Parlami di diritti umani: il diritto alla verità

diritto alla verità
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Il diritto alla verità si configura come il combinato di una vasta serie di diritti e principi fondamentali, garantiti a una molteplicità di soggetti giuridici in merito a casi riguardanti gravi crimini contro l’umanità.

Nell’articolo di oggi affronteremo il percorso iniziale di questo diritto, dalla sua prima enunciazione e conformazione presso le Nazioni Unite, al suo successivo inserimento nei sistemi interamericano ed europeo di protezione dei diritti umani. In questa fase, vedremo come il diritto alla verità prende forma, modellandosi e adattandosi sulla base delle diverse esigenze emergenti dai contesti sociopolitici di riferimento.

Il sistema di protezione dei diritti umani

Per assicurare una spiegazione completa ed esaustiva del diritto alla verità occorre, prima di tutto, soffermarsi brevemente sul sistema di protezione dei diritti umani che opera e si sviluppa su più livelli nel contesto globale. Sul gradino più alto di questo sistema troviamo i documenti internazionali che sanciscono una vasta serie di diritti umani, primo fra tutti la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Parallelamente, si sviluppano strumenti analoghi in sede regionale per favorire l’implementazione e il rispetto di questi diritti e principi fondamentali tra Stati. Infine, l’ultimo livello, nonché quello primario del sistema di protezione dei diritti umani, è quello nazionale.

Storicamente, le prime concettualizzazioni dei diritti umani si sviluppano come parte del diritto costituzionale nazionale. È indispensabile che i diritti umani facciano parte dei sistemi costituzionali e giuridici nazionali, poiché le norme nazionali sono più direttamente applicabili, creano un quadro chiaro per organi di Stato, come le forze di polizia, e contribuiscono a una migliore cultura dei diritti umani. Allo stesso tempo, tuttavia, gli Stati costituiscono non solo il tassello più importante di questo sistema di protezione, ma anche quello più debole, dal momento che è proprio a questo livello che si manifestano le violazioni dei diritti umani.

Il diritto alla verità, derivando dal diritto umanitario, ha compiuto questo stesso percorso. Una volta giunto in sede nazionale, infatti, si è sistematicamente scontrato con una serie di strumenti giuridici o politici che ne hanno minato l’efficacia.

Il diritto alla verità nel sistema internazionale

Il diritto alla verità inizia a prendere forma in seno alla giurisprudenza delle Nazioni Unite verso l’inizio degli anni Settanta del secolo scorso, in concomitanza con l’avvio dei processi di democratizzazione in America Latina, in seguito alla caduta dei regimi autoritari nella regione. In questo contesto, il diritto alla verità assume due dimensioni, riferendosi da un lato al diritto delle famiglie di conoscere la sorte dei propri cari, vittime dei crimini perpetrati dai regimi ormai caduti, e dall’altro al dovere degli Stati coinvolti di ricercare le persone scomparse.

Il complesso assetto valoriale che il concetto di verità porta con sé viene, quindi, ricollegato a una serie di diritti e principi fondamentali già codificati nelle fonti normative internazionali. Nello specifico, questa iniziale enunciazione del diritto alla verità fa riferimento per la prima dimensione al diritto a essere liberi da torture e maltrattamenti, riconosciuto ai parenti di vittime di sparizioni, e per la seconda dimensione al diritto a un rimedio.

Il diritto alla verità nel sistema regionale interamericano

Verso la fine degli anni Settanta il sistema regionale interamericano per la protezione dei diritti umani aderisce all’orientamento delle Nazioni Unite, in risposta alle sempre più incalzanti richieste di verità provenienti dalla società civile circa i gravi crimini contro l’umanità perpetrati dai regimi autoritari oramai caduti. 

Alla luce dei cambiamenti sociopolitici che contraddistinguono questo momento storico, la Commissione interamericana, rifacendosi alle fonti normative internazionali e alla giurisprudenza delle Nazioni Unite, compie un ulteriore passo in avanti giungendo a una enunciazione ancor più particolareggiata di questo diritto. 

Ecco che il diritto alla verità assume una triplice dimensione: in primis quella di diritto autonomo, inalienabile e di conseguenza non assoggettabile a limiti di alcun tipo; assume poi una dimensione individuale, oltre che collettiva, poiché i beneficiari di questo diritto sono sia le vittime delle violazioni, o i loro congiunti, sia la collettività nel suo insieme alla quale si garantisce la conoscibilità dei fatti accaduti al fine di favorire una buona convivenza democratica – la cosiddetta verità storica.

In questo senso, il diritto alla verità si configura come libertà positiva e presuppone il dovere da parte degli organi dello Stato e dei loro funzionari di indagare al fine di individuare i responsabili, ove possibile comminare una pena adeguata e risarcire le famiglie, e informare il corpo sociale dei fatti accaduti.

Non si tratta, quindi, di un diritto a sapere fine a sé stesso, ma è piuttosto un’esigenza di disvelamento in una materia tra le più delicate e sensibili, ossia quella dei gravi crimini contro l’umanità perpetrati nei confronti di quella che si considera l’unità base dello Stato democratico: il singolo. In questo modo, il diritto alla verità si configura come un tassello di unione tra la società civile e le sue istituzioni, legandosi a doppio filo ai principi di trasparenza, responsabilità e buon governo e ponendosi a garanzia dello Stato di diritto e, di conseguenza, della democrazia stessa.

Il diritto alla verità nel sistema regionale europeo

Grazie alla circolazione di idee e principi interpretativi tra giurisdizioni distinte – il cosiddetto dialogo tra le corti – il diritto alla verità entra nella giurisprudenza del sistema europeo di protezione dei diritti umani, che fa capo al Consiglio d’Europa.

Più lento e incerto è stato il percorso di riconoscimento del diritto alla verità nella giurisprudenza della Corte europea, soprattutto a causa del fatto che il contesto storico e politico in cui si trovava a operare era nettamente diverso se confrontato con quello latinoamericano. Nonostante qualche difficoltà iniziale, questo diritto si è rivelato un ottimo strumento per contrastare alcune condotte degli organi statali che, in nome della lotta al terrorismo e della sicurezza nazionale, mettono a rischio, e talvolta violano deliberatamente, i diritti fondamentali dell’individuo.

Verso l’inizio degli anni 2000 la Corte EDU opera, quindi, un adattamento del proprio ordinamento a fronte di queste nuove esigenze, anche subordinando alcuni diritti già codificati nel testo della CEDU al diritto alla verità, o quantomeno ai diritti che lo compongono. Infatti, per quanto la Corte europea abbia in diverse occasioni optato per il riconoscimento e l’applicazione di tutta quella serie di diritti sui quali si basa il diritto alla verità, raramente lo ha espressamente citato. La ragione di ciò risiede nel fatto che, per quanto si sia tentato di codificare un autonomo diritto alla verità nei testi normativi internazionali e sovranazionali, ad oggi non si è ancora giunti a un accordo comune in questo senso.

Ad ogni modo, traspare chiaramente un approccio propositivo della Corte rispetto all’applicazione e alla garanzia dei principi che questo diritto porta con sé. Si pensi, ad esempio, alla battaglia portata avanti dai giudici europei al fine di evitare che in sede nazionale venissero applicati istituti come l’amnistia, l’indulto o la prescrizione ai casi riguardanti gravi crimini contro l’umanità, terminata con l’enunciazione di un diritto alla non impunità di questi reati.

Infine, altrettanto rilevante risulta essere la dottrina sviluppata in sede europea in merito alle misure di contrasto al terrorismo messe in atto dagli Stati membri, con la quale si ribadisce che la salvaguardia dei diritti umani fondamentali dell’individuo ha la precedenza anche rispetto alle esigenze di sicurezza nazionale opposte dagli Stati. Questa netta posizione della Corte si manifesta in seguito a una lunga serie di casi sui quali si è pronunciata, riguardanti le procedure extra-giudiziali relative alle “consegne speciali” di presunti terroristi agli Stati Uniti da parte dei Paesi europei (anche note come extraordinary renditions). In queste circostanze, infatti, molto spesso è stato opposto in sede processuale nazionale il segreto di Stato, impedendo così il disvelamento dei fatti accaduti e l’applicazione di una giusta pena ai responsabili per i gravi crimini compiuti.

Quali ostacoli?

Finora, quindi, possiamo ragionevolmente affermare che il diritto alla verità gode di una generale approvazione presso gli organi giuridici internazionali e regionali, i quali hanno gradualmente accolto la multidimensionalità di questo diritto, invitando con sempre più frequenza i colleghi nazionali a un’applicazione completa e senza limiti dei principi in esso contenuti.

Tuttavia, come si può ben immaginare considerando le modalità attraverso cui gli organi giuridici internazionali e sovranazionali sono chiamati a intervenire, lo stesso approccio propositivo non si riscontra in sede nazionale. È proprio a questo livello, infatti, che il diritto alla verità si scontra con una serie di meccanismi e strumenti giuridici o politici che ne minano le basi. Soprattutto, e ancor più grave, l’ostacolo principale all’applicazione di questo diritto risiede nella ritrosia degli organi nazionali ad adeguarsi all’assetto normativo contenuto nei documenti internazionali o sovranazionali di diritto umanitario che gli Stati stessi si sono impegnati a rispettare. Di questo parleremo nel prossimo articolo, analizzando nel dettaglio le modalità di inserimento del diritto alla verità nell’ordinamento italiano, e soffermandoci in particolare sulle criticità emerse in sede processuale, affrontando più da vicino alcuni casi che hanno avuto risonanza internazionale proprio per l’incapacità dello Stato di assicurare giustizia e verità.

 

 

Fonti e approfondimenti

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