Venti di Putin: i rapporti con la Cina

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Nel corso del Novecento, le relazioni fra Unione Sovietica e Cina non sono sempre state improntate alla cooperazione e all’amicizia, ma hanno attraversato periodi estremamente burrascosi. Dalla nascita della Federazione Russa, durante i vent’anni di regime di Vladimir Putin, le relazioni fra i due Paesi si sono gradualmente intensificate e oggi “hanno raggiunto un livello senza precedenti”, trasformandosi in un partenariato globale e in una cooperazione strategica.

In che modo, e soprattutto in quali settori chiave, le relazioni sino-russe si sono evolute dal 2000 a oggi? Quali sono gli obiettivi strategici di Putin dietro alla sua “svolta verso Est”, in particolare dopo l’inasprimento delle relazioni con l’UE dal 2014 in poi? In questo appuntamento del nostro progetto, approfondiremo le diverse sfaccettature di questo legame cardine per la Russia nel continente asiatico.

La fase di “normalizzazione” negli anni Novanta

Il 23 dicembre 1992, Russia e Cina diedero inizio a un nuovo “partenariato costruttivo” con la prima visita ufficiale del presidente Boris El’cin in Cina. I legami personali tra El’cin e il leader cinese Jiang Zemin erano buoni (Jiang appartiene all’ultima generazione di leader cinesi educati in URSS), tuttavia i due capi di Stato avevano relativamente poco di cui parlare, poiché entrambi assorbiti da urgenti problemi interni.

All’epoca, la Russia era alle prese con difficoltà economiche, la costruzione dello Stato, e la guerra in Cecenia. La Cina, invece, stava cercando di attirare investimenti esteri e costruire un’economia trainata dalle esportazioni, mantenendo il controllo statale in settori chiave. La cooperazione politica tra Mosca e Pechino negli anni Novanta, quindi, si concentrò principalmente su questioni regionali (come l’Asia centrale) e sulla delimitazione dei confini.

Nel 1996, inoltre, con la firma di un trattato per l’approfondimento della fiducia militare nelle regioni di confine, si tenne il primo vertice del gruppo degli “Shanghai Five”, che comprendeva Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan.

Da “amicizia e cooperazione” a “partenariato strategico globale”

Fra i primi atti diplomatici del presidente Putin vi fu un trattato di “buon vicinato, amicizia e cooperazione” con la sua controparte cinese, Hu Jintao, firmato nel 2001: un documento programmatico che aveva come obiettivo il continuo approfondimento dei rapporti bilaterali tra i due Paesi, aprendo nuovi orizzonti per il potenziamento della cooperazione strategica in tutti i settori.

Per cementificare ulteriormente questo sentimento di riconciliazione, Mosca concesse a Pechino circa 337 km quadrati di terre di confine, contese dall’epoca sovietica; diverse isole sulla frontiera orientale vennero così trasferite dal dominio russo a quello cinese con un accordo complementare nel 2004.

Sempre a partire dal 2001, poi, entrambi i Paesi si sono imbarcati nel progetto di trasformare il gruppo degli “Shanghai Five” in un’organizzazione di cooperazione regionale più estesa, ossia la Shanghai Cooperation Organisation (SCO). Oggi, la SCO conta otto Stati membri – ai cinque originali si sono aggiunti Uzbekistan, India e Pakistan – e da strumento di cooperazione e di sicurezza interna regionale è diventata un nuovo campo di battaglia del confronto fra Est e Ovest in Asia centrale.

La stessa partecipazione della Russia di Putin a organizzazioni regionali asiatiche come la SCO e l’Organizzazione del trattato sulla sicurezza collettiva (CSTO) rientra nel tentativo di Mosca di ricreare un bilanciamento in Asia centrale.

Questa strategia non è nuova per la Russia, ma l’astuzia del Cremlino ora punta sul soft-power e non più sull’invasione armata in difesa del “ventre molle” dell’URSS. L’intervento in Afghanistan del 1979 ordinato da Brezhnev per assicurarsi la sfera d’influenza mediorientale-asiatica, infatti, inflisse un nuovo chiodo nella bara del PCUS. Al tempo, Putin stava completando il suo addestramento come agente del KGB, il servizio segreto sovietico. Oggi, l’enorme esperienza di Putin nel navigare la politica sovietico-russa lo ha portato a scegliere una strategia diversa.

Russia e Cina hanno trovato un ulteriore terreno d’intesa nel porsi in antagonismo agli Stati Uniti, aumentando il loro livello di cooperazione politica anche su questioni internazionali. Entrambe si sono opposte alle guerre in Afghanistan e Iraq, hanno espresso preoccupazione per la presenza militare statunitense in Asia centrale e hanno unito le forze nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. In questo senso, una cooperazione più stretta con Paesi come Iran, Myanmar, Sudan e Zimbabwe rientra nell’obiettivo di scalzare l’egemonia statunitense in Africa (dimostratasi un terreno fertile sia per la Russia sia per la Cina) e Medio Oriente.

La Corea del Nord (o Repubblica Popolare Democratica di Corea, RPDC) ricopre un ruolo importante in un altro asse storico tra Pechino e Mosca. Avviati nel 2003, i Six Party Talks miravano al disarmo nucleare della Corea del Nord, attraverso dei negoziati che coinvolgono Cina, Russia, Stati Uniti, Giappone e Corea del Nord e del Sud. La vicinanza delle posizioni russe e cinesi al tavolo dei Six Party Talks ha implicazioni storiche (l’alleanza tra tre Paesi del socialismo reale nell’emisfero boreale) ma anche di “convenienza” per Mosca. In questa direzione, la prevalenza cinese nell’economia nord coreana e la distanza tra Mosca e Pyongyang hanno portato Putin a optare per una strategia più accondiscendente nei confronti di Pechino.

Dopo diversi periodi di stallo, quindi, nel 2017 Mosca e Pechino hanno proposto congiuntamente una “road map” per riavviare le trattative, progettata proprio per aumentare il coinvolgimento russo e cinese nelle relazioni intercoreane e nel dialogo tra Stati Uniti e Corea del Nord (ci sono stati un primo incontro tra Kim e Trump a Singapore nel 2018 e un secondo incontro in Vietnam nel 2019).

La cooperazione in ambito energetico e finanziario

Le relazioni con la Cina durante i primi due mandati presidenziali di Putin (2000-2008), e la sua breve parentesi come primo ministro durante la presidenza di Dmitrij Medvedev (2008-2012), non sono state caratterizzate solo dall’aumento della cooperazione politica e strategica.

La cooperazione energetica e quella commerciale e finanziaria hanno attraversato degli sviluppi altrettanto importanti, soprattutto dopo la crisi economica mondiale del 2008-2009, quando Mosca aveva bisogno di nuove fonti di capitale e Pechino era alla ricerca di nuovi fonti energetiche. Inoltre, lo spettro di un’”alleanza energetica” con la Cina serviva al Cremlino per inviare un messaggio forte ai clienti europei dopo la guerra del gas russo-ucraina nel 2006.

Nell’autunno del 2009, le compagnie petrolifere statali russe Rosneft e Transneft hanno ottenuto in prestito l’equivalente di circa 22 miliardi di euro dalla China Development Bank (CDB) attraverso un sistema di “prestito per energia”, con la garanzia di erogare 15 milioni di tonnellate di petrolio all’anno per il periodo 2011-2015. Il contratto includeva anche il prolungamento in Cina dell’oleodotto ESPO (Eastern Siberia-Pacific Ocean), costruito fra 2006 e 2012 per collegare la Siberia orientale all’Oceano Pacifico.

Nel 2008, gli scambi tra Russia e Cina avevano sfiorato i 50 miliardi di euro, con un tasso di crescita medio del 37% a partire dal 2002. Alla fine del 2009, la Cina era il principale partner commerciale della Russia, seconda solo all’UE nel suo insieme – un primato che detiene ancora oggi.

Nel 2013, da Astana (oggi Nur Sultan) capitale del Kazakistan, l’allora nuovo leader cinese Xi Jinping ha lanciato l’ambizioso progetto infrastrutturale chiamato “nuova Via della Seta” che mira a realizzare un corridoio economico fra la Cina e il resto del mondo.

Tornato alla presidenza della Federazione Russa dal 2012, Putin ha immediatamente sostenuto l’iniziativa, nella prospettiva di attirare i corposi investimenti cinesi previsti per il rafforzamento delle infrastrutture. Un ruolo importante a livello di finanziamenti è ricoperto dalla Banca Asiatica d’Investimento per le Infrastrutture, di cui la Russia è fondatrice insieme ad altri Paesi – tra cui l’Italia.

Nuove rotte eurasiatiche sono attualmente in costruzione, come la ferrovia “Chongqing-Xinjiang-Europa” e la rotta “Europa occidentale-Cina occidentale” che attraverseranno la Russia. Nelle zone di frontiera del Nord-est della Cina e dell’Estremo Oriente russo, entrambi i Paesi stanno promuovendo attivamente la costruzione di nuovi ponti, porti e altri progetti infrastrutturali.

L’ulteriore “svolta a Est” della Russia dopo la crisi ucraina

Già nel 2013, con un generale rallentamento dell’economia – la crescita del PIL della Federazione era stata solo dell’1,3%, a fronte dell’ottimistico 5% previsto dal governo – le aziende russe avevano iniziato a guardare maggiormente a Est. Ma è stato con l’inizio della crisi ucraina nel 2014 – e le conseguenti sanzioni economiche contro la Russia da parte dell’Unione europea e degli Stati Uniti – che l’atteggiamento del Cremlino nei confronti del vicinato asiatico è cambiato drasticamente.

La “svolta verso l’Asia” annunciata da Putin nel 2012 nel suo discorso all’Assemblea Nazionale – mentre la Russia ricopriva la presidenza dell’Asia-Pacific Economic Cooperation (APEC) – si è trasformata in una “svolta verso la Cina”.

A livello economico, i tre punti deboli della Russia erano la dipendenza critica dal mercato dell’energia europeo, dai mercati finanziari occidentali e da importanti tecnologie come le trivellazioni in mare aperto, gli impianti GNL e le telecomunicazioni. Mosca aveva bisogno di Pechino per diversificarsi.

Allo stesso tempo, il comitato per gli Affari Esteri del Politburo del PCC stabilì che la crisi ucraina poteva essere benefica per gli interessi cinesi perché avrebbe distratto gli Stati Uniti dalle mosse cinesi in Asia-Pacifico, e soprattutto nel Mar Cinese Meridionale.

Così, tra maggio e novembre 2014, attraverso un intenso scambio di visite da parte dei rispettivi leader, Russia e Cina hanno firmato un centinaio di accordi che ruotavano intorno a quattro sfere strategiche: energia, finanza, infrastrutture e tecnologia.

Nel campo dell’energia, è stato siglato un accordo per costruire un nuovo gasdotto, soprannominato “Power of Siberia” (“Sila Sibiri”, in russo), entrato in funzione a dicembre 2019. L’obiettivo è quello di fornire 38 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno alle regioni nord-orientali della Cina fino al 2030. Anche la capacità di trasportare petrolio russo dell’ESPO è stata raddoppiata: Mosca è diventata la principale fonte di importazione di petrolio per Pechino.

In ambito finanziario, sono stati concordati 3 anni di currency swap per un totale di 150 miliardi di renminbi (ossia più di 20 miliardi di euro), un sistema di scambio di valute che la Cina utilizza da tempo con i propri principali partner commerciali per promuovere il renminbi a livello globale.

Rispetto a infrastrutture e tecnologia, invece, oltre a un accordo iniziale con le ferrovie cinesi per costruire nuove stazioni per la metropolitana di Mosca, nel novembre 2014, la banca Sberbank è stata la prima compagnia russa a firmare un accordo con Huawei per installare la sua nuova apparecchiatura. Ciò rientrava nell’ottica di sostituire tutta la tecnologia statunitense utilizzata dagli enti governativi russi, dopo le rivelazioni di Edward Snowden nel 2013 sulla sorveglianza attuata dalla National Security Agency americana.

Un’alleanza “soft”?

Cina e Russia condividono l’aspirazione di modificare l’ordine globale, rendendolo multipolare e basato sulla compresenza di superpotenze regionali. Ancora in crisi dopo il crollo dell’URSS, la Russia combatte per il riconoscimento del suo status di potenza globale. La Cina, invece, sta riuscendo gradualmente a imporsi come tale, rappresentando una crescente minaccia al primato degli Stati Uniti.

Entrambi i Paesi puntano al mantenimento dello status quo del loro regime politico, della sovranità e della sicurezza statale, guidati da principi di integrità territoriale e da non-interferenza reciproca. In questo senso, Putin e Xi sono accomunati dal tentativo di creare un tipo di identità collettiva autoritaria concorrente a quella occidentale, condividendo il mantenimento della stabilità interna come priorità.

Per questo, Mosca si sta impegnando per allearsi con il potere di Pechino – che mantiene il primato in ogni settore di questa relazione, a parte quello energetico – e assicurarsi un posto nel nuovo “ordine multipolare” mondiale da contrapporre all’egemonia statunitense.

 

Fonti e approfondimenti

Gabuev A., A “soft alliance”? Russia-China relations after the Ukraine crisis, European Council on Foreign Relations, 2015.

Rozman G., “Giving a New Jolt to Strategic Triangle Analysis”, The Asan Forum, 30/08/17.

Downs E., Henderson J., Herberg M.E., Itoh S., O’Sullivan M.L., Skalamera M., Soylu C., The emerging Russia-Asia energy nexus, The National Bureau of Asian Research, Dec. 2018.

Lukin A., “A Russian Perspective”, The Asan Forum, 13/02/18.

Ünaldilar Kocamaz S., The Rise of New Powers in World Politics: Russia,

China and the Shanghai Cooperation Organization, Uluslararasi Iliskiler, Vol. 16, No. 61, 2019, pp. 127-141, DOI: 10.33458/uidergisi.541542.

BBC News, “China’s Xi praises ‘best friend’ Putin during Russia visit”, 06/06/19.

Shim E., “China, Russia propose resumption of six-party talks on North Korea”, UPI, 17/12/19.

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