Site icon Lo Spiegone

La figura del leader unico

mao_lady

@Gauthier DELECROIX - 郭天-Flickr- CC BY 2.0

In un partito la figura del leader è sicuramente rilevante, soprattutto se si tratta di un partito che si pone come padre benevolo ed esponente dell’avanguardia della popolazione. Questo comporta inevitabilmente che un vero leader del PCC debba essere rappresentante della moralità e un modello da seguire. La leadership del PCC è composta da un gruppo ristretto di uomini che ricoprono le cariche più importanti del Partito. Per questa ragione, la leadership è suddivisa in diverse generazioni, quella di Xi Jinping rappresenta la quinta generazione. In un’ottica confuciana, i principi del buon governo si applicano in primo luogo mettendo da parte l’interesse personale in favore dell’interesse comune. È sempre stato così?

Prima di procedere, però, è necessario un piccolo appunto. Nella Repubblica Popolare Cinese la carica di segretario generale del PCC e presidente della Repubblica coincido dal 1993, poiché si tratta di un sistema Partito-Stato. Cosa significa? Il potere è concentrato nelle mani del PCC (in quanto avanguardia della nazione) che si serve delle istituzioni dello Stato. Tuttavia vedremo che, anche in questo caso, ci sarà qualche eccezione.

Il leader unico e indiscusso

Il Partito, ricordiamo, nasce sull’onda rivoluzionaria che si è diffusa in Cina all’inizio del XX secolo e ha come ideologia di base quella marxista-leninista. Durante il primo congresso del PCC, svoltosi nel luglio del 1921, venne stabilito che l’appellativo per la carica più alta all’interno del PCC doveva essere segretario (书记 shuji). La ragione è molto semplice: il titolo di segretario era il titolo più basso possibile all’interno di un’organizzazione politica. Come spesso accade, però, si presentano casi particolari.

La carica di Chairman

Lo scrittore Yu Hua, nel suo libro La Cina in dieci parole, inserisce la parola leader tra le dieci parole utilizzate per descrivere la sua patria. Egli afferma che, da bambino, l’unica parola che riusciva ad associare a leader era Mao Zedong. In effetti, durante il periodo della Rivoluzione culturale (1966-1976), leader era quasi una parola sacra e inviolabile, proprio come il Grande Timoniere. La grandezza di Mao Zedong non è in discussione. Infatti, tra tutti i leader che si sono succeduti è l’unico ad avere avuto la carica di chairman, ovvero presidente del PCC. Dopo la sua morte, la carica fu ufficialmente abolita nel 1982, tanto che Hu Yaobang venne nominato successivamente segretario generale del Partito. Il seguente provvedimento è il risultato della Sesta sessione plenaria del Comitato Centrale del PCC (giugno 1981), sede in cui si discusse La risoluzione su certe questioni della storia del partito. La risoluzione del 1981 da un lato confermò l’importanza storica di Mao, dall’altro lato condannò il 30% degli errori commessi da Mao Zedong, come la Rivoluzione culturale, il Grande balzo in avanti e un culto della personalità eccessivo negli ultimi anni in carica.

Tra le vittime della Rivoluzione culturale vi furono anche Deng Xiaoping e Hu Yaobang, epurati perché contro le tendenze del partito. Anzi, Deng Xiaoping venne anche accusato di essere l’artefice delle manifestazioni popolari di piazza Tiananmen in onore di Zhou Enlai, morto nel 1976 di cancro. Deng venne dunque epurato e riabilitato definitivamente nel 1977. Alla morte del Grande Timoniere, avvenuta qualche mese dopo Zhou, segue un periodo di “maoismo senza Mao” o dei “Due qualsiasi” che vede Hua Guofeng protagonista di un inefficace attaccamento alle politiche maoiste. Qualsiasi cosa avesse detto Mao andava ancora bene. O forse non proprio.

Deng Xiaoping e la decentralizzazione del potere

Deng governò nello spirito di un’altra tradizione cinese: basare l’onnipresenza sull’ubiquità ma anche sull’invisibilità del sovrano.”  

Henry Kissinger- On China

Dopo la fine del periodo maoista, le ambizioni della Cina non dipendevano solo da un unico leader. Sotto la leadership di Deng Xiaoping, dove il rinnovo generazionale del PCC è uno degli obiettivi principali, si impone una leadership più collegiale. Infatti, le quattro cariche più alte dello Stato saranno affidate a quattro membri dell’élite comunista. Lo stesso Deng Xiaoping abbandona tutte le cariche a eccezione di quella di presidente della Commissione militare centrale e presidente della Commissione Centrale. Il sostituto come presidente del PCC (divenuta l’anno successivo carica di segretario) fu Hu Yaobang, mentre Zhao Ziyang ricopriva il ruolo di primo ministro.

Un altro provvedimento che mirava a evitare un ritorno al culto della personalità è l’introduzione della barriera dei due mandati quinquennali. Tuttavia, sembra che all’inizio del periodo delle riforme, ci sia anche spazio per forme di maggiore libertà di espressione e critica nei confronti dell’autorità.

Questo nuova leadership puntava anche alla separazione dei poteri tra partito e Stato, ma il progetto non andò in porto in seguito alle rivolte di Tiananmen, dopo le quali la centralità del partito e il controllo sulla società si rafforzò.

Gli effetti di Tiananmen

Il tutto cambierà con Jiang Zemin, che accentrerà di nuovo le cariche. Jiang cominciò a emergere come figura di primo piano nella politica interna cinese alla luce degli eventi di piazza Tiananmen del 1989.

Dato il successo della gestione delle proteste nella città di Shanghai nel ruolo di sindaco, nel novembre del 1989 venne eletto segretario del PCC, sostituendo Zhao Ziyang, ricordato per aver cercato di aprire un dialogo con gli studenti. Pochi mesi dopo, Deng cominciò a defilarsi dalla scena politica, cedendo anche la carica di presidente della Commissione militare centrale. Un’inversione di rotta era necessaria: serviva una figura capace di mantenere saldo il controllo del PCC e dare l’impressione di un cambiamento.

L’elevazione a una carica così importante di una figura debole all’interno del PCC sembrò una mossa temporanea. Tuttavia, Jiang fu abile nel consolidare il suo potere attraverso alleanze, favori e promozione dei suoi “fedelissimi” della cricca di Shanghai. Nel 1993, ottenne la carica di presidente della Repubblica Popolare Cinese, dopo aver definito il socialismo di mercato come un avanzamento delle politiche economiche avviate da Deng.

Leader tecnocrati, leader più deboli?

In realtà, non è detto che se un leader risulti con una personalità apparentemente debole lo sia davvero. Prendiamo l’esempio della leadership composta dal segretario del PCC Hu Jintao (2009-2012), erede di Jiang Zeming nominato da Deng Xiaoping prima di morire, e il primo ministro Wen Jiabao. Il presidente Hu segna il periodo conosciuto come “l’era dei tecnocrati”. Nonostante sia meno noto al pubblico, bisogna ricordare che Wen Jiabao aveva una personalità piuttosto spiccata come primo ministro.

Leader carismatici: il ritorno di Mao Zedong?

Ultimamente, si sente spesso paragonare Xi Jinping a Mao Zedong, paragone che però è in parte errato. C’è senza dubbio un fattore che li accomuna, ossia l’inserimento del proprio pensiero nello statuto del PCC mentre sono ancora in carica. Dopo quarant’anni di resistenze all’interno del PCC per timore di un ritorno al culto della personalità, Xi Jinping riesce a rafforzare il proprio potere e a fissare i dogmi dell’ideologia alla base della Cina contemporanea.

Eppure, quando Xi assunse la carica di segretario generale nel 2012, molti temevano che si sarebbe rivelato un leader debole. Ma Xi Jinping si è rivelato tutt’altro che debole. Egli si orienta verso una maggiore istituzionalizzazione del Partito, cerca di ripristinare l’immagine deturpata dagli scandali e dagli episodi di corruzione. Adotta misure restrittive e di maggiore controllo per ripulire il PCC dall’interno e riportare la disciplina tra i membri, punendo circa 1.4 milioni di funzionari.

Il nucleo del Partito: Xi Jinping

Lentamente ha consolidato il potere nelle sue mani. Non solo riveste la carica di segretario del PCC, presidente della RPC e capo della Commissione militare centrale, ma è anche a capo di altre commissioni che hanno potere decisionale in abito economico, sociale e politico. Nel 2016 Xi Jinping viene rivestito di un nuovo titolo, proprio alla vigilia dell’incontro del sesto Plenum de Comitato Centrale del PCC: nucleo del partito (核心 hexin). La musicalità della lingua cinese ci permette di fare un’osservazione, e cioè di come hexin rimandi al suono Xi. Anche in questo caso, il titolo di core leader non era mai stato assegnato a nessuno prima di Xi. Infine, l’abolizione del termine dei due mandati per il presidente approvata dall’Assemblea Nazionale del Popolo nel 2018 potrebbe farci pensare a un ritorno del leader indiscusso, ma così potrebbe non essere.

Conclusione

La Cina è oggi una potenza mondiale che occupa un posto in prima linea sulla scena internazionale. Una grande potenza necessita della figura di un leader credibile a livello internazionale, in grado di rappresentare una nazione all’altezza di affrontare le sfide internazionali. Un bravo leader è colui che riesce a cogliere il meglio dettato dalle circostanze (势 shi). Considerando che la Cina dà importanza alla stabilità interna necessaria per proiettare un’immagine positiva in un contesto internazionale, necessita di un leader capace di coniugare i due aspetti.

In questo senso, l’agenda politica di Xi Jinping è scandita da impegni che puntano al miglioramento della Cina, come la risoluzione dei problemi ambientali, la lotta alla corruzione, il tutto inserito nella cornice della rejuvenation della Grande Nazione e alla realizzazione del Sogno cinese. Ma sarà sufficiente?

Fonti e Approfondimenti

Guido Samarani, La Cina del Novecento. Dalla fine dell’impero a oggi, Piccola Biblioteca Einaudi, 2008.

Henry Kissinger, On China, Penguin Books, UK, 2011

Marina Astrologo (trad.), Il coraggio di Wen Jiabao, Internazionale, n.871, 5 Novembre 2010: https://www.internazionale.it/opinione/li-datong/2010/11/07/il-coraggio-di-wen-jiabao

Maurizio Scarpari, Tradizione e legittimazione politica nella Cina di Xi, Sinosfere, Costellazioni n.5, Aprile 2019

Simone Pieranni, Il nuovo sogno cinese, Manifestolibri, 2013

Yu Hua, La Cina in dieci parole, Feltrinelli, 2012

Exit mobile version