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Il Great Green Wall in Africa: impatto e limiti del progetto

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Come è stato spiegato nell’articolo precedente, il “Great Green Wall for the Sahara and the Sahel Initiative” (GGWSSI) non è un vero e proprio “muro di alberi”, come la sua denominazione potrebbe lasciar pensare. È, di fatto, un mosaico di interventi agricoli su scala locale che intende far fronte a un problema comune: la desertificazione del territorio del Sahel e la conseguente degradazione ambientale che ne deriva. Ogni Paese, dunque, ha la libertà di intraprendere i percorsi che ritiene più idonei per la salvaguardia del proprio territorio e delle proprie comunità, ideando e implementando dei progetti che si inseriscano nell’ambito dell’iniziativa. 

Se l’obiettivo del Great Green Wall è di essere portato a termine entro il 2030 per poter contribuire a molti dei Sustainable Development Goals dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, l’avanzamento del progetto risulta ancora piuttosto limitato. Infatti, si stima che nel 2019 sia stato completato solo il 15% degli interventi previsti, caratterizzati, per lo più, dal risanamento delle terre degradate. 

Tuttavia, è possibile identificare quali sono i Paesi che stanno contribuendo maggiormente nell’implementazione di questo pioneristico progetto ambientale e, a metà dell’opera, quali sono le difficoltà che sono emerse nella sua implementazione. 

 

Gli esempi positivi dell’iniziativa del Great Green Wall

Il Senegal 

Allo stato attuale, il Senegal è il Paese che ha contribuito maggiormente al raggiungimento dell’obiettivo Great Green Wall. Recentemente Haïdar El Ali, l’ex ministro dell’ambiente, è stato nominato come Direttore Generale dell’Agenzia Senegalese della Riforestazione e della Grande Muraglia Verde (ASRGM). L’iniziativa, in Senegal, non si limita solamente alla riforestazione delle terre degradate, ma cerca di promuovere le conoscenze e le competenze adeguate per una gestione sostenibile delle terre e lo sviluppo economico che ne deriva. Infatti, vengono favorite delle specie vegetali che si possano adattare in maniera specifica al clima della regione saheliana e che, allo stesso tempo, siano utili alle popolazioni locali, come ad esempio l’acacia o le palme da dattero.

Per diversificare la produzione agricola dei contadini si sta cercando di instaurare dei “giardini polivalenti” in cui vengono cresciuti alberi da frutto, legumi o prodotti da orto utili sia all’autosostentamento sia al commercio. Questo contribuirà, quindi, a favorire lo sviluppo agricolo e a garantire la sicurezza alimentare per le comunità delle zone più aride del Paese. 

Secondo gli ultimi dati dell’Agenzia Panafricana della Grande Muraglia Verde, fino al 2015 in Senegal sono stati piantati alberi per un territorio che copre più di trentamila ettari, oltre ad aver aumentato e migliorato la conservazione di quelli già esistenti. Questo ha portato a degli sviluppi anche dal punto di vista economico e sociale: incremento della sicurezza alimentare, aumento delle riserve di prodotti agricoli, miglioramento delle condizioni sociali femminili e familiari, una maggiore scolarizzazione dei bambini e miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie attraverso pratiche di controllo e distribuzione gratuita di medicine. 

Non meno importante è la questione dell’acqua, un fattore che per certe zone aride è limitante per la buona riuscita dell’iniziativa del Great Green Wall.  Per ovviare a questo problema, l’ex ministro El Ali ha dichiarato di voler sfruttare il più possibile le acque del fiume Senegal, che scorre nell’estremo nord dell’omonimo Paese, per irrigare i campi coltivati.

Per il periodo 2016-2020, i piani prevedevano una maggiore sinergia con il governo locale, da un lato, e con le comunità rurali, dall’altro, attraverso azioni di comunicazione, formazione, sensibilizzazione e studi complementari che possano sviluppare ulteriormente il progetto. Tuttavia, la mancanza di dati certi a riguardo rende limitata la comprensione di ciò che è stato realmente raggiunto. 

 

Il Niger 

Un altro esempio positivo dell’esperienza del Great Green Wall si può trovare in Niger, dove, oltre alle pratiche di coltivazione e orticoltura di prodotti agricoli utili per l’alimentazione o il commercio, è diventata consuetudine la pratica a basso costo della “naturale rigenerazione della terra”. La vegetazione che si è degradata durante i periodi di siccità viene ripristinata attraverso processi di rivitalizzazione e irrigazione delle radici. Così facendo, alberi e arbusti hanno la possibilità di riprendersi autonomamente tornando a svolgere la loro funzionalità. Questo metodo ha permesso di ripristinare, in Niger, cinque milioni di ettari di vegetazione (circa come la superficie di Piemonte e Lombardia messe insieme) e di favorire la sicurezza alimentare dell’area. 

La Food and Agriculture Organization (FAO) sta collaborando attivamente, in Niger come in Burkina Faso e Mali, per la realizzazione e la diffusione di tali buone pratiche. L’Organizzazione, seguendo un approccio bottom-up nei confronti delle comunità locali, supporta queste ultime nella scelta delle colture e delle pratiche più adeguate alle condizioni locali, evidenziando come, talvolta, non c’è necessità di piantare nulla, bensì solo di favorire la rigenerazione naturale delle terre e della vegetazione. 

Il Great Green Wall in Niger ha favorito la creazione di nuovi posti di lavoro e un conseguente aumento delle entrate economiche nelle famiglie, contribuendo alla lotta alla povertà e alla sicurezza alimentare. 

 

Quali controversie per il GGW?

L’iniziativa del Great Green Wall aveva, e continua ad avere, l’intento di creare una partnership internazionale che si ponesse l’obiettivo di arrestare i fenomeni di desertificazione e degradazione ambientale. Così facendo, lo sviluppo agricolo e la protezione ambientale sarebbero andati di pari passo con lo sviluppo sociale ed economico delle regioni dove l’iniziativa ha preso forma. In questo modo il Great Green Wall rappresenta più di un semplice muro di alberi, infatti coinvolge una grande varietà di questioni ambientali e di sviluppo multidimensionale. 

Nonostante il supporto internazionale per questa iniziativa sia stato fin dall’inizio molto presente, non sono mancate espressioni di idee contrarie alla realizzazione del Great Green Wall. Alcune di queste richiamano l’idea che le popolazioni locali siano state di fatto marginalizzate nelle scelte di quali pratiche agricole realizzare, delegando alle autorità locali le decisioni a riguardo e rischiando, di conseguenza, di alterare le colture correntemente in uso. 

Altri hanno posto il problema della gestione idrica utile a portare avanti l’iniziativa, sottolineando come il territorio, già di per sé caratterizzato da scarsità d’acqua e lunghi periodi di siccità, non abbia le risorse idriche sufficienti per irrigare nuove colture e silvicolture. 

Infine, è emerso il problema della gestione finanziaria di tale iniziativa. Il progetto del Great Green Wall ha un costo previsto complessivo di circa otto miliardi di dollari per la sua intera durata. Gli Stati africani coinvolti rischiano di avere delle difficoltà nella gestione autonoma di una tale cifra, per cui si prefigura la necessità di fare affidamento sugli aiuti economici della comunità internazionale. A tal proposito, la Strategia di Mobilitazione delle Risorse dell’iniziativa prevede che il progetto venga finanziato solo in parte dai fondi nazionali dei singoli Paesi, in quanto parte dei finanziamenti dovrebbero derivare dalle Organizzazioni Internazionali partner (Unione Africana, ECOWAS, organi delle Nazioni Unite, Unione Europea ecc.), da fondazioni e investimenti privati e sponsorizzazioni. 

Come già accennato, a dieci anni dalla fine del progetto il completamento del Great Green Wall si stima sia solo al 15%. Questa, però, è solamente una stima, in quanto la raccolta e l’analisi dei dati per monitorarne l’avanzamento risultano complicate, come spesso accade nei Paesi del continente africano, sia a livello nazionale sia regionale. Questo è un limite che potrebbe rappresentare un grosso ostacolo per il progetto nel suo complesso perché impedisce di valutarne l’impatto. L’assenza di dati, infatti, non permette di comprendere se gli sforzi stanno portando a dei risultati concreti e se, al contrario, sarà necessario concentrare le risorse nel futuro.

 

 

Fonti e approfondimenti

Au Sénégal, le cœur du Sénégal. (2019). Haïdar El Ali : « La grande muraille verte concerne chaque Sénégalais » – Au Sénégal, le cœur du Sénégal. 

Bascombe, B. (2012). Senegal begins planting the Great Green Wall against climate change. [online] the Guardian.

Bilski, A. (2018). Africa’s Great Green Wall: A work in progress – Landscape News. [online] Landscape News.

Grandemurailleverte.org. (2020). République du Niger. [online] 

Grandemurailleverte.org. (2020). République du Sénégal. [online] 

O’Connor, D. and Ford, J. (2014). Increasing the Effectiveness of the “Great Green Wall” as an Adaptation to the Effects of Climate Change and Desertification in the SahelSustainability, 6(10), pp.7142-7154.

Powers, D. (2014). Holding Back the Sahara. [online] Nytimes.com

Signoret, M. (2019). La Grande Muraille Verte : cette audacieuse initiave continentale – Brève revue du cas SénégalaisMédiaterre

The New Humanitarian. (2011). Opposition building to Great Green Wall. [online]

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