di Giulia D’Amico
Il 3 gennaio 2020, le forze militari statunitensi hanno autorizzato un attacco militare tramite drone Reaper che ha causato la morte di almeno 7 persone, tra cui il generale iraniano Qasem Soleimani presso Baghdad. Dopo che, il 28 giugno 2020, la procura di Teheran ha ordinato l’arresto di coloro che sono stati ritenuti responsabili dell’uccisione del generale, viene contestata sempre più la legalità dell’operazione militare. Ciò che più desta stupore è che tra i 36 accusati vi sia anche il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. L’attacco del 3 gennaio è stato giustificato dall’ambasciatore degli USA alle Nazioni Uniti come un atto di ‘legittima difesa’, diritto garantito agli Stati membri dell’ONU, come riportato nell’Art.51 della Carta. Ciò che preoccupa maggiormente la comunità internazionale è che tale avvenimento sembra piuttosto rientrare nella lunga lista statunitense di ‘omicidi mirati’, ovvero assassini intenzionali e deliberati, con un certo grado di premeditazione, contro un soggetto già classificato come target.
Divieto dell’uso della forza
In merito all’utilizzo della forza, il diritto internazionale appare molto chiaro specificando che essa va adottata solo quando si considera strettamente necessaria per impedire un imminente attacco armato. In caso contrario, violerebbe le norme di jus cogens – in base a quanto sancito dall’art. 2 della Carta dell’ONU – e del diritto umanitario e dei diritti umani – come il diritto alla vita garantito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Per queste ragioni, gli USA hanno giustificato il loro ricorso alla forza armata sostenendo che il generale Soleimani stesse pianificando degli attacchi imminenti nei confronti delle loro basi diplomatiche presenti sul territorio e, pertanto, siano stati forzati ad agire immediatamente.
Il diritto naturale di legittima difesa
Sebbene questa motivazione possa sembrare apparentemente accettabile, numerose sono state le critiche lanciate sia dall’opposizione democratica sia dall’intera comunità internazionale. Innanzitutto, l’esistenza di un attacco armato risulta essere il requisito principale per l’applicazione di misure di legittima difesa. Ciò è stato stabilito per evitare delle operazioni che risultino sproporzionate e non necessarie se paragonate al danno subìto. In questo caso, risulta evidente che gli Stati Uniti non si trovino in un conflitto con l’Iran né tantomeno con l’Iraq che, non bisogna dimenticare, ha sofferto il danno maggiore poiché l’attentato è stato portato a termine nella capitale irachena. Inoltre, il Pentagono stesso ha successivamente smentito che Soleimani stesse pianificando alcuni attacchi imminenti contro gli USA.
Per poter legittimare un attacco di questa portata, Trump avrebbe dovuto assicurarsi prima che:
a) ci fosse un conflitto armato in atto;
b) il target prescelto fosse legittimo militarmente;
c) l’omicidio fosse pianificato ed eseguito in modo da evitare casualties erronee;
d) l’omicidio non causasse danni non necessari;
e) che fossero rispettati i principi di necessità e proporzionalità.
Diversamente dall’opinione del governo americano, Soleimani non si poteva ritenere un target legittimo poiché non è stato dimostrato il suo coinvolgimento nella pianificazione di attacchi imminenti diretti alle basi diplomatiche americane né è stato mai confermato in quali maniere egli potesse rappresentare un rischio per la vita dei cittadini americani.
Il caso bin Laden
L’abitudine di appellarsi alla legittima difesa ha caratterizzato la ‘state-practice’ statunitense in particolar modo in seguito agli attentati dell’11 settembre 2001. Infatti, si potrebbe facilmente comparare quest’assassinio a quello del leader terroristico Osama bin Laden. Anche in quel caso, l’amministrazione americana si appellò al diritto naturale di legittima difesa sostenendo di trovarsi in un conflitto armato con l’organizzazione terroristica al-Qaeda, di cui bin Laden era a capo. Quest’affermazione fu però fortemente smentita poiché, in quel determinato momento, al-Qaeda aveva già perso la propria struttura centralizzata e, pertanto, sarebbe risultato erroneo considerare bin Laden un target legittimo. Non fu nemmeno confermato che egli stesse pianificando degli attacchi imminenti contro gli USA o che rappresentasse un serio pericolo per la sicurezza di cittadini americani. Per di più, fu contestato il fatto che gli USA avessero ricevuto il consenso ad agire da parte del Pakistan e che l’azione militare fosse necessaria e proporzionata.
Tante caratteristiche molto simili al caso Soleimani che continuano a intimorire la comunità internazionale. Per questo motivo, sembra ancora attuale ciò che Anne-Marie Slaughter osservò dopo l’assassinio di bin Laden: «Avere una lista di leader che si sta per eliminare è molto preoccupante moralmente, legalmente e in termini di precedenti. Se gli altri Paesi decidessero di applicare questo stesso principio, saremmo nei guai». Ed è per questo motivo che, negli ultimi due decenni, le varie amministrazioni americane che si sono susseguite spesso non hanno rispettato i requisiti di ‘transparency’ e ‘accountability’, mancando di fornire una base legale adeguata a giustificare queste pratiche molto discutibili.
La violazione della sovranità dell’Iraq
Per effettuare un valido ‘omicidio mirato’, ovvero l’uccisione di uno specifico target in maniera intenzionale sul territorio di uno Stato terzo, gli USA avrebbero dovuto ricevere il consenso dello Stato interessato. In questo modo, il governo americano sarebbe riuscito a giustificare una tale azione militare che, diversamente, sarebbe stata considerata illegale. Ma, anche in questo caso, non mancano le discrepanze fra le giustificazioni adottate dagli USA. La loro presenza in Iraq era stata autorizzata dalla Risoluzione 1483 del Consiglio di Sicurezza in seguito agli attacchi terroristici dell’11 settembre. Però, ciò che gli USA non possono fare è utilizzare questa remota autorizzazione per condurre un attacco armato mirato all’uccisione di un generale di Stato iraniano in Iraq. Quest’azione viola enormemente la sovranità dell’Iraq, al quale non è stato neanche lontanamente chiesto il consenso ad agire sul proprio territorio. Inoltre, essendo venute a mancare le fondamenta legali per poter agire in nome della legittima difesa, un’operazione militare del genere si può quindi paragonare a una forma di ‘aggressione’ contro uno Stato sovrano.
In altre parole, l’uccisione di Soleimani sembra aggiungersi alla lunga lista di operazioni militari arbitrarie condotte dagli USA che difficilmente possono definirsi legittime. Quando un ‘omicidio mirato’ non rientra nelle operazioni di ‘law enforcement’, quindi quando l’uso della forza è intenzionale e deliberato, con un certo grado di premeditazione, contro un soggetto già classificato come target, la pratica perde la propria legittimità. Per di più, l’attacco, concluso sul territorio di uno Stato terzo non coinvolto, rappresenta una profonda violazione della sovranità dello Stato stesso. In conclusione, sebbene l’opinione pubblica continui a divergere sulla liceità o meno delle giustificazioni adottate da Trump, l’uccisione del generale Soleimani, date le caratteristiche, sembra aggiungersi alla lista di esecuzioni extra-giudiziali condotte dagli USA e non conformi alle leggi internazionali.
Questa teoria è stata sostenuta recentemente dalla stessa Agnes Callamard, Special Rapporteur dell’ONU sulle esecuzioni estragiudiziali in un report sull’utilizzo dei droni e sull’uccisione di Soleimani. La posizione assunta da Callamard conferma in maniera definitiva ciò che era stato ipotizzato durante questi mesi: in assenza di un comprovato conflitto armato tra USA e Iran, l’uccisione di un uomo di Stato iraniano – e di altri cittadini – è un atto che viola le leggi del diritto internazionale. Questa idea però viene immediatamente criticata dal segretario di Stato Mike Pompeo, il quale continua a sostenere che l’attentato del 3 gennaio sia stato pianificato e condotto in risposta a “an escalating series of armed attacks in preceding months by the Islamic Republic of Iran”. Per questo motivo, gli USA si sono detti “costretti” ad agire per prevenire ulteriori attacchi. Tuttavia, come ha spiegato Callamard, il presidente Trump ha agito in maniera arbitraria, ignorando le direttive del diritto umanitario senza che ve ne fosse la reale necessità.
Fonti e approfondimenti
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