I diritti umani nel contesto europeo: la CEDU

I diritti umani sono parte fondamentale del diritto internazionale: essi spesso sono sanciti da convenzioni e trattati internazionali, che hanno lo scopo di spiegare la loro natura. Tali accordi possono avere carattere regionale, imponendo così che solo gli Stati appartenenti a quella regione possano ratificare il trattato, come la Convenzione Americana dei Diritti dell’Uomo, oppure a carattere universale, dove non vi è un limite geografico, come per esempio la Convenzione internazionale sull’Eliminazione di ogni Forma di Discriminazione Razziale promossa dalle Nazioni Unite. 

Sovente, tali trattati istituiscono corti o tribunali che hanno lo scopo di giudicare eventuali violazioni che lo Stato ha commesso nei confronti di un individuo, garantendo così già dall’interno di un trattato, o tramite un protocollo aggiuntivo, una tutela più effettiva ed efficace dei diritti umani. A volte, sono le organizzazioni internazionali stesse, per esempio le Nazioni Unite, che stipulano un trattato e istituiscono un meccanismo di controllo. È quello che è avvenuto per il Consiglio d’Europa.

Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo

Uno dei successi più significativi del Consiglio d’Europa è stata la stipulazione della Convenzione europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali (CEDU). La CEDU, firmata nel 1950 a Roma, entrò in vigore tre anni dopo e rappresenta una delle Convenzioni regionali più importanti nel diritto internazionale. 

La Convenzione si divide in due parti essenziali: la prima, dedita alla spiegazione dei diritti umani tutelati, e la seconda, più procedurale, che istituisce la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e spiega i meccanismi tramite i quali si può ricorrere alla stessa. La CEDU è altresì composta da numerosi protocolli addizionali, ratificati negli anni a seguire. I sedici Protocolli forniscono maggiore chiarezza intorno a diversi argomenti, e in alcuni casi hanno modificato in modo significativo il componimento della Corte.

Diritti garantiti dalla CEDU 

La Convenzione è composta da 59 articoli, di cui i primi quattordici (Titolo I) elencano e descrivono i diritti tutelati. L’articolo 1 garantisce che la Convenzione si applichi a ogni persona sottoposta alla giurisdizione dello Stato ratificante: ciò significa che lo Stato ha l’obbligo di garantire che i diritti elencati nella Convenzione siano applicati a chiunque si trovi sotto suo controllo, sia cittadini sia stranieri. Lo Stato esercita la sua giurisdizione anche su aerei o navi battenti bandiera. 

I diritti garantiti sono molteplici e coprono diverse aree, come, inter alia, il diritto alla vita, il diritto a essere liberi dalla tortura, il divieto della schiavitù e lavoro forzato, il diritto alla privacy, il diritto all’equo processo e libertà di pensiero, religione e coscienza. 

Alcuni diritti possono essere però soggetti a limitazioni. Queste limitazioni generalmente devono essere previste dalla legge, necessarie a una società democratica, alla sicurezza nazionale, alla difesa dell’ordine pubblico e alla protezione dei diritti e delle libertà altrui. Vi sono quindi dei criteri, molto spesso specifici, che lo Stato deve rispettare prima di poter limitare un diritto prescritto all’interno della Convenzione. 

Vi sono altresì dei diritti considerati inderogabili, che non possono dunque essere sospesi neanche in caso di emergenza nazionale, come il diritto alla vita (articolo 2), il divieto della tortura e di pene o trattamenti inumani o degradanti (articolo 3), il divieto di schiavitù (articolo 4) e il principio di legalità (articolo 7). 

Margine di apprezzamento 

Un altro concetto fondamentale che caratterizza la CEDU è la dottrina del margine di apprezzamento. Inizialmente relegata all’articolo 15 della Convenzione, che prevede che gli Stati membri possano derogare alcuni obblighi derivanti dal trattato in caso di guerra o di estremo pericolo per il Paese, questa dottrina è diventata di più ampio respiro e utilizzata in altri contesti. 

Infatti, la Convenzione stabilisce dei criteri standard circa diritti umani, ma lascia poi agli Stati spazio per applicare tali diritti nel contesto nazionale. Questa discrezionalità opera come un elastico, che si allarga a favore degli Stati quando non vi è un consenso significativo su una questione, e si restringe quando invece la materia è ampiamente trattata e vi è un trend generale condiviso dalle Parti contraenti. Per esempio, per i diritti considerati assoluti come il diritto alla vita, lo Stato difficilmente potrà avere un margine di apprezzamento significativo, mentre per la libertà di espressione lo Stato godrà di più spazio interpretativo. 

Il margine di apprezzamento è stato aspramente criticato da diversi studiosi, poiché ritengono che dando così tanto potere allo Stato, esso possa poi ‘mettere a tacere’ le idee meno condivise, compromettendo quindi l’essenza del diritto. Se lo Stato decide liberamente cosa costituisce motivo di limitazione alla libertà di stampa, per esempio, si può dare adito a situazioni complesse e al limite della democrazia. Altri studiosi ritengono però che il margine di apprezzamento non lasci così tanto spazio d’interpretazione, poiché alcuni criteri sono ben chiariti dalla giurisprudenza della Corte, e affermano anzi che l’esistenza di tale dottrina sia apprezzabile poiché permette allo Stato di applicare i diritti umani a seconda dei sistemi legislativi differenti, garantendo più coerenza. 

Corte europea dei diritti dell’uomo: composizione

Come si è detto, la seconda parte della CEDU (Titolo II) all’articolo 19 istituisce la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con funzione permanente e sede a Strasburgo. La Corte è composta da un numero di giudici equivalente alle Parti contraenti, che ricoprono la carica per nove anni non rinnovabili. Essi devono operare in modo indipendente dallo Stato. La Corte è articolata in Giudice unico, Comitato di tre giudici, Camera di sette giudici, e Grande Camera di diciassette giudici.  

Chi può fare ricorso alla Corte?

Il ricorso alla Corte Europea può essere presentato da individui o dalle Parti contraenti. Nel primo caso, il ricorso individuale implica che il soggetto, che deve esser stato vittima della violazione dei diritti che la Convenzione stabilisce, può chiedere alla Corte di esprimersi su tale violazione (articolo 34). I ricorsi interstatali (articolo 33) implicano che uno Stato possa presentare ricorso se crede che un’altra Parte contraente abbia violato la Convenzione: in tal caso non è necessario che lo Stato ricorrente abbia subito dei danni derivanti da questa violazione, dal momento che tutti gli Stati parte sono obbligati a osservare quanto prescritto dalla CEDU (obblighi erga omnes).

Ammissibilità

Quando viene presentato ricorso alla Corte, i giudici si devono esprimere sull’ammissibilità di tale ricorso. Il criterio comune ai ricorsi individuali e statali è l’esaurimento dei ricorsi interniInfatti, bisogna ricordare che il ruolo svolto dalla Corte è sussidiario alle corti nazionali: ciò significa che l’individuo o Stato che voglia fare ricorso alla Corte deve prima essersi rivolto agli organi nazionali. Questo principio di sussidiarietà risponde infatti all’esigenza della Corte di non volersi presentare come organo alternativo o superiore agli Stati, bensì come stretto collaboratore di tali organi. Inoltre, se non vi fossero dei criteri da questo punto di vista, le corti e tribunali internazionali non sarebbero in grado di gestire tutti i ricorsi, andando così a compromettere il sistema stesso di protezione dei diritti umani. 

Un ricorso individuale viene poi considerato irricevibile se è anonimo; sostanzialmente uguale a un caso precedentemente analizzato dalla Corte o da un’altra istanza internazionale; è manifestamente infondato; o il ricorrente non ha subito alcun pregiudizio importante (articolo 35, par. 2 e 3). 

Decisioni e sentenze della Corte 

Esistono due tipologie di pronunce della Corte: decisioni e sentenze. Il primo passo per la Corte sarà sempre quello di considerare la ricevibilità del ricorso: se l’esito dovesse essere negativo, la Corte emetterà una decisione, motivando perché ha ritenuto il ricorso irricevibile. 

Se la Corte dovesse invece esprimersi positivamente sulla ricevibilità, il ricorso verrà analizzato nella sostanza e i giudici emetteranno una sentenza. Le sentenze sono giuridicamente vincolanti per le Parti (articolo 46). 

La Corte può svolgere anche una funzione consultiva su richiesta del Comitato dei Ministri. I pareri consultivi possono riguardare questioni giuridiche relative all’interpretazione della Convenzione o dei suoi relativi Protocolli, e non possono riguardare il contenuto dei diritti garantiti nel Titolo I della Convenzione. Il Protocollo aggiuntivo XVI ha permesso che anche i giudici nazionali possano chiedere pareri consultivi alla Corte se rilevanti per il caso pendente che si sta analizzando, sebbene sia importante sottolineare che in nessun caso i pareri consultivi hanno natura giuridicamente vincolante. 

Il reale impatto della Corte

La Corte opera dunque per la tutela dei diritti umani da più di cinquant’anni e ha giudicato diversi casi. Considerata strumento fondamentale nel diritto internazionale, spesso ci si chiede quale sia il reale impatto che ha avuto nella tutela dei diritti umani. 

Uno dei modi per valutare l’operato della Corte consiste nell’analizzare la reazione degli Stati ad alcune delle sue sentenze più significative. In alcuni casi, la Corte CEDU si è espressa abbastanza duramente contro l’operato degli Stati. Come conseguenza, tali Stati hanno intrapreso dei cambiamenti all’interno del loro sistema legislativo per adeguarsi a quanto stabilito dalla Corte CEDU. Un esempio di questo fenomeno è la storica sentenza Talpis c. Italia sulla violenza domestica, dove la Corte di Strasburgo ha trovato l’Italia inadempiente nei suoi obblighi, incoraggiandola a cambiare il suo sistema legislativo in materia. Ciò è avvenuto con successo dal momento che la legislazione è stata cambiata seguendo le direttive promosse dalla Corte.

È altresì vero che sono molti gli aspetti critici di tale istituzione. Uno dei limiti strutturali della Corte è che essa non può eccedere da quanto prescritto dalla Convenzione, vale a dire che non può creare altri diritti umani se non quelli prescritti. Questo può rappresentare un limite perché i diritti umani sono una materia in evoluzione, e quello che non era considerato una libertà fondamentale negli anni 50 è adesso invece cruciale per il godimento dei diritti umani. A questa problematica la Corte ha risposto con un’interpretazione dinamica della Convenzione, considerata come “a living instrument”. Eppure questa soluzione lascia ben poco margine di manovra, soprattutto in casi dove non vi è un consenso univoco come per esempio il diritto all’aborto.

Come si è visto, la Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo è uno strumento fondamentale del diritto internazionale, a cui diverse altre convenzioni regionali si sono ispirate, come la Convenzione Americana dei Diritti dell’Uomo. La CEDU non è esente da problematiche, ma in tante occasioni il suo operato è riuscito ad avere un impatto reale nelle legislazioni degli Stati membri, restando uno dei più grandi successi del Consiglio d’Europa.  

Fonti e approfondimenti 

Consiglio d’Europa, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ETS 5, (1950). 

H. Kellen, A. Stone Sweet, Assessing the Impact of the ECHR on National Legal Systems, (2008).

I. Anrò, Il margine di apprezzamento nella giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea e della Corte europea dei Diritti dell’uomo, (2010).

N. Ronzitti, Introduzione al diritto internazionale, (2016).

Consiglio d’Europa, Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Practical Guide on Admissibility Criteria (4th edn 27 September 2017).

The Oxford Handbook of International Human Rights Book, edito da Dina Shelton, (2018).Ossrevatorio della giurisprudenza CEDU, http://www.osservatoriocedu.eu/

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