Speciale Islam Insight: il nuovo codice penale del Brunei

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Con l’imposizione della Shari’a nel 2014 il Brunei è diventato il primo Paese del sud-est asiatico ad applicare la legge islamica. Questa svolta ha riacceso l’eterno dibattito sulla compatibilità tra Islam e modernità, soprattutto per quanto riguarda la tutela dei diritti umani. In molti hanno infatti accusato il Paese di aver fatto un passo indietro, violando con l’applicazione della nuova legge il diritto internazionale. Vediamo dunque cosa ha comportato nello specifico l’introduzione di un nuovo codice penale di tipo shariatico, analizzando il contesto in cui ciò è avvenuto e le reazioni che ha provocato.

Il sultanato prima della Shari’a

Il Brunei è una monarchia assoluta, in cui il sultano ricopre le cariche di capo di Stato, capo del governo, ministro della difesa e delle finanze. L’Islam è religione di Stato e il sultano svolge anche il ruolo di guida religiosa del Paese. La scuola giuridica islamica di riferimento è quella shafiita, caratterizzata per lo spazio lasciato all’interpretazione del Corano come fonte del diritto, nel tentativo di coniugare religione e ragione umana.

Il Brunei ha assunto la forma di sultanato verso la fine del quattordicesimo secolo, con la conversione della popolazione all’Islam sunnita. Da allora si sono succeduti 29 sultani; l’ultimo è Hassanal Bolkiah, al potere dal 1967 e artefice dell’introduzione del nuovo codice penale religioso. Questa svolta ha costituito una novità per il Paese, la cui storia recente era stata orientata verso tutt’altra direzione.

Protettorato inglese da fine ottocento, il Brunei diventa indipendente nel 1984. La costituzione, redatta nel 1959 insieme ai britannici, rimane la stessa anche dopo l’ottenimento dell’indipendenza. L’influenza inglese ha continuato dunque a farsi sentire, e il sistema giuridico del Paese è essenzialmente basato sul common law nonostante le modifiche apportate dalla Shari’a. Questo ha portato molti a interrogarsi su come il sultano sarebbe riuscito a coniugare i due sistemi e le numerose contraddizioni che li rendevano oggettivamente incompatibili.

L’adozione di un codice penale islamico non ha però scatenato, almeno inizialmente, alcuna reazione all’interno del Brunei. Questo non significa necessariamente che la popolazione sia stata d’accordo: trattandosi di una dittatura potrebbe non essersi espressa contraria per timore di ritorsioni.  Inoltre bisogna tenere presente che il Brunei è uno Stato rentier, che vive cioè di rendita grazie all’esportazione del petrolio; questo ha portato all’instaurazione di un tacito patto sociale tra governo e popolazione, tale per cui quest’ultima garantisce la propria acquiescenza riguardo la gestione del potere in cambio dei benefici che riceve. I cittadini del Brunei sono infatti esonerati dal pagare le tasse e godono di diversi vantaggi in materia di welfare, come l’accesso totalmente gratuito a istruzione e sanità.

L’introduzione del codice penale islamico

In cosa consiste dunque il nuovo codice penale adottato nel 2014? Esso prevede l’introduzione di una serie di pene coraniche, compresa in alcuni casi la pena di morte. Il mancato rispetto del digiuno durante il mese del Ramadan per esempio può prevedere una multa o il carcere, così come l’astenersi dalla preghiera del venerdì. Furti e consumo di bevande alcoliche vengono invece puniti con un numero variabile di frustate in base alla gravità, o con l’amputazione di un arto.

Per quanto riguarda i diritti delle minoranze, è stato per esempio introdotto il divieto di celebrare pubblicamente festività religiose non islamiche come il Natale – non escludendo però la possibilità di continuare a svolgere privatamente tali celebrazioni. Se è vero che il Brunei è a maggioranza islamica, non bisogna trascurare il fatto che vi siano delle minoranze religiose di un certo rilievo. Su una popolazione totale di circa 430.000 persone infatti circa due terzi sono musulmani; seguono buddhisti (13%), cristiani (10%) e varie altre religioni minoritarie come quella animista. Non sempre è chiaro se e in che misura le nuove leggi ricadano anche sui non musulmani, tranne in alcuni casi in cui sono stati inclusi esplicitamente.

In questa prima fase di implementazione non si fa riferimento alla pena capitale, per quanto il sultano abbia lasciato intendere la sua volontà di introdurla in un momento successivo. L’attuazione del codice è stata infatti suddivisa per fasi, per far sì che la transizione a un sistema penale shariatico avvenga in modo graduale.

La seconda fase di implementazione

Nel 2019 il sultano ha annunciato la piena effettività del nuovo codice nella sua interezza, con l’aggiunta di alcune sezioni relative alle pene più dure che non erano ancora state previste nella precedente fase. Viene adesso contemplata la condanna a morte per i casi di blasfemia, diffamazione del profeta Muhammad, insulti al Corano, adulterio, rapporti omosessuali, stupro e omicidio. Nel caso di adulterio e omosessualità (già reato prima del 2014, punibile con dieci anni di carcere) l’esecuzione può avvenire per lapidazione, ed è applicabile anche ai non musulmani. L’aborto è proibito e punito pubblicamente con la frusta. Infine, viene specificato che anche i bambini che siano entrati nella fase della pubertà sono soggetti alle stesse leggi degli adulti, passibili dunque di essere frustati o condannati a morte.

Questa decisione ha scatenato immediatamente critiche da parte della comunità internazionale, preoccupata per la svolta che potrebbe prendere il Paese. La risposta del sultano non ha tardato ad arrivare: appena un mese dopo ha precisato pubblicamente alcuni punti, facendo un passo indietro su questioni spinose come la pena di morte. La Shari’a lascia infatti spazio all’interpretazione, e il grado di applicazione delle pene da essa previste può variare in base alla rigidità di queste interpretazioni. Il sultano ha dunque precisato che la pena capitale per esempio non verrà applicata, in quanto il Paese ha firmato una moratoria che la vieta. Hassanal Bolkiah si è inoltre giustificato affermando che lo scopo del nuovo codice intende essere preventivo, e cioè dissuadere la popolazione dal compiere i reati citati.

Conclusioni

Diverse ipotesi sono state avanzate riguardo i possibili motivi che hanno spinto il sultano a prendere una decisione simile. La previsione di una imminente diminuzione delle rendite derivanti dal petrolio potrebbe aver destato preoccupazioni, per il timore di malcontento e disordini all’interno del Paese. Così facendo il sultano avrebbe dunque cercato di prevenire questo scenario, rafforzando il proprio controllo e rendendo più severo il sistema punitivo.

Lo stesso Hassanal Bolkiah ha sottolineato il carattere preventivo che intende attribuire al nuovo codice penale. Del resto il sistema penale del Brunei contemplava la pena di morte già prima dell’introduzione della Shari’a, ma questa non era stata più applicata dal 1957. La pressione della comunità internazionale e le accuse di violazione dei diritti umani stanno sicuramente fungendo da freno per una piena ed effettiva implementazione del codice. A un anno di distanza dalla sua completa adozione infatti non vi si è ancora fatto ricorso.

Tutto ciò lascia pensare che si tratti quasi di una formalità. Lo stesso sultano sembra essersi reso conto che difficilmente il nuovo codice potrà essere applicato nella sua interezza, pena la condanna quasi unanime da parte della comunità internazionale. Resta comunque il fatto che in Brunei la legge islamica è ormai ufficialmente in vigore, e questa tendenza a una re-islamizzazione del sistema giuridico potrebbe esercitare delle influenze nei Paesi limitrofi. È comunque ancora presto per trarre delle conclusioni sugli effetti di questa svolta giuridica, i cui risvolti potrebbero non essere immediati ma farsi sentire gradualmente sul lungo periodo.

 

Fonti e approfondimenti

Al Jazeera, Brunei enacts new penal code as sultan calls for stronger Islam, 03/04/2019

The Diplomat, Brunei’s controversial new Shariah Laws are now in effect, 03/04/2019

Human Rights Watch, Brunei’s pernicious new penal code, 22/05/2019

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