Site icon Lo Spiegone

Nuove tensioni, vecchi problemi: le relazioni sino-taiwanesi tra Trump e Biden

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Nel corso del mandato dell’ex presidente Donald Trump, l’ostilità tra Cina e Stati Uniti ha raggiunto vette altissime e la guerra commerciale ne è l’esempio più eclatante. Le provocazioni della Casa Bianca nei confronti della Cina non sono cessate nemmeno mentre l’amministrazione Trump stava per giungere al capolinea. Una delle ultime impennate nelle tensioni tra i due Paesi ha riguardato un tema caro al Partito comunista cinese (PCC): Taiwan.

A pochi giorni dall’insediamento di Joe Biden come nuovo presidente degli Stati Uniti, l’ormai ex segretario di Stato Mike Pompeo ha dichiarato di voler rimuovere le restrizioni autoimposte nei confronti di Taiwan. Si trattava di misure che limitavano le interazioni tra le due parti, consentendo ad esempio ai rispettivi funzionari e diplomatici di incontrarsi esclusivamente in luoghi privati anziché in uffici di Stato.

La reazione da parte di Pechino non si è fatta attendere, poiché in questo modo gli Stati Uniti hanno tentato di intaccare un principio irrinunciabile per il PCC, quello dell’integrità territoriale. Così, come ultimo saluto all’amministrazione Trump, Pechino ha risposto alle azioni di Pompeo sanzionando 28 funzionari statunitensi per aver violato la sovranità statale.

 

Il dilemma delle due Cine

Per capire la reazione di Pechino bisogna tornare indietro all’origine del cosiddetto “dilemma delle due Cine”, che risale alla fine della guerra civile nel 1949. Dopo la vittoria comunista, i nazionalisti guidati da Chiang Kai-Shek fuggirono sull’Isola di Formosa (l’odierna Taiwan) cercando di mantenere in vita la Repubblica di Cina. Da allora, Taiwan ha avuto un governo autonomo riconosciuto dalla comunità internazionale. Fino al 1971, Taipei ha detenuto il proprio seggio all’interno del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, per poi perderlo in favore di Pechino. Nel corso degli anni, Taiwan ha basato le rivendicazioni della propria sovranità su due fattori:

Un’intesa alquanto precaria tra i due governi era stata raggiunta con il Consenso del 1992, che prevedeva l’esistenza di un solo Stato sovrano senza però condividere quale dei due governi fosse la “Cina” legittima. Infatti, per il PCC la Repubblica di Cina è (e sarà) una provincia cinese. In particolare, con l’elezione di Xi Jinping a segretario generale del PCC nel 2013, Pechino ha rafforzato ancora di più l’idea di unità politica, culturale e territoriale tra la Cina continentale e l’isola di Taiwan. Ad esempio, nel 2018 la Civil Aviation Administration of China (CAAC), autorità nazionale cinese per l’aviazione civile, ha invitato alcune compagnie aeree straniere a specificare l’appartenenza di Taiwan alla Cina continentale, inserendo “Taiwan, Cina” come unica opzione.

Un fattore da tenere in considerazione è che i rapporti commerciali tra Pechino e Taipei sono intensi e la Cina si afferma tuttora come il primo partner commerciale di Taiwan. L’economia di Taiwan dipende molto dalle esportazioni, di cui il 40% sono destinate alla Repubblica Popolare Cinese (RPC) e a Hong Kong.

Data l’ambiguità nei rapporti tra RPC e Taiwan, le dichiarazioni dell’ex segretario di Stato Mike Pompeo, rilasciate il 9 gennaio 2021, non sono passate inosservate. Per la RPC, l’isola di Formosa è una provincia (ribelle) cinese. Nel resto del mondo, sono pochi i sostenitori dell’indipendenza taiwanese. Attualmente, sono 15 gli Stati che intrattengono relazioni formali, riconoscendo diplomaticamente Taiwan, tra cui anche il Vaticano. Gli USA non rientrano tra questi Paesi, riconoscendo la sovranità di Pechino dal 1979. Rifiutare ufficialmente il Consenso comporta l’interruzione dei rapporti diplomatici con la RPC; accettarlo comprometterebbe i rapporti con Taipei. In questo contesto, nel corso degli anni, molti Stati hanno instaurato rapporti diplomatici non ufficiali con Taiwan.

 

Evoluzione dei rapporti Taiwan-USA

L’isola di Taiwan ha avuto il supporto degli Stati Uniti durante la prima parte della Guerra Fredda: per ben trent’anni, Washington si è rifiutata di riconoscere Pechino come rappresentante di un’unica Cina. L’appoggio a Taipei rientrava nella politica di contenimento statunitense, che non poteva privilegiare il regime comunista di Mao Zedong. Il 1971 segnò l’inizio del progressivo isolamento diplomatico di Taiwan a livello internazionale. Anche i rapporti tra Washington e Taipei si arrestarono: in piena Guerra Fredda, la diplomazia del ping pong distese i rapporti tra Cina e USA che, nel 1978, annunciarono la volontà di riprendere ufficialmente le relazioni diplomatiche.

In questo contesto, venne elaborato il “principio dell’unica Cina”, frutto di lunghe trattative negli anni Settanta concluse con un documento (Shanghai Communiqué) redatto da Henry Kissinger, allora consigliere per la Sicurezza nazionale statunitense. L’ambivalenza del documento riguarda soprattutto la libera interpretazione del concetto di una sola Cina e l’assenza di una chiara definizione su quale dei due governi sia il rappresentante legittimo.

Tuttavia, data l’importanza strategica dell’isola per la politica estera statunitense, i rapporti vennero ricuciti con il Taiwan Relations Act (TRA) del 1979. Secondo il TRA, Washington si impegna a difendere Taiwan in caso di attacco violento di Pechino. Un esempio è stato il dispiegamento di forze militari nel 1996 durante la Crisi dello Stretto di Taiwan. Da allora i rapporti informali tra i due Paesi si sono contraddistinti soprattutto per la vendita di armamenti. Solo nel 2020, il governo statunitense ha annunciato che il valore della vendita di armi ammontava a 5.1 miliardi di dollari.

L’amministrazione Clinton ridefinì in parte i rapporti con l’isola. Nel 1998, al termine di un viaggio a Shanghai, il presidente Bill Clinton introdusse la politica dei “tre no” nei confronti delle aspirazioni di Taiwan. Il mancato supporto riguardava l’indipendenza, la rappresentanza di Taiwan nelle organizzazioni internazionali e l’esistenza di “una Cina, una Taiwan”.

Con l’amministrazione Trump i rapporti si sono invece intensificati, di pari passo con l’aumento delle frizioni con Pechino. Nel 2016, Donald Trump inaugurò la presidenza con un segnale molto forte, telefonando alla presidentessa di Taiwan Tsai Ing-wen. A testimonianza dell’avvicinamento tra Washington e Taipei, sono state firmate due leggi importanti:

Una conseguenza del TTA è stata la visita a Taiwan di Alex Azar, segretario alla Salute e ai Servizi umani degli Stati Uniti. Si è trattato della prima visita ufficiale di un funzionario statunitense a Taipei dal 1979, a cui il mese successivo è seguita quella di Keith Krach, sottosegretario di Stato per la Crescita, l’Energia e l’Ambiente.

 

Questione di Sicurezza: lo stretto di Taiwan

Per Pechino, il controllo di Taiwan equivale alla tutela della sicurezza nazionale e per preservarla non esclude l’uso della forza. Le recenti esercitazioni militari a sud-ovest dell’isola possono essere interpretate come una strategia per testare l’appoggio della nuova amministrazione Biden. Non è del tutto casuale che le incursioni da parte dell’Esercito Popolare di Liberazione abbiano avuto luogo pochi giorni dopo l’insediamento di Biden alla Casa Bianca. Il rafforzamento economico e militare della Cina va di pari passo con la realizzazione della riunificazione nazionale. L’avanzamento tecnologico della Cina continentale e il miglioramento delle capacità belliche hanno eroso l’antico vantaggio di Taipei in termini di superiorità tecnologica a difesa dell’isola.

Data la sua posizione strategica, Taiwan è da sempre un elemento conteso per il mantenimento dello status quo nella regione indo-pacifica e per la navigazione dell’Oceano Pacifico. Gli Stati Uniti si considerano come i garanti della pace dell’area. Già nel periodo della Guerra Fredda, l’uso della forza navale era un fattore rilevante per la strategia di contenimento. Un ruolo primario era rivestito dalla “Prima catena di isole”, che comprende l’arcipelago giapponese, Taiwan e le Filippine fino agli arcipelaghi del Mar Cinese Meridionale. Ancora oggi alleati, gli Stati Uniti detengono basi militari in queste isole; perdere Taiwan significherebbe perdere un hub importante in favore della Cina.

 

Nuova amministrazione, vecchie problematiche

Con la vittoria di Joe Biden, i rapporti tra USA e Cina non sembrano potersi distendere. Gli esordi della nuova amministrazione sembrano orientarsi verso il mantenimento di una linea dura nei confronti della Cina: l’assertività di quest’ultima in politica estera è condannata dal neoeletto Biden, così come l’atteggiamento nei confronti di Taiwan. Il nuovo segretario di Stato Antony Blinken ha ribadito la necessità di adottare un approccio più duro alle provocazioni di Pechino. Le dichiarazioni di Mike Pompeo non sembrano quindi aver modificato l’approccio di Biden nei confronti dell’avversario strategico per eccellenza. Inoltre, per la prima volta dal 1979, un membro del governo di Taipei, Hsiao Bi-Khim – rappresentante di Taiwan negli USA – ha ricevuto l’invito formale a partecipare alla cerimonia di insediamento del 46mo presidente degli Stati Uniti.

Le relazioni sino-americane sono ai minimi storici da decenni e non sappiamo ancora come la ventata di cambiamento dell’era Biden possa riflettersi nei rapporti con Pechino. Durante la prima intervista da neo presidente per CBC News il 7 febbraio, Joe Biden ha espresso la sua posizione nei confronti della potenza asiatica, affermando che gli Stati Uniti si batteranno per la democrazia e il rispetto dei diritti umani. Tuttavia, ha escluso un conflitto con la Cina, sostenendo che si tratterà di “competizione estrema” e di collaborazione solo quando rientra negli interessi degli USA.

Dopo la prima telefonata da presidente degli Stati Uniti all’omologo cinese Xi, l’annuncio della formazione di una task force da parte del Pentagono per regolare i rapporti con la Cina testimonia la tensione nelle relazioni bilaterali sino-statunitensi. I rapporti tripartiti sono legati da un filo sottile che rischia di spezzarsi. Per Xi Jinping, il processo di riunificazione resta uno degli obiettivi da raggiungere entro il 2049 dal PCC, anche a costo di usare la forza. Taiwan, guidata dalla progressista Tsai si orienta sempre di più verso ambizioni indipendentiste. Toccherà al Congresso statunitense decidere da che parte far pendere l’ago della bilancia.

 

 

 

Fonti e approfondimenti

Dennis Van Vranken Hickey, Taiwan Relations Act: time for a change?, Policy Brief, Wilson Center, marzo 2014

Katsuji Nakazawa, Analysis: China tests Biden on Taiwan, with eye on other island, Nikkei Asia, 28 gennaio 2021

Il post, 21 Gennaio 2021. La Cina ha sanzionato 28 ex funzionari dell’amministrazione Trump per aver “violato gravemente” la sovranità cinese

Richard C. Bush, Taiwan’s democracy and the China challenge, Brookings Institutions, 22 gennaio 2021

Ryan Hass, After lifting restrictions on Us-Taiwan relations, what comes next?, Order from chaos, Brookings Institutions, 11 gennaio 2021

Ryan Hass, A case for optimism on US-Taiwan relations, Order from chaos, Brookings Institutions, 30 novembre 2020

Deng Yuwen, L’invasione di Taiwan è solo questione di tempo, Limes, 2018

Taiwan Relations Act, 1 gennaio 1979. Taiwan Relations Act (Public Law 96-8, 22 USC 3301 et seq.)

American Institute in Taiwan, 16 gennaio 2021. Remarks by AIT Director W. Brent Christensen at the Chinese Language Symposium to Support the US-Taiwan Education Initiative

POLITICO, 10 gennaio 2021. China’s state media attacks Pompeo over Taiwan

Epoch Times, 10 gennaio 2021. Pompeo rimuove tutte le restrizioni alla diplomazia tra gli Stati Uniti e Taiwan

Glaser S. Bonnie, Green J. Michael, Toward a Stronger US-Taiwan Relationship, Center for Strategic and International Studies, 21 ottobre 2020,

Cau Eugenia, Cosa farà Biden con la Cina?, Il Post, 23 gennaio 2021

U. S. Department of State. China

U. S. Department of State, 31 agostro 2018. U.S. Relations with Taiwan

 

Editing a cura di Emanuele Monterotti

Exit mobile version