Il Texas tra possibile conquista democratica e comparative advantage

elezioni statunitensi
Copertina di Riccardo Barelli.

Nella notte delle Midterm del 2018, mentre uno stanco Ted Cruz batteva di appena tre punti il giovane candidato democratico Beto O’Rourke per il seggio del Senato, nei corridoi del quartier generale repubblicano a Dallas, invece del clima di festa, vi era un’aria di profondo sgomento. A guardare i dati elettorali che arrivavano dai collegi, alcuni analisti commentavano con parole apocalittiche per il GOP: “se i democratici iniziano a vincere il Texas che corriamo a fare?“. Questa era la frase che più si ripeteva.

Il Texas, infatti, è da almeno cinquant’anni considerato una roccaforte repubblicana sia nella realtà che nell’immaginario. L’ultima volta che lo Stato della stella solitaria si è colorato di blu per un’elezione presidenziale è stato per la corsa del 1976, con Jimmy Carter. Da allora, durante le election nights, il municipio di Dallas si è tinto solo di rosso.

“Inutile provarci”, questo si diceva tra i democratici fino a poco tempo fa. In Texas, Romney rifilò a Obama sedici punti di vantaggio nel 2012, quattro anni prima fu staccato di ben quindici punti da McCain e, nel 2004, Kerry riuscì nell’impresa di prendere la metà dei voti di Bush. Che cosa ha reso però negli ultimi anni lo Stato della stella solitaria contendibile? Ma soprattutto, sarà davvero così?

Cosa è successo al vecchio Texas?

Per rispondere a questa domanda è necessario prendere in considerazione tre fattori centrali: la demografia, la classe media e la natura del Partito democratico. Andremo ad analizzarle una per una.

La demografia è un dato fondamentale per capire come lo Stato sia cambiato. L’immigrazione latina, sia dall’estero che da altri Stati statunitensi, sta cambiando il volto del Texas. Il rapporto demografico tra popolazione bianca e latina è di 1:9, ovvero per ogni nuovo nato o immigrato bianco nascono o arrivano nove latini da altre parti degli States. La situazione non è cambiata molto con la presidenza Trump e sono decenni che questo processo è in moto.

A questo fattore va aggiunto un cambiamento sociale della classe media del Texas. Lo Stato è stato duramente colpito dalla crisi del 2008. Nonostante quest’area sia priva di grandi banche e dunque la popolazione non abbia visto crollare i posti di lavoro nella finanza, la restrizione del credito ha colpito profondamente le famiglie che cavalcavano la bolla immobiliare e le aziende, che con la riduzione del credito hanno visto crollare la propria occupazione. Questa situazione ha portato la classe media texana ad assaporare difficoltà fino ad ora mai viste. Il rischio di perdere l’assicurazione sanitaria è diventato reale, gli assegni di disoccupazione sono diventati la costante. Nello Stato in cui, più di tutti, l’opposizione al governo federale è sempre stata una bandiera identitaria, lo Stato federale è diventato un punto di appoggio fondamentale per la sopravvivenza. In Texas l’Obamacare ha tassi molto più alti di espansione tra la popolazione bianca, dal momento che i latini, spesso, non hanno le condizioni minime per aderirvi. Lo spostamento della classe media impoverita verso i suburbs delle città ha dato un’ulteriore spinta ai democratici, rafforzando un cambiamento già aiutato dalla condizione demografica.

La terza dimensione del cambiamento è invece data dalla trasformazione del Partito democratico stesso. Storicamente, gli analisti politici a stelle e strisce sostengono che i democratici del Texas sono più repubblicani dei repubblicani di New York. Questo rendeva difficile per i democratici differenziarsi dai colleghi del Grand Old Party. Da vent’anni a questa parte ciò non è più vero. Il processo di ridefinizione partito all’indomani del 2000 con la nascita dei Democratic Socialists ha generato una profonda rivoluzione nel Partito democratico texano. Tutto il movimento si è spostato a sinistra con strategie “grassroot based” che stanno cambiando tutto il quadro politico. Candidati come Beto O’Rourke ne sono l’esempio. Nonostante quest’ultimo non sia un Democratic Socialist e possa essere annoverato tra i democratici di establishment, le sue posizioni sono assolutamente più a sinistra di quelle dello storico Partito democratico texano. O’Rourke ha aperto alla regolarizzazione degli immigrati irregolari, ai permessi di lavoro per i messicani, così da tutelarli, al Medicaid (sebbene in una forma mitigata rispetto a Bernie Sanders) e al college gratuito; un’utopia fino a pochi anni fa a Dallas.

La nuova mappa elettorale

Per poter analizzare come è cambiato il consenso elettorale in Texas è necessario guardare la mappa elettorale e capire come i tre fattori sopracitati si muovano geograficamente. I democratici hanno sempre avuto negli ultimi anni le proprie roccaforti nelle città, in particolare quelle del Sud, come San Antonio. Julian Castro, esponente di spicco dei democratici e sindaco di San Antonio dal 2009 al 2014, è proprio il segno di questa forza. I repubblicani concentrano, invece, la propria influenza intorno a Dallas – città molto più bianca di San Antonio e più vicina ai modelli della Bible Belt – e nelle zone rurali, dove il Grand Old Party raggiunge anche il 90% dei voti.

A partire da questi presupposti, osservando la mappa elettorale, si può notare come qualcosa stia cambiando. Se guardiamo alle elezioni del 2000, del 2008 e del 2018,  il cambiamento è evidente a livello cromatico. Nel 2000, Bush, che era governatore uscente dello Stato, aveva un consenso altissimo nel Texas rurale e intorno a Dallas, come da copione; nel Nord il rampollo di casa Bush raggiungeva livelli di consenso anche oltre il 90% (rosso più scuro). I democratici, invece, riuscivano a mantenere una parte del consenso lungo il confine con il Messico, senza però raggiungere alcun picco, difendendo a malapena San Antonio; Al Gore raggiungeva il 60% (blu più scuro) di consensi nei distretti elettorali più poveri intorno a San Antonio, ma perdeva negli altri.


Mappa Elettorale Texas 2000, Bush vs Al Gore (Wikipedia)


Nel 2008 Obama ha portato un cambiamento, guadagnando quasi 8 punti rispetto ad Al Gore. Il confine con il Messico diventa in questo voto totalmente omogeneo e non più solo nei punti vicini a El Paso e San Antonio. Inoltre, si nota una piccola apertura intorno a Dallas, a Austin e a Houston, distretti che nel 2000 erano stati vinti da Bush con più del 60% del consenso; chiaro segno di un cambiamento che sta arrivando.


Mappa Elettorale Texas 2008, Obama vs McCain (Wikipedia)


Il 2018 raccoglie con evidenza l’insieme di questi cambiamenti. Gli spiragli del 2008 sono diventati delle vere e proprie aperture. È vero, infatti, che il consenso di tutti quei distretti in cui i democratici avevano timidamente vinto nel 2008 si è rafforzato, allargandosi ai distretti vicini. Ma c’è anche un’altro trend generale: nelle contee repubblicane il sostegno al GOP si è scolorito. In pochissime contee, ormai, i candidati repubblicani riescono a raggiungere un consenso più alto del 60% e, spesso, vincono anche nel Nord e vicino a Dallas con pochissimi punti di vantaggio.


Mappa elettorale Texas 2018, Ted Cruz vs Beto O’Rurke (Wikipedia)


Lo scenario e il comparative advantage

Negli ultimi giorni i democratici hanno aggiunto altri tre distretti del Congresso del Texas alla loro Red to Blue Strategy, definendoli di fatto contendibili: il terzo, il sesto e il venticinquesimo (definito a livello nazionale il più “gerrymandered district” d’America). Il Texas rappresenta quindi uno scenario molto più aperto rispetto agli anni passati e sembra di fatto a portata di mano dei democratici. Ma è veramente così? Vale la pena provare?

Hillary Clinton e il suo team, sottostimando il proprio avversario e la presa che aveva sull’elettorato, hanno deciso che fosse il momento di stracciare il Grand Old Party e di provare a vincere in Texas. L’ex segretario di Stato ha passato gli ultimi due mesi di campagna girando il Texas, senza visitare il Wisconsin neanche una volta. Il risultato finale lo conosciamo tutti: il Texas è rimasto – seppur di poco – rosso, mentre il Wisconsin da blu è diventato totalmente rosso.

Proprio il triangolo Clinton-Wisconsin-Texas è l’incubo fisso nelle menti della squadra di Joe Biden, mentre Beto O’Rourke martella il quartier generale per avere fondi per la campagna a Dallas. Tutti vorrebbero vedere lo Stato della stella solitaria colorarsi di blu e consegnare ai democratici una vittoria che sarebbe storica, ma nessuno sembra volersi prendere la responsabilità di spostare energie e fondi rischiando di ripetere il fallout del 2016.

Non c’è il comparative advantage in questa situazione e molti nel partito lo stanno capendo. Visti anche i sondaggi, i democratici stanno giocando una partita troppo importante per sopravvalutare lo scenario più probabile. Pennsylvania, Michigan, Wisconsin e Arizona sono successi molto più facili da inanellare rispetto al Texas. Pensare che Dallas resterà ancora nella colonna degli Stati rossi è il modo giusto per affrontare questa sfida. La strategia casa per casa low cost e senza grandi proclami ha portato fino a questa situazione. Forse è necessario solo del tempo per vedere tingere di blu la stella solitaria.

 

Fonti e approfondimenti

& The price — and big potential payoff — of turning Texas blue, Vox, 21/09/2020

Fernandez Manny, Texas: Does Biden actually have a shot at winning? The answer is a tossup, New York Times, 26/09/2020

Svitek Patrick, National Democrats add three more Texas congressional districts to target list, The Texas Tribune, 26/08/2020

Jackson Natalie, Ph.D., Demographic Changes in Texas Could Transform the State in 2020, PRRI, 16/12/2019

 

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