Main Street vs Wall Street: la divergenza tra economia reale e mercati finanziari

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Main Street contro Wall Street. Economia reale contro economia finanziaria. Lo sviluppo dei mercati finanziari nel secolo scorso e in quello corrente ha avuto ripercussioni tangibili su diverse società, dagli Stati Uniti all’Europa, e su mercati emergenti come quello cinese. La divergenza tra economia reale e mercati finanziari è quindi un tema di grande rilievo che merita di essere approfondito.

Per economia reale (Main Street) di solito si intende l’insieme delle attività produttive tangibili che producono beni e servizi. In alcuni casi, Main Street può prendere una connotazione più politicizzata e settoriale, rappresentando le piccole imprese e le attività familiari contro le grandi aziende e il settore finanziario. Wall Street racchiude invece tutto ciò che rappresenta gli asset finanziari derivanti dall’economia sottostante, cioè azioni, obbligazioni, contratti di investimento. Un asset finanziario può essere descritto come un diritto sui futuri ricavi dell’azienda emettitrice. Questa definizione è importante per far luce sulle differenze tra economia finanziaria ed economia reale. 

In una zona grigia tra Main Street e Wall Street possiamo inserire il settore bancario, che può essere considerato come il collegamento principale tra i due mondi. Compito del settore bancario è infatti trasferire capitale da Wall Street a Main Street e viceversa, in cerca (almeno in teoria) dell’impiego più produttivo per quest’ultimo.

 

La grande divergenza

Per analizzare il rapporto tra l’economia reale e finanziaria, spesso il PIL è usato come misura dell’economia reale e i grandi indici azionari (S&P 500, Nasdaq ecc.) come proxy per l’economia finanziaria. Attraverso l’analisi del rapporto tra queste misure nel tempo, è possibile far luce su quando e come Wall Street e Main Street hanno cominciato a divergere in modo sostanziale.

 

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Come si può notare dal grafico, se prendiamo l’S&P500, ovvero il gruppo di borsa delle prime 500 aziende americane per capitalizzazione, come proxy per il settore finanziario, la vera divergenza tra settore finanziario ed economia reale è iniziata più o meno parallelamente all’avvento della rivoluzione tecnologica di fine anni Novanta (e ancora in corso). La serie è stata normalizzata (le due serie partono da un punto comune) per poter meglio mostrare la divergenza tra S&P 500 e PIL nel tempo.


Particolare importante, il grafico in questione tiene conto dell’inflazione nel calcolo della performance di mercato. Considerando l’alta inflazione negli Stati Uniti e nel mondo sviluppato degli anni Ottanta, si può notare come la vera divergenza sia iniziata solo successivamente alla finanziarizzazione e liberalizzazione dei mercati dell’era politica di Reagan e Thatcher e non contemporaneamente.

Spesso infatti l’opinione pubblica tende ad accreditare la divergenza dei mercati dall’economia reale alle politiche del neo-liberismo anglosassone mentre, come in molti altri casi, l’origine del cambiamento è più complessa e multiforme di quello che sembra a una lettura superficiale.

 

Derivati e tecnologia

Uno dei fattori che ha contribuito a cambiamenti radicali sui mercati finanziari è stata sicuramente l’innovazione finanziaria nel campo degli strumenti derivati iniziata a fine anni Settanta. Sebbene in esistenza da secoli, la creazione di mercati appositi per strumenti derivati (il Chicago Board of Exchange di Chicago) e la ricerca accademica nel settore (che fruttò tra le altre cose più di un premio Nobel ai professori americani che se ne occuparono per primi), contribuì indubbiamente a un‘ulteriore divergenza tra economia reale e mercati finanziari. I mercati di strumenti derivati infatti, nati con l’obiettivo di fornire una maggiore diversificazione del rischio agli investitori, spesso sono stati nel tempo terreno di speculazioni che hanno contribuito prima a espandere bolle finanziarie e poi a peggiorare le crisi risultanti.   

Oltre all’innovazione finanziaria, la tecnologia ha giocato un ruolo fondamentale nell’aumentare la produttività di alcuni settori (quelli della cosiddetta “New Economy”) rispetto ad altri, contribuendo ad aumentare la divergenza tra economia reale e mercati finanziari. Infatti,  il differenziale di crescita tra PIL e Nasdaq (l’indice che include le principali aziende tecnologiche americane e mondiali) si è fatto negli ultimi anni ancora più marcato di quella tra PIL e S&P 500, che invece è formato per la maggior parte da aziende di stampo più tradizionale (non esclusivamente aziende di tecnologia).

 

The Roaring Nineties

La rivoluzione tecnologica di fine anni Novanta/primi anni Duemila e l’eccessiva speculazione risultante hanno quindi segnato la prima grande divergenza tra economia finanziaria e reale della storia recente. Prima di allora, come è possibile notare nel grafico sottostante, il “rally” degli anni Sessanta portò a una prima divergenza poi rientrata negli anni Settanta e Ottanta. 

La discrepanza tra asset finanziari ed economia reale di fine secolo scorso è comunemente conosciuta come Dot-Com bubble, poiché la speculazione su titoli di internet ne fu la causa principale. In sintesi, la Dot-Com bubble e la successiva crisi Dot-Com furono causate da eccessiva esuberanza e ottimismo degli investitori verso aziende di internet dal futuro ancora incerto (dal grafico precedente si può notare l’estrema divergenza tra PIL reale e S&P 500. La divergenza tra PIL e NASDAQ è ancora maggiore).

 

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L’eccessiva fiducia in molte di queste aziende creò un meccanismo di feedback positivo, dove eccessivi acquisti facevano crescere il prezzo delle azioni, provocando ulteriori acquisti e via dicendo. Quando gli investitori realizzarono che molte di queste compagnie non avevano piani solidi per una crescita futura, gli indici finanziari crollarono sotto il peso delle vendite simultanee con fallimenti a catena (curiosamente una appena nata, Amazon, fu un bersaglio della Dot-Com bubble e si salvò per poco dal fallimento). 

Fortunatamente, la Crisi Dot-Com non ebbe grosse ripercussioni sull’economia reale anche se gli eccessi finanziari degli anni 2000 potevano – e dovevano – essere un segnale di allarme da non ignorare. Dopo la crisi Dot-Com e gli attentati dell’11 settembre, avvenuti nello stesso periodo, la Federal Reserve mantenne una politica di tassi di interesse bassi per far ripartire l’economia.

 

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Il grafico mostra l’andamento della Balance Sheet (Bilancio Patrimoniale) della Federal Reserve nell’ultimo anno. Aumenti così repentini di acquisti di titoli sul mercato non si erano mai verificati prima della Crisi del Coronavirus.

Tempi moderni

La Crisi del 2008 fu quindi anche una diretta conseguenza delle politiche monetarie accomodanti della Federal Reserve. Tassi di interesse bassi favorirono l’accesso facile a mutui, anche per individui con basse garanzie di copertura. L’eccessivo accesso al credito spinse di nuovo i mercati finanziari a livelli insostenibili (c’è una correlazione diretta tra l’andamento del mercato immobiliare e le speculazioni in borsa, dato che una grossa parte della ricchezza delle famiglie è di solito collegata al valore degli immobili).  All’aumentare del tasso di interesse, molte famiglie non poterono più sostenere il pagamento dei mutui, spesso ottenuti a fronte di poche garanzie, causando il collasso del mercato immobiliare che a sua volta causò il crollo di quello finanziario.

Esaminando le ultime due crisi finanziarie (Dot-Com e 2008) è importante quindi considerare il ruolo della Federal Reserve (e delle altre banche Centrali) nel determinare la divergenza tra Wall Street e Main Street. Tassi di interessi bassi favoriscono la ricerca di investimenti più rischiosi da parte degli investitori di ogni categoria. Questo significa che un basso tasso di interesse tende a favorire l’investimento in asset finanziari (investire in azioni ha di solito un’aspettativa di ritorno maggiore, se paragonato ai tassi su un deposito in banca, ma con un rischio di perdita maggiore).  La Federal Reserve dopo il 2008 reagì tagliando ulteriormente i tassi di interesse, dando il via alla più recente divergenza tra economia reale e finanziaria, alla quale si deve aggiungere l’effetto della rivoluzione tecnologica.

 

Possibili sviluppi

 Tra il 2008 e il 2019, il PIL statunitense è cresciuto del 20% (fino al periodo pre-Covid), lo S&P 500 del 128% e il Nasdaq del 327%. Questi numeri danno un’idea della magnitudine del differenziale tra il PIL e i mercati ma anche tra i mercati stessi. Per questo motivo, è impossibile parlare di divergenza tra mercati finanziari ed economia reale senza tener conto del ruolo di primo piano svolto dalla rivoluzione tecnologica. I recenti eventi legati al nuovo Coronavirus sembrano per il momento aver confermato e accentuato il trend, con i mercati sempre meno correlati all’andamento dell’economia sottostante, la Federal Reserve tornata ad abbassare i tassi di interesse e il Nasdaq ancora una volta in testa rispetto a S&P 500 ed economia reale. 

 

 

 

Fonti e approfondimenti

Federal Reserve Bank of St. Louis, GDP Series, 01/05/2020

Federal Reserve Bank of St. Louis, S&P 500 Time Series, 01/05/2020

Levy Economics Insitute, Have We Been Here Before? Phases of Financialization within the 20th Century in the United States, 01/06/2016

Ben Winck, Why are stocks soaring as the economy melts down? Thank the Fed, 19/04/2020

Nasdaq Stock Exchange, Nasdaq vs S&P 500, 01/03/2020

Callum Keown, This year is lining up exactly like the 2000 dot-com bubble crash — stocks will drop 40% from here, former Goldman manager says, 09/05/2020

 

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