di finanziamenti alla politica, massimo 10 giorni dopo la sua creazione. Devono essere chiari i donatori e le organizzazioni connesse ad esso. Dopo la sentenza della Corte Suprema del 2010 già riportata, sono poi nati i Super PAC, cioè dei PAC che non forniscono contributi a candidati o partiti.

Tuttavia, fanno spese indipendenti pubblicando annunci o inviando posta o comunicando in altri modi con messaggi che sostengono specificamente l’elezione o la sconfitta di un candidato specifico. Non ci sono limiti o restrizioni sulle fonti di fondi che possono essere utilizzate per queste spese. Questi comitati presentano regolarmente relazioni finanziarie con la FEC che includono i loro donatori e le loro spese.

Più delicata la questione dei dark money: in genere si fa riferimento a fondi spesi da una organizzazione no profit (ma anche alcuni tipi di PAC). Le organizzazioni no profit politiche non hanno l’obbligo legale di divulgare i propri donatori. Quando scelgono di non farlo, sono considerati gruppi “oscuri”. Intuitivo il fatto che rappresentano lacune sorprendenti nel comprendere esattamente come ogni dollaro di finanziamento viene speso durante una corsa elettorale.

Conclusioni

In conclusione, fare dei confronti fra i metodi di raccolta e l’incidenza che hanno sul voto non è facile. La maggioranza degli addetti ai lavori in ogni caso concorda sul fatto che il sistema dei piccoli donatori è valido ed aumenta la qualità della partecipazione e della democrazia.

Più scostanti i pareri sui PAC, i quali possono sì garantire un maggiore afflusso di denaro e sostegno, però l’ipotetica influenza che ne deriverebbe rischierebbe per molti di inquinare il processo legislativo e democratico in favore di interessi minoritari. Per quanto la rappresentanza di interessi, sia un’espressione democratica per tanti necessaria e degna, in termini di outcome può influire negativamente.

In ogni caso in termini di sostenibilità lascia porre una domanda: possono i singoli donatori competere con i grandi gruppi? La risposta propende per il sì in quanto con una buona mobilitazione si può sopperire all’ipotetico svantaggio di partenza. Avere più soldi non garantisce infatti la vittoria, gli elettori invece sì. Inoltre coinvolgere più persone possibile aumenta anche la visibilità mediatica e la risonanza interna al paese.

 

Fonti e approfondimenti

Almukhtar S., Kaplan T., Shorey R., 2020 Democrats Went on a Spending Spree in the Final Months of 2019, The New York Times, 01/02/2020

Lai R., Katz J., Shorey R., Kaplan T., Watkins D., The Donors Powering the Campaign of Bernie Sanders, The New York Times, 01/02/2020

Lach E., Why Famous, Powerful Presidential Candidates Are Begging You for Five Dollars, The New Yorker, 10/06/2019

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