“L’Illuminismo digitale”: rileggere alcuni insegnamenti di Kant ai giorni nostri

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Nel 1784 Kant definì l’Illuminismo come “l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che è a sé stesso imputabile.” La minorità di cui parla il filosofo prussiano è l’incapacità di servirsi della propria intelligenza senza la guida di un altro. Colpevole è colui che si adagia su di essa – ovviamente se la sua causa non dipende da un difetto di intelligenza – per mancanza di decisione e di coraggio. Se si parte dal presupposto kantiano che l’Illuminismo non debba essere confinato in un periodo storico ma rappresenta un processo continuo, avente il seguente motto: “Sapere aude: abbi il coraggio di servirti della tua stessa ragione”, si può attingere a questo insegnamento anche oggi e introdurre il concetto di illuminismo digitale.

I social network, l’Internet of Things (IoT) che pone le basi dell’Industria 4.0, i big data sono solo alcune delle sfide che caratterizzano la nostra epoca, che indicano la strada che il mondo prenderà; dunque, dal momento che riguardano ognuno di noi, davanti a esse non possiamo permetterci di farci trovare del tutto impreparati. Questo non vuol dire che dobbiamo avere tutti un profilo altamente tecnico, ma un buon utilizzo della ragione può rivelarsi uno strumento fondamentale per non essere inglobati passivamente in questa realtà. Serve educazione e serve curiosità. Non bisogna affatto limitarsi ad ammettere di non capire perché “è troppo difficile” o perché “ormai non c’è via d’uscita”, poiché le conseguenze possono essere tutt’altro che banali.

 

La nascita di una società alternativa

Internet gioca oggi un ruolo vitale per la società in cui viviamo e, a tal riguardo, è curioso soffermarsi sulla sua origine. Infatti, solo nella California degli anni ’60 poteva diffondersi un modello del tutto rivoluzionario di rendere accessibile a quante più persone possibili un mezzo allora utilizzato solo in ambito militare. È stato infatti soprattutto l’ideale comunitario dei figli dei fiori, la voglia di allargare gli orizzonti e il disprezzo per l’autorità centralizzata a rafforzare i fondamenti etici di Internet e dell’intera rivoluzione del computer. L’intento, dunque, era di creare una società alternativa. E, indubbiamente, l’obiettivo di una società diversa è stato centrato.

Nel 1969, contemporaneamente alle proteste degli studenti e a Woodstock, ci fu il primo collegamento tra i computer di quattro università statunitensi (Los Angeles, San Francisco, Santa Barbara e Utah). Bisognerà poi aspettare il 1991 per la presentazione della prima pagina web da parte di due studiosi del CERN di Ginevra, Tim Berners-Lee e Robert Cailliau. Dopodiché l’accesso a Internet è diventato sempre più semplice e, nel giro di pochi anni, disponibile alla maggior parte della popolazione mondiale. 

Solo per dare un’idea, nel 1995, anno di nascita di Internet Explorer, lo 0,4% della popolazione globale aveva accesso a Internet. Dopo 25 anni, nel giugno 2020, la percentuale ha raggiunto il 62%. 

Chiara Antoniniundefinedundefined

La pandemia da Covid-19 ha inevitabilmente accelerato l’invasività di Internet e, dunque, è prevedibile che la percentuale e i numeri appena visti continueranno a crescere. A ciò si aggiunge il riconoscimento a livello europeo e internazionale dell’importanza di avere un accesso alla rete che sia disponibile a tutti.

 

Come si può raggiungere una società “illuminata” digitalmente?

L’UE si sta impegnando per rendere la rete e l’ambiente digitale un luogo democratico e di diritti e per farsi promotrice presso le Nazioni unite di questo indispensabile asset per il mondo che verrà. Come ha ricordato il presidente del Parlamento europeo David Sassoli, l’impossibilità di alcuni di accedere a Internet – il cosiddetto divario digitale – oltre ad avere un impatto sul lavoro, sull’impresa, sullo sviluppo scientifico, sociale e culturale, lo ha anche sulla sfera privata e sul benessere dell’individuo, e questi mesi lo hanno ben dimostrato. 

Tale prospettiva esprime un orientamento trasparente verso cui gli attori internazionali intendono indirizzare il mondo, in un certo senso anche inevitabilmente. A tal riguardo, risulta ancora più urgente uscire dallo stato di minorità “kantiano”. L’accesso a Internet, essendo un mezzo potentissimo, da solo non è pienamente sufficiente; è infatti una tecnologia che bisogna saper maneggiare e, dunque, formazione e preparazione sono d’obbligo. Questo discorso, seppur applicabile all’intera società, diventa ancora più urgente e bisognoso di attenzione quando si pensa all’ultima generazione e a quelle che verranno, bombardate in continuazione da stimoli digitali. Si deve evitare di cadere nel pericoloso e sempre più presente fenomeno della “disinformazione digitale” e sono proprio le ragazze e i ragazzi i soggetti in grado di scongiurare questa deriva. Bisogna, quindi, dare centralità a una materia cui, almeno in termini di educazione, non si prestano ancora le dovute attenzioni. 

Un approccio più cosciente e formativo alla rete, la consapevolezza dell’importanza dei dati che quotidianamente vengono rilasciati online senza la minima attenzione (in primis l’accettazione passiva di Cookie) e il riconoscimento della necessità di identificare le fonti senza credere a qualsiasi informazione ci venga proposta rappresenterebbero i primi passi per una società definibile “illuminata” digitalmente. Tutte queste azioni si fondano “semplicemente” sul pensiero critico e, dunque, sull’uso della ragione. Ma per raggiungere una società “illuminata” in tal senso un ruolo indispensabile è quello delle istituzioni e delle politiche messe in campo dagli Stati.

 

Siamo ancora in tempo?

A 150 anni dalla pubblicazione del pamphlet del filosofo prussiano, due studiosi della Scuola di Francoforte pubblicarono un saggio dal titolo “Dialettica dell’Illuminismo”, nel quale “rileggevano” la storia umana a partire dalla spinta illuministica auspicata da Kant. L’opera venne pubblicata nel 1947 e dunque non poteva non fare riferimento agli orrori che il genere umano era riuscito a produrre negli anni precedenti. Nella premessa si legge: “quanto ci eravamo proposti era niente meno che di comprendere perché l’umanità, invece di entrare in uno stato veramente umano, sprofondi in un nuovo genere di barbarie”. 

Internet è ufficialmente tra noi da poco più di 25 anni, la sua velocità di diffusione è elevatissima e stare al suo passo spesso è complicato. Ma non bisogna permettere che diventi a tutti gli effetti un tutore, manipolato da chi ne ha conoscenza o i mezzi necessari (governi, multinazionali o singoli individui), davanti ai quali l’essere umano resti immobile, per paura, per rassegnazione o ancora peggio per ignoranza e convinzione. Bisogna capire e domandare per evitare di sprofondare ancora in un “nuovo genere di barbarie”. Come è stato detto da altri, “Internet non è solo tecnologia, ma è l’epoca in cui viviamo” e dunque, essendo ora al bivio, è una sfida che deve interessare tutti.

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