Il sogno fragile di un “Regno Unito globale”

Grafica: Lo Spiegone. Immagini: Foreign and Commonwealth Office e Pixabay

Di Brexit si è scritto – ho scritto – tanto. I negoziati infiniti, il contenuto degli accordi, l’impatto sull’UE e sul Regno Unito: c’è tanto da dire, e tanto è stato già detto. Se n’è parlato soprattutto fino al 31 gennaio 2020, quando il Regno Unito ha ufficialmente abbandonato l’Unione europea. Poi, il silenzio. Fino a ora, quando, con l’avvicinarsi di un’ennesima scadenza, i negoziati si sono fatti più intensi, le dichiarazioni e i commenti più accesi, l’impazienza ormai palpabile.

Il 31 gennaio 2020 ha chiuso il capitolo del passato e ha aperto quello del futuro, soprattutto per il Regno Unito. Ma qual è questo futuro? Per il governo britannico, Brexit è il momento della liberazione: un nuovo inizio, un’occasione per riprendersi il ruolo globale sacrificato per così tanto tempo. La “global Britain”, il “Regno Unito globale”, è lo slogan di questo nuovo corso: un Paese aperto, al centro di una rete globale di alleanze, che difende il diritto internazionale e contribuisce attivamente al consolidamento del sistema internazionale.

Ma non lasciamoci ingannare dagli slogan e dai proclami ambiziosi. Il sogno della “global Britain” è profondamente contraddittorio e controverso, ancorato nella nostalgia di un “passato glorioso” fondato sull’abuso e sul dominio. Perseguire quest’ambizione ciecamente, senza esaminarne le radici culturali e senza affrontare i gravi problemi sociali ed economici del Paese, rischia di rendere il Regno Unito sempre più solo, e fragile, in un futuro senza Europa.

A che punto siamo?

Il 31 gennaio 2020, il Regno Unito ha ufficialmente abbandonato l’Unione europea, diventando dunque un Paese terzo, ed è entrato nel periodo di transizione.

Ciò significa che il Paese non è più rappresentato nelle istituzioni dell’UE e quindi non ha più potere decisionale. Allo stesso tempo, deve ancora sottostare alla legislazione UE almeno fino al 31 dicembre 2020. 

I termini dell’uscita del Regno Unito sono stati stabiliti nel cosiddetto Withdrawal agreement, rinegoziato dal governo di Boris Johnson nell’ottobre 2019, ratificato dal Parlamento britannico a gennaio 2020 e approvato dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’UE nello stesso mese. Il documento è accompagnato da una dichiarazione politica che stabilisce i principi di un accordo sulle relazioni future, che entrerebbe in vigore al termine del periodo di transizione.

Questo secondo trattato potrebbe essere limitato a questioni economiche e commerciali, o più ampio, toccando ad esempio la cooperazione in materia di sicurezza. Visti i tempi ristretti, il suo obiettivo principale sarebbe evitare una fine brusca del periodo di transizione, noto come lo scenario no deal. In assenza di un accordo, dal 1° gennaio 2021 tutte le barriere – commerciali, di movimento – tra il Regno Unito e l’UE sarebbero ripristinate istantaneamente.

La prossima scadenza da tenere d’occhio è il 15 ottobre, data concordata per concludere un accordo che dovrebbe essere ratificato dai parlamenti entro la fine dell’anno.

Il rilancio di un “Regno Unito globale”

La storia di Brexit nel Regno Unito è stata di certo movimentata: due rinvii, un accordo fallito, tre Primi ministri, due elezioni parlamentari. Per mesi, Brexit è stata l’unico terreno di scontro tra i partiti e all’interno dei partiti stessi, e l’arma politica che ha consentito a Boris Johnson di diventare leader dei conservatori e Primo ministro.

Johnson, dopo aver basato la sua campagna elettorale su Brexit come un’opportunità di rilancio e liberazione per il Paese, l’ha praticamente cancellata dal discorso pubblico dopo aver concluso l’accordo con l’UE. Il suo slogan, d’altro canto, era Get Brexit done”, ossia “completare”, ma anche “farla finita con” Brexit. Come se, una volta completato questo passaggio, non ci fosse più niente di rilevante da discutere. Come se il futuro delle relazioni con l’Unione fosse una questione tecnica e burocratica.

Una strategia politica e retorica senz’altro coerente con il messaggio principale della campagna su Brexit nel 2016: scenari grandiosi di un Regno Unito forte, centrale sulla scena globale, più ricco – scenari spesso basati su dati errati, manipolati o decontestualizzati.

L’impatto della pandemia

La pandemia da Covid-19 ha inferto un duro colpo a questa strategia. Sia il governo britannico, sia le istituzioni UE hanno dato priorità alla gestione della crisi e i negoziati sono ripresi a pieno ritmo solo di recente. L’impatto economico e sociale della pandemia è pesantissimo e qualsiasi scenario post-transizione aggraverà la crisi attuale. Con una differenza significativa: l’Unione potrebbe perdere un partner commerciale, mentre il Regno Unito ne perderà molti. Con l’uscita dall’UE, infatti, il Paese non beneficia più degli accordi commerciali conclusi dall’UE a nome degli Stati membri. Oltre a ciò, gli scambi con l’UE – principale partner commerciale del Regno Unito – soffriranno sicuramente perché la reintroduzione di barriere, almeno parziale, sarà inevitabile.

Per i sostenitori del distacco totale dall’UE, questo è il momento ideale per interrompere i negoziati e avviarsi verso una hard Brexit, finalmente liberi dall’asservimento a Bruxelles. Secondo loro, l’impatto economico del Covid-19 sarà molto più esteso di quello di Brexit, anche in assenza di un accordo commerciale con l’UE. Un ragionamento inquietante: poiché l’economia è già danneggiata, qualsiasi danno futuro al confronto sarà trascurabile. Come se le crisi economiche fossero niente più che un titolo di giornale. Come se un accordo commerciale fosse un concetto astratto, senza impatto sostanziale sulla vita delle persone. È qui che iniziano a svelarsi l’opportunismo politico e l’incapacità, o il rifiuto, di comprendere l’enorme impatto umano di qualsiasi decisione su Brexit.

Il ritorno della “minaccia” dell’UE

Avendo perso credibilità per la sua gestione discutibile dell’emergenza sanitaria, il governo di Johnson cerca ora di riportare l’attenzione pubblica sulla “minaccia” dell’UE alla sovranità. Facendo ciò, si prepara a violare il diritto internazionale, proponendo una legislazione sul mercato interno in piena violazione dell’accordo concluso pochi mesi fa con l’UE e ammettendo apertamente la potenziale violazione.

Questa mossa controversa potrebbe essere solo un tentativo di fare pressione sui negoziati, certo; ma che ciò sia vero o meno, di certo non dà un’ottima impressione del “nuovo Regno Unito” che i Conservatori vogliono costruire. Finora, il Regno Unito ha concluso 20 accordi di libero scambio con Paesi terzi e sta conducendo negoziati con almeno altri 20 Paesi e organizzazioni. La violazione del diritto internazionale – peraltro di un accordo negoziato dallo stesso governo che ora lo critica – indebolisce la posizione negoziale del Paese con i partner commerciali, ma anche la sua credibilità come garante dell’ordine globale. Risulterebbe difficile, per il governo, prendere una posizione chiara contro le violazioni di altri Paesi, senza essere accusato – a ragione – di applicare doppi standard.

Brexit è uno spartiacque storico, sia per l’UE, sia per il Regno Unito. Londra ora dovrà ricostruire la sua posizione internazionale completamente da capo, dopo quarant’anni di conflitti con l’Europa, in cui però ha anche beneficiato della protezione e della visibilità che l’Unione ha progressivamente acquisito. Con Brexit, il Regno Unito dovrà realizzare le proprie ambizioni da solo.

L’impatto umano di Brexit

Se parliamo di “Regno Unito globale”, pensiamo subito a grandi negoziati diplomatici, summit internazionali, trattati importanti. E anche Brexit, per molti versi, è raccontata come un evento astratto.

Ma parlare di Brexit come di un affare burocratico e diplomatico, una battaglia essenzialmente elitaria, insomma, ne oscura l’aspetto profondamente umano. Cancella i legami personali tra le due sponde della Manica, le storie di milioni di persone che si sono trasferite nel Regno Unito dal resto dell’UE e di tanti cittadini britannici che attualmente vivono nell’Unione europea.

Riduce la storia di Jo Cox, parlamentare laburista uccisa da un neonazista a pochi giorni dal referendum, a un trafiletto di cronaca nera. Ignora le contraddizioni insite nella narrazione di un Regno Unito come colonia dell’Unione europea – un Regno Unito che sulla schiavitù, il colonialismo e l’imperialismo politico ed economico ha costruito la sua storia di potenza globale, un passato glorioso cui alcuni guardano con nostalgia. Riduce il discorso violento e razzista sull’immigrazione, portato avanti da partiti come UKIP e Brexit Party, a una mera questione tecnica di controllo sui confini, ignorando la polarizzazione e la violenza che questa retorica produce, nonché l’impatto umano, anche recente, della politica migratoria restrittiva del governo.

Una nuova generazione Windrush?

Il futuro di coloro che immigreranno dall’UE potrebbe essere lo stesso della “generazione Windrush: migliaia di persone emigrate dai Paesi del Commonwealth verso il Regno Unito negli anni Cinquanta e Sessanta e diventate di recente bersaglio di una nuova legge sull’immigrazione approvata nel 2012, il cui obiettivo dichiarato era creare un ambiente ostile. Persone come Paulette Wilson, arrivata dalla Giamaica nel 1968 a soli dodici anni, che nel 2015 ricevette un ordine di espulsione, e negli anni successivi fu arrestata due volte e quasi deportata verso un “Paese d’origine” che aveva appena conosciuto. ODavid Jameson (nome di fantasia), anche lui arrivato dalla Giamaica a soli sei anni nel 1966; espulso dal Regno Unito nel 2013, attende giustizia a Kingston, dove non ha una dimora.

Decine, centinaia di persone i cui nomi non saranno mai scoperti, o che sono già morte e non potranno ricevere giustizia. Persone espulse dal Paese, o impossibilitate a lavorare, curarsi, affittare un appartamento, per delle leggi e un sistema ingiusti e intrinsecamente razzisti. E l’idea di proteggere il Paese dai lavoratori provenienti dall’UE (che non potranno più “saltare la fila“, secondo l’ex Primo ministro Theresa May), tra i temi principali del voto su Brexit, stride con l’idea di una “global Britain” aperta e accogliente.

La fragilità del Regno Unito globale

Questa è l’eredità della “global Britain”, che attirò lavoratori da colonie ed ex-colonie per sostenere lo sforzo di ricostruzione del Dopoguerra, ripagandoli con violenza e ostilità cinquant’anni dopo.

Il ritorno di un “Regno Unito globale”, su queste premesse, è un’operazione di facciata dietro la quale si cela la storia di un Paese profondamente fragile, stremato da una Brexit lunghissima, da una crisi economica e sanitaria drammatica, da un dibattito politico estremamente polarizzato, da crescenti tensioni tra centro e periferie, da tagli decennali alla spesa pubblica e alle protezioni sociali. Un Paese dove i deboli sono lasciati indietro, vittime di politiche e istituzioni che penalizzano le persone marginalizzate e le intrappolano in una condizione di svantaggio permanente. Un Paese che, di fronte a sfide di portata globale, si rifugia dietro i propri confini e rischia di trovarsi sempre più isolato e irrilevante.

 

Fonti e approfondimenti

UK government, The UK transition, gov.uk

Gentleman, Amelia, ‘Lambs to the slaughter’: 50 lives ruined by the Windrush scandal, The Guardian, 19/03/2020.

Tims, Anna, Brexit: EU citizens in UK could be shut out of vital services, The Guardian, 26/09/2020.

Centre for European Reform, Brexit timeline (in aggiornamento)

De Lyon, Josh e Dhingra, Swati, Covid-19 and Brexit: Contrasting sectoral impacts in the UK, VoxEU, 19/06/2020.

Sampson, Thomas, The UK economy: Brexit vs Covid-19, UK in a changing Europe, 24/08/2020.

UK Cabinet office, Reasonable Worst Case Scenario for borders at the end of the transition period on 31 December 2020, 23/09/2020.

UK Department of international trade, Existing UK trade agreements with non-EU countries, gov.uk

Johnson, Boris, Prime Minister’s statement to the House of Commons, gov.uk, 16/06/2020.

Menon, Anand, e Bevington, Matthew, “Global Britain”: Between myth and reality, ISPI Online, 29/01/2020.

Hogarth, Raphael, The Internal Market Bill breaks international law and lays the ground to break more law, Institute for government, 09/09/2020.

Commissione europea, The EU-UK withdrawal agreement, ec.europa.eu

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