Magufuli e il CCM: vincitori non indiscussi

CCM Party
@Bukulu Steven - Wikimedia Commons - CC Attribution-Share Alike 4.0 International

La gestione a dir poco autoritaria del periodo pre-elettorale aveva già dato forti indizi su come queste elezioni sarebbero andate a finire: Magufuli e il CCM si sono riconfermati vincitori indiscussi. Vincitori sì, ma indiscussi un po’ meno. 

Alle presidenziali, l’uscente/entrante Magufuli ha ottenuto più di 12 milioni di voti, l’85%, contro i quasi due milioni del secondo classificato (il 13%), Tundu Lissu, del Chadema Party, secondo quanto riportato dalla Commissione elettorale venerdì sera. Magufuli porta quindi a casa la più alta percentuale mai raggiunta da un candidato alle presidenziali dal 1995, anno del passaggio al sistema multipartitico, superano il risultato di Jakaya Kikwete del 2005 (80,28%). 

Proprio Tundu Lissu aveva dichiarato che non avrebbe accettato i risultati, visto il clima intimidatorio dei mesi che hanno preceduto le elezioni. Durante la giornata elettorale aveva lamentato l’impossibilità dei sui rappresentanti di entrare ai seggi per svolgere le funzioni di rappresentanza di partito e aveva denunciato la presenza di schede pre-compilate. Tutto questo in un P3aese che il Tanzania Electoral Watch ha praticamente definito militarizzato.

Nel frattempo a Zanzibar, il leader dell’Alliance for Change and Transparency Party dell’arcipelago, Seif Sharif Hamad, veniva arrestato insieme ad altri esponenti dello stesso partito per aver provato a protestare per i risultati. Negli scontri tra forze dell’ordine e manifestanti che sono seguiti all’annuncio della vittoria del CCM vi sono state vittime tra i civili.  

Alle segnalazioni degli esponenti dell’opposizione e alla loro richiesta di supporto internazionale – della quale l’Unione Africana è stata la prima a essere interpellata – è seguita la dichiarazione dell’ambasciata americana, che ritiene le accuse di frodi elettorali e intimidazioni fondate. Il fatto che gli osservatori internazionali fossero in numero limitato rispetto alle tornate elettorali del passato rende all’opposizione ancora più difficile dimostrare l’illegittimità di un’elezione già dichiarata regolare e valida dalla Commissione elettorale.

Arresti, censure e violenze: le armi del CCM 

La repressione ha toccato un po’ tutti i fronti. A seguito di decisioni della Tanzania Communications Regulatory Authority (TCRA) ad alcuni canali privati, online e televisivi, è stato imposto di annullare il palinsesto previsto per scusarsi pubblicamente e ad altri di interrompere la programmazione almeno temporaneamente, come riportato dal Committee to Protect Journalists. Le ragioni sono state diverse: c’è chi è stato accusato di dare informazioni scorrette – o almeno, diverse da quelle governative – su questioni politiche o legate alla gestione della pandemia nel Paese; per altri la motivazione ufficiale è stata la pubblicazione o messa in onda di contenuti violenti o a sfondo sessuale.

Per fare alcuni esempi: ad aprile Kwanza è stata chiusa per 11 mesi per aver condiviso un post dell’Ambasciata americana che parlava di emergenza sanitaria in Tanzania, considerato “anti patriottico”. Nello stesso mese Mwananchi ha subito lo stesso destino, ma per 6 mesi, dopo aver pubblicato un video che ritraeva Magufuli in un mercato affollato ai tempi del distanziamento sociale. Tutte mosse che hanno spinto i giornalisti all’autocensura per paura di ritorsioni.

Queste misure si aggiungono alla legge del 2016 che inasprisce le pene in caso di pubblicazione di contenuti diffamatori, sediziosi o illegali, a quella del 2018 che impone tasse per poter operare a chi possiede blog, piattaforme di discussione o servizi di streaming e alla decisione presa a giugno 2020 che prevede l’approvazione del governo per l’utilizzo da parte dei media locali dei contenuti di media stranieri o redatti da giornalisti stranieri. Anche il New York Times, tra gli altri, ha denunciato di non aver ottenuto l’accreditamento per poter seguire le elezioni. 

Contemporaneamente sono stati registrati arresti a candidati dell’opposizione, esponenti dei due maggiori partiti che competono con il CCM, Alliance for Change and Transparency Party (Wazalendo) e Chadema Party, e qualche giorno di carcere è toccato anche a Sheikh Issa Ponda, segretario del Council of Imams, probabilmente per il semplice fatto che si tratti di un esponente dei musulmani in un Paese a maggioranza cattolica. Ufficialmente gli arresti sono sempre avvenuti perché le attività degli incriminati erano state ritenute pericolose per il mantenimento della pace o offensive verso lo spirito nazionale. 

Come se non bastasse, anche la libertà di esprimersi e di operare di alcune organizzazioni della società civile volte alla difesa dai diritti umani sono state limitate. Come riportato da Human Rights Watch, quando a giugno la Commissione elettorale ha approvato le candidature di 96 organizzazioni come osservatori elettorali ufficiali e di altre 245 per svolgere attività di sensibilizzazione al voto ha escluso tutte le maggiori organizzazioni che avrebbero potuto avere un peso rilevante in caso di denuncia di irregolarità durante il periodo elettorale, come il Legal and Human Rights Centre che coordina il Tanzania Civil Society Consortium for Election Observation. L’ente addetto al rilascio dei permessi alle organizzazioni ha reso la vita difficile anche ai gruppi che si occupano dei diritti della comunità LGBT+ con controlli, arresti e congelamento dei conti corrente. 

l perché del risultato

Ma cosa ha portato l’85% della popolazione a votare di nuovo per Magufuli? Sicuramente le intimidazioni, le minacce, le violenze e la limitazione dell libertà hanno influito, ma non sono l’unico fattore. In Tanzania, così come in altri Paesi del continente, l’attaccamento al partito dell’indipendenza, creatore del sentimento nazionale, resta forte nella popolazione. In questo caso il partito che ha accompagnato la Tanzania all’indipendenza, TANU, è l’antenato del partito oggi di Magufuli, ma la differenza sta solo nel nome. Una parte della popolazione confida ancora nello spirito nazionalista, nello sforzo a non piegarsi alle interferenze straniere e si fida di chi ne fa i pilastri della propria propaganda politica. Gli stessi pilastri che erano di Julius Nyerere, primo presidente dalla Tanzania indipendente: la costruzione di uno Stato differente dagli esempi europei, di stampo socialista, che basasse la sua crescita sull’ujamaa, lo spirito di comunità e cooperazione che avrebbe condotto all’autosufficienza economica.

La Tanzania è inoltre un Paese tendenzialmente pacifico: dopo il periodo del monopartitismo, il CCM ha mantenuto solida la propria maggioranza e non ci sono stati scontri particolarmente violenti o colpi di stato. Perché si dovrebbe cambiare il partito di governo di uno Stato che è sempre stato pacifico in un continente in cui le guerre civili sono all’ordine del giorno?

Inoltre, nelle popolazioni nate a seguito della decolonizzazione e che hanno “recentemente” costruito un sentimento nazionale diffuso, si ritrova spesso la paura che il multipartitismo – accettato de iure, ma appunto temuto de facto – possa creare fratture sociali. Anche qui, nel caso della Tanzania, si ritorna a Nyerere, convinto che il monopartitismo, che cerca il consenso, fosse più democratico del multipartitismo, che crea competizione. Quando poi all’inizio degli anni ’90, prima di lasciare il potere, si espresse a favore di una rivalutazione del multipartitismo, una commissione di inchiesta scoprì che più del 70% della popolazione era contrario.

Quindi, è il partito che permette a Magufuli di restare al potere? Probabilmente sì, Magufuli deve ringraziare il partito più di quanto debba ringraziare se stesso, anche se la mossa fatta 5 anni fa di presentarsi come il volto nuovo del partito, arrivato per combattere la corruzione interna al CCM è stata vincente. Mossa che gli ha permesso di crearsi un network di sostenitori diffuso, direttamente a contatto con il popolo, grazie alla quale ha conquistato anche le zone solitamente in mano all’opposizione. 

Nei prossimi giorni le manifestazioni dovranno essere seguite con attenzione. Se da una parte le accuse al CCM possono screditare il partito ledendone la legittimità, dall’altra lo aiuteranno a rafforzare il supporto dei fedeli storici, che si uniranno in difesa del partito figlio della liberazione. Potrebbero sortire le stesse opposte reazioni anche le posizioni degli attori internazionali: se, come già successo con l’ambasciata americana, altri Paesi criticheranno l’andamento delle elezioni, lo spirito nazionalista dei sostenitori di Magufuli verrà ulteriormente stimolato e l’attaccamento al partito che difende gli interessi tanzaniani dalle interferenze straniere rafforzato.

Si vocifera nella maggiornaza che avere più di due terzi dei parlamentari significhi per il CCM la possibilità di modificare l’art. 40 della costituzione che fissa a due il numero di mandati per il presidente e permettere a Magufuli di candidarsi ancora una volta nel 2025. Ma appunto, per ora, si tratta di voci.

 

Fonti e approfondimenti

Abdi Latif Dahir, As Tanzania Votes, Many See Democracy Itself on the Ballot, The New York Times, Oct. 29, 2020

Al Jazeera, Magufuli wins re-election in Tanzania; opposition cries foul, 30 Oct 2020

Al Jazeera,Tanzania’s incumbent president poised to be declared winner, 30 Oct 2020

Human Rights Watch, Tanzania: Freedoms Threatened Ahead of Elections, September 2, 2020 

Muthoki Mumo, Ahead of elections, Tanzania’s regulator is used as a cudgel against the media, CPJ, 0

The Citizen Reporter, TCRA suspends Clouds FM and TV for Seven days, station goes off air, The Citizen, 27 August 2020

 

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