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Comunicazione e prospettive della destra statunitense

manga washington

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

“Oso dire che se la democrazia americana cessasse di progredire come una forza viva, cercando giorno e notte con mezzi pacifici, di migliorare le condizioni dei nostri cittadini, la forza del fascismo crescerà nel nostro Paese” 

Franklin Delano Roosevelt – Traduzione di Umberto Eco (1995). “Il fascismo eterno”.

Lo scorso 20 gennaio, con l’insediamento del neoeletto presidente Biden alla Casa Bianca, si è ufficialmente conclusa l’esperienza di Donald Trump alla guida degli Stati Uniti. La vittoria democratica alle elezioni presidenziali non ha soltanto segnato la fine di un’amministrazione, quanto di un vero e proprio tentativo di delegittimazione delle istituzioni democratiche statunitensi durato quattro anni, di cui l’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio ha rappresentato l’apice. 

Durante la certificazione del risultato elettorale a opera del Congresso – un passaggio necessario per procedere con la transizione -, alcune centinaia di sostenitori di Trump hanno invaso le sale del Campidoglio. A suonare la carica, come testimoniano i simboli e le bandiere sventolate nel corso dell’attacco, è stato un nucleo appartenente a quelle sotto-culture politiche che, negli ultimi anni, sono divenute note al grande pubblico con la denominazione di “alt-right”, o destra alternativa

Mentre l’imprenditore newyorkese portava avanti una delegittimazione delle istituzioni dall’interno insieme alle frange più radicali del Partito repubblicano, l’obiettivo dell’alt-right è stato ed è tuttora quello di delegittimare dal basso un insieme di significati culturali. Questi due processi non nascono con l’elezione di Trump. Ma si inseriscono in un contesto storico in cui il razzismo e il machismo storicamente presenti negli USA hanno saputo trovare nuova linfa. In particolare, grazie allo sviluppo di specifiche modalità espressive sui social network. 

Le origini dell’alt-right

Il primo a utilizzare l’espressione alternative right fu il professore e filosofo conservatore Paul Gottfried. Nel novembre del 2008, nei giorni immediatamente successivi alle elezioni che videro la vittoria del primo presidente afroamericano nella storia degli Stati Uniti, Barack Obama, Gottfried organizzò una serie di conferenze intitolate “Il declino e l’ascesa dell’alternative right”. 

L’obiettivo del filosofo e dalla sua associazione, il Mencken Club, era quello di promuovere una nuova corrente politica e intellettuale, indipendente rispetto all’establishment del Partito repubblicano. Sulla scia del movimento paleo-conservatore che aveva visto in Pat Buchanan, candidato alle elezioni presidenziali del 2000, il proprio alfiere, Gottfried intendeva tracciare un percorso per il futuro della nuova destra statunitense. Questa sarebbe stata caratterizzata da una visione reazionaria sui temi dell’immigrazione e del multiculturalismo e fortemente contraria al libero commercio e all’interventismo in politica estera.

Se il ciclo di conferenze, e più in generale il progetto di Gottfried, erano rivolti a una cerchia ristretta di intellettuali conservatori, un paio di anni più tardi un allievo di Gottfried, Richard Spencer, provò a uscire da questa nicchia per condizionare il dibattito pubblico online. Sul blog AlternativeRight.org, aperto nel 2010, egli propose una prima formulazione di alcuni concetti che sarebbero diventati centrali nella galassia della alt-right, ad esempio la “biodiversità umana”, che predica la classificazione delle razze e la loro suddivisione in diversi Stati-nazionali.

La visione etno-nazionalista di Spencer, fiero sostenitore di una “pulizia etnica” per la quale gli americani non bianchi dovrebbero lasciare pacificamente il Paese, prese forma sul suo blog in una miscela di riferimenti accademici e cultura pop, uno stile che avrebbe caratterizzato molti autori della nuova destra. Assieme a Curtis Yarvin, un altro blogger con idee razziste, anti-egalitarie e anti-democratiche, Spencer contribuì a introdurre e diffondere una delle idee chiave della corrente in ascesa: la metafora della pillola rossa.

Tratta dal famoso film di fantascienza “Matrix”, essa si riferisce a un momento topico della pellicola in cui al protagonista Neo viene offerta la possibilità di scegliere tra due pillole. Prendendo la pillola blu, il protagonista avrebbe dimenticato quanto scoperto sulla falsa realtà di Matrix; al contrario, la pillola rossa avrebbe portato Neo a una piena comprensione dell’esistente. 

In sostanza, all’assunzione della pillola rossa viene associato il momento del “risveglio”, quello della consapevolezza sulla vera realtà del mondo. In uno degli scritti di Yarvin, egli argomenta le sue tesi contro la democrazia proprio utilizzando questa metafora. Tuttavia, quest’ultima avrebbe ottenuto una grande fortuna anche in un altro ambiente comunicativo decisivo per comprendere il fenomeno della destra alternativa: la man-o-sphere, o maschiosfera. 

La dimensione sessuale

Con il termine maschiosfera alcuni autori, tra cui Nagle, indicano l’insieme di sottoculture nate online, accomunate dall’ostilità nei confronti del femminismo. Se nelle riflessioni di Spencer il risveglio è connotato in termini di identità razziale, come reazione al declino di un Occidente in cui la centralità della razza bianca viene sempre più messa in discussione, in questi contesti – ad esempio alcune sotto-sezioni del social network Reddit – la metafora della pillola rossa fu declinata in un primo momento in termini di genere. 

Gli utenti attivi su questi canali di discussione, solitamente maschi bianchi eterosessuali, ritengono che la crisi della società occidentale – e in particolare di quella statunitense – abbia avuto inizio con la liberazione sessuale degli anni Sessanta e con la crescita del movimento per i diritti delle donne. In sostanza, secondo quanto sostenuto nella maschiosfera, questi fenomeni interconnessi avrebbero rovesciato la tradizionale gerarchia sociale, che vedeva l’uomo al vertice. 

Viene così ribaltata la prospettiva assunta dalla nuova sinistra: i veri soggetti oppressi non sarebbero le donne che lottano per la parità di genere, ma gli uomini. Secondo la loro visione, la società sarebbe dominata dalla narrativa femminista e per questo gli uomini sarebbero oggetto di misandria e vittime di ingiustizie di ogni tipo, dai tradimenti alle false accuse di stupro, uno degli strumenti utilizzati per comprimere la sfera d’azione e i diritti degli uomini. Sarebbe questa la realtà evidente a chi riesce a “risvegliarsi” e rifiutare il femminismo. 

Da chi assume la pillola rossa, le donne vengono considerate come il soggetto forte nella dimensione sessuale, ma non solo: le relazioni sociali risulterebbero determinate e totalmente dipendenti da quelle sessuali. Le donne, percepite da questo mondo come libere di scegliere tra una vasta schiera di pretendenti perennemente in lotta tra loro, avrebbero il potere di determinare la realizzazione maschile nella dimensione sessuale e di permettere agli uomini di occupare il gradino più alto della piramide sociale. 

In alcuni casi, tale prospettiva è stata rifiutata da parte del mondo dell’alt-right. In altri, invece, la sua diffusione ha contribuito alla propagazione di idee misogine, patriarcali e, non ultimo, razziste. Infatti, una volta accettata la cornice della competizione, la gerarchia che dovrebbe vedere in cima gli uomini bianchi, se considerata in chiave sessuale, viene drasticamente rovesciata. Al vertice della scala sociale si troverebbero pertanto le razze ritenute più virili, ossia quelle dell’emisfero meridionale: in questo modo la questione di genere si è intrecciata con quella razziale.

Come testimoniato dalla recente diffusione di neologismi concepiti su queste reti, tali convinzioni hanno finito per trasformare il linguaggio utilizzato dagli utenti anche sulle piattaforme mainstream. Un esempio su tutti: uno degli insulti più comuni deriva da cuckold”, espressione che indica un genere pornografico in cui una donna sposata con un uomo bianco ha rapporti sessuali con un uomo afroamericano. Negli ultimi anni, “cuck” e “cuckservative”- unione di cuckold e conservative, nato per prendere di mira i “finti” conservatori – riferiti a uomini che avrebbero abbracciato la causa femminista o delle minoranze, sono diventati di uso comune su tutti i social network.

L’alt-right e il marxismo culturale

Sebbene sia stato spesso interpretato come un insieme omogeneo di forze, in realtà il mondo della destra alternativa è molto complesso e frammentato al proprio interno. Riprendendo la definizione di Umberto Eco, si potrebbe pensare all’alt-right come a un totalitarismo sfocato (“fuzzy”), un collage di diverse idee politiche e filosofiche e allo stesso tempo un alveare di contraddizioni in cui si mescolano nazionalismo, suprematismo, sessismo, razzismo, xenofobia, antisemitismo, rifiuto del modernismo e odio verso il multiculturalismo. Su due elementi, però, la maggior parte delle fazioni nate in rete concordano: il terreno d’azione e il nemico comune

Inserendosi nel percorso tracciato dalla Nuova Destra Europea, movimento sorto in Francia negli anni Sessanta, la destra alternativa statunitense rielabora il pensiero di Antonio Gramsci, secondo cui il cambiamento culturale nella società precede e determina il cambiamento politico. Come sostiene Minna Stern, l’alt-right cerca di esercitare una forma di soft power attorno a due poli principali, che ne permettono la strutturazione. Il primo è la propaganda, ovvero l’articolazione espressiva di un messaggio definito; il secondo è la creazione e l’organizzazione di una comunità che vive secondo una filosofia comune, nucleo centrale del futuro ordine politico.

Il campo su cui gioca l’alt-right, pertanto, è quello in cui si determina il controllo delle idee e dei significati, quello dei media e del dibattito pubblico. Un’idea condivisa, tra gli altri, anche dal fondatore del sito di informazione di destra Breitbart News, Andrew Breitbart, secondo cui “la politica si trova a valle della cultura”. Nel primo periodo della presidenza Trump proprio Breitbart News sarebbe stata definita “la piattaforma dell’alt right” dall’allora stratega della Casa Bianca ed ex direttore del sito, Stephen Bannon, una delle principali figure del movimento e tra i più convinti sostenitori della necessità di un’unica guerra culturale totale.

Infatti, nella prospettiva assunta dalla destra alternativa, femministe, minoranze e attivisti di sinistra non sono altro che diversi volti dello stesso nemico: il marxismo culturale. L’idea del marxismo culturale deriva dalla Germania nazista: Adolf Hitler e l’artefice della propaganda nazionalsocialista Joseph Goebbels coniarono il termine “bolscevismo culturale”  come epiteto antisemita e come espressione generica per attaccare qualsiasi tendenza culturale modernista, percepita come corruttrice o portatrice di degenerazione della tradizione tedesca. Negli Stati Uniti del post-guerra fredda, alcuni think tank paleo-conservatori e organizzazioni nazionaliste bianche hanno ripreso questa idea, modificandone parzialmente la denominazione. 

Nei primi anni del ventunesimo secolo, l’utilizzo di questa etichetta ebbe ampia diffusione all’interno del mondo conservatore. Lungi dal rappresentare un’analisi accurata della realtà statunitense, diversi media e movimenti di destra svilupparono una teoria della cospirazione onnicomprensiva. In base a questa, un’élite malvagia controllerebbe tanto le istituzioni politiche quanto l’industria culturale, orientando il dibattito pubblico in una direzione sfavorevole agli interessi dei conservatori bianchi, non più rappresentati da un Partito repubblicano ormai incapace di opporsi alla spinta progressista. Una sintesi efficace di questo pensiero è quella fornita da uno dei vertici di Breitbart, Joel Pollack, che nell’agosto del 2017 ha dichiarato che l’obiettivo del sito è muovere guerra su tre fronti: Hollywood e i media mainstream, il Partito democratico e la sinistra istituzionale, l’establishment Repubblicano a Washington

La comunicazione dell’alt-right

Facendo propria un’interpretazione radicale del primo emendamento della Costituzione statunitense, che tutela la libertà di espressione, i seguaci della alt-right hanno scelto di scagliarsi contro il “politicamente corretto”, interpretato alla stregua di un’ideologia promossa dalle istituzioni universitarie offline e dagli attivisti di sinistra -definiti “guerrieri della giustizia sociale”- online. Il politicamente corretto è stato quindi individuato come bersaglio, in quanto identificato come strumento grazie al quale il marxismo culturale controlla il dibattito pubblico. La percepita diffusione di un linguaggio più inclusivo, e la relativa sfida alla libertà di parola all’interno della società, hanno portato a una reazione violenta che si è strutturata sfruttando le possibilità favorite dalle piattaforme, a partire da 4chan

4chan.org è un forum incentrato sulle immagini creato nel 2003 da Christopher Poole. Nelle varie sezioni in cui si articola il sito è possibile prendere parte in maniera anonima a conversazioni su svariate tematiche, in ogni caso all’insegna del “politicamente scorretto”, come si legge una volta entrati. L’anonimato radicale, una delle caratteristiche principali della piattaforma, consente di svincolare l’individuo dalla responsabilità delle proprie azioni. Dato che su 4chan in sostanza non esistono limitazioni, nel corso del tempo questa si è trovata a rappresentare sempre di più il forum di riferimento per gli utenti più violenti, esclusi in maniera più o meno forzosa dalle altre piattaforme. In questo contesto, la comunicazione e il linguaggio dell’alt right hanno potuto evolvere.

Data la natura del forum (definito imageboard), non sorprende che proprio qui abbiano preso piede i contenuti virali noti come “meme”. I meme sono composti da un elemento fisso, l’immagine, e da un elemento variabile, il testo. A differenza dei semplici contenuti virali, che non richiedono un coinvolgimento attivo dell’utente, essi nascono per essere continuamente modificati e re-inventati. I meme costituiscono una modalità espressiva tipica del Web 2.0 e non di rado vengono condivisi anche da esponenti politici. La parabola dei meme è significativa non solo per la loro rilevanza in quanto forma di comunicazione in sé, ma perché il loro saltare da una piattaforma all’altra simboleggia il tentativo di influenza culturale operato dalla destra alternativa. Se nelle bolle radicalizzate e meno controllate del Web i seguaci di quest’ultima elaborano la maggior parte della loro produzione culturale, i meme vengono contemporaneamente immessi nelle piattaforme generaliste, con l’obiettivo di legittimare e normalizzare le idee più estreme. In questo processo, il linguaggio ironico, caratteristico dei meme, costituisce una potente maschera dietro la quale nascondersi: lo “scherzo” è diventato uno dei passe-partout per diffondere razzismo e sessismo nel dibattito pubblico

La legittimazione della violenza

Il dibattito pubblico non è orientato solo dalle abilità comunicative della destra iper-connessa. Fin dalla campagna elettorale del 2016, l’ex presidente Trump è stato il più grande artefice della radicalizzazione del Partito repubblicano e della iper-polarizzazione dell’intera società statunitense. Nelle sue parole, questa auto-immaginata “maggioranza silenziosa” ha potuto riconoscersi, identificarsi e, soprattutto, ottenere una forte legittimazione culturale. Se è vero, infatti, che il Partito repubblicano ha modellato il suo brand sull’identità razziale e sul populismo etnico dalla seconda metà degli anni Sessanta, Trump si è spinto ancora più in là, sostenuto contemporaneamente dalla stragrande maggioranza del suo partito, da siti neo-nazisti come Stormfront e da riviste e think tank suprematisti come American Renaissance e il National Policy Institute, che grazie a lui e a media più mainstream come Fox News sono riusciti a emergere e ottenere una forte visibilità. 

Anche se nel corso del tempo alcune di queste realtà sono entrate in rotta di collisione con l’operato del presidente, e diverse figure hanno perso la propria centralità anche a causa di guai giudiziari e scandali l’influenza esercitata dal movimento è innegabile. La propagazione e legittimazione di queste idee ha contribuito a risvegliare l’anima più razzista e machista della società statunitense e a provocare tanti episodi di violenza. Uno dei più iconici è stato senza dubbio la manifestazione organizzata nell’agosto del 2017 a Charlottesville, in Virginia, per protestare contro la rimozione di una statua del generale confederato Robert Lee. Gli slogan e i canti intonati durante la protesta richiamavano esplicitamente la teoria del “genocidio bianco”, promossa anch’essa dall’alt-right, in base alla quale le oscure forze del marxismo culturale stanno promuovendo una sostituzione etnica ai danni della razza bianca, condannata all’estinzione dai flussi migratori. In quell’occasione, non soltanto si verificarono scontri tra i gruppi di suprematisti bianchi e quelli dei contro-manifestanti accorsi sul luogo della manifestazione, ma uno dei primi uccise un attivista, Heather Heyer, e ferì altre 19 persone. Trump si rifiutò di condannare le azioni dell’assassino e degli estremisti di destra, incolpando in egual misura i due schieramenti per gli atti di violenza. 

Il 2017 fu un anno caratterizzato da un’escalation del numero dei crimini d’odio. Ma nonostante la forte ondata di violenza e la gravità di quanto accaduto ad agosto, il presidente e l’establishment repubblicano hanno ignorato, quando non espressamente incoraggiato, la minaccia razzista. Il 2020 ha segnato un nuovo apice, in cui si è palesata una chiara convergenza tra il GOP e i suprematisti bianchi. Dopo che la scorsa estate un 17enne sostenitore di Trump ha ucciso due manifestanti di Black Lives Matter a Kenosha (Wisconsin), gli esponenti del Partito repubblicano locale e il senatore Ron Johnson hanno rifiutato di condannarlo, mentre Trump ha in più occasioni sostenuto l’importanza di avere milizie locali pronte, in opposizione agli antifascisti e agli attivisti e simpatizzanti di BLM. La legittimazione televisiva dei Proud Boys – uno dei gruppi più violenti dell’universo alt-right – nel primo dibattito presidenziale è stato solo l’ennesimo atto di una campagna permanente in favore del fascismo e funzionale a una deriva autoritaria delle istituzioni statunitensi. 

La grande cospirazione

Lo scorso anno ha guadagnato una grande popolarità mediatica un’altra creatura di 4chan, “QAnon”. QAnon è una teoria cospirativa che ha preso piede nell’autunno del 2017, quando un utente di nome “Q” ha iniziato a condividere una serie di messaggi (le cosiddette “briciole”) in cui sosteneva di essere in possesso di informazioni sul grande complotto mondiale ordito dalla “Cabala”. La Cabala sarebbe una vasta rete di satanisti e pedofili cui apparterrebbero personalità della classe politica, del mondo della finanza, di Hollywood e di altri centri di potere, contro cui starebbe combattendo Donald Trump. Sebbene risultino evidenti le analogie con il marxismo culturale e altre teorie diffuse sui social media e sul sito https://www.infowars.com dal più noto complottista statunitense, Alex Jones, ciò che contraddistingue QAnon è la sua interattività

Secondo Wu Ming 1 e Florian Cramer, il successo di QAnon sarebbe proprio dovuto alla sua capacità di spingere il lettore a una continua interpretazione delle informazioni segrete. Una volta accettate le premesse del mito, starebbe ai seguaci della teoria trovare le informazioni mancanti per ottenere un quadro completo della cospirazione, nella quale possono rientrare elementi di ogni tipo, ormai dipendenti esclusivamente dalle pre-convinzioni del ricercatore. QAnon funzionerebbe quindi come un “gioco collettivo di interpretazione testuale”, cui tutti i seguaci partecipano attivamente, mettendo in relazione elementi riempiti – da loro stessi – di un significato semi-religioso. Sebbene le teorie del complotto non rappresentino una novità nella storia degli Stati Uniti, il potenziale manifestato da QAnon non ha precedenti: per Adrienne LaFrance, si tratta di un gigantesco “movimento unito nel rifiuto di massa della ragione e dell’obiettività”. Una nuova religione, e contestualmente un pericolo  per l’ordine degli USA, tanto che in un documento della FBI essa viene classificata come minaccia di terrorismo interno. Ma in QAnon c’è un altro elemento di novità: l’amplificazione del messaggio da parte delle élite politiche come strumento di campagna elettorale

Anche se quando è stato intervistato dai media in proposito ha detto di non essere a conoscenza della teoria, Trump ha condiviso in più di un’occasione sui propri profili social diversi contenuti pubblicati in prima battuta dai seguaci di QAnon. E con lui, ben 97 candidati alle due Camere del Congresso hanno cercato più o meno velatamente di utilizzare la teoria per trarne dei vantaggi alle urne. Dopo l’invasione del Campidoglio del 6 gennaio, alcuni esponenti del Partito repubblicano hanno preso le distanze da QAnon, mentre Facebook – che si era mossa già a ottobre – e Twitter hanno deciso di bloccare alcuni account collegati alle teorie cospirazioniste. Tuttavia, in un Paese in cui meno della metà della popolazione (47%) è sicura che non è in atto una cospirazione da parte di élite sataniste per il controllo dei media, l’azione “istituzionale” non basterà a disperdere il loro seguito. 

Capitol Hill: fine della storia?

L’alt-right ha saputo sfruttare le opportunità offerte dalle piattaforme mediali per generare nuovo consenso e riunire un numero crescente di persone sotto le bandiere del machismo e del razzismo. In molte analisi di giornalisti e osservatori, il successo di questo movimento è stato associato, per non dire sovrapposto, alle fortune politiche di Donald Trump. 

Come si è più volte ripetuto, le origini dell’estremismo di destra sono da rintracciare ben prima dell’inizio della sua amministrazione. I simboli presenti a Capitol Hill raccontano la memoria del Sud confederato, le sottoculture nerd nate con l’avvento del Web 2.0 e i nuovi movimenti para-religiosi. Tutti questi universi si sono riconosciuti nella figura eroica dell’ex presidente, in lotta di volta in volta contro il marxismo culturale, il politicamente corretto, la Cabala. 

Oltre al (massimo) comune denominatore rappresentato da Trump, questi fenomeni condividono un aspetto fondamentale: il rifiuto radicale delle istituzioni fondative della modernità. I media mainstream, le istituzioni democratiche e la conoscenza scientifica sono tutte componenti di una realtà che, attraverso la metafora della pillola rossa, viene messa in discussione dalle fondamenta, nel mondo parallelo di 4chan. Un mondo che negli ultimi anni è riuscito a emergere in tutta la sua violenza e a espandere le proprie reti. Un mondo che, a prescindere da chi assumerà le redini del Partito repubblicano, continuerà a rappresentare un serbatoio di conflittualità permanente nella società statunitense

 

Fonti e approfondimenti

Artieri, G. B., & Farci, M. (2020). “Le emozioni dell’alt-right”. SOCIOLOGIA DELLA COMUNICAZIONE.

Cramer F., Wu Ming 1,“Blank Space QAnon”, Giap, 2/11/2020. 

Dafaure, M. (2020). “The Great Meme War”. Angles. New Perspectives on the Anglophone World, (10).

Eco, U. (2018). “Il fascismo eterno”. La Nave di Teseo Editore

Friedersdorf C., “How Breitbart Destroyed Andrew Breitbart’s Legacy”, The Atlantic, 14/11/2017. 

Hartzell, S. L. (2018). “Alt-White: Conceptualizing the Alt-Right”. Journal of Contemporary Rhetoric.

LaFrance A., “The Prophecies of Q”, The Atlantic, 14/5/2020.

Lolli, A. (2017). “La guerra dei meme”, Effequ

Mainoldi L., “Il mistero QAnon”, Limes, 11/2020.

Mirrlees, T. (2018). “The Alt-right’s Discourse on Cultural Marxism”. Atlantis: critical studies in gender, culture & social justice

Mogelson L., “Among the insurrectionists”, The New Yorker, 15/1/2021.  

Nagle, A. (2018). “Contro la vostra realtà”. LUISS University Press.

Stern, A. M. (2019). “Proud boys and the white ethnostate”. Beacon Press.

Wendling, M. (2018). “Alt-right: From 4chan to the White House”. Pluto Press.

Williamson E., Steel E., “Conspiracy Theories Made Alex Jones Very Rich”, The New York Times, 7/9/2018.

Editing a cura di Elena Noventa

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