L’evoluzione della dottrina nucleare cinese

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Sin dal suo primo test nucleare nell’ottobre del 1964, la Repubblica Popolare Cinese ha mantenuto un arsenale nucleare di dimensioni relativamente ridotte, finalizzato all’esercizio di un livello di deterrenza minimo verso i suoi avversari. La dottrina nucleare cinese è quindi sempre stata caratterizzata da una natura prettamente difensiva, basandosi sul caposaldo del no-first-use, ossia l’esclusione esplicita che la Repubblica Popolare possa impiegare per prima il proprio arsenale nucleare in un qualunque conflitto militare. La Cina si riserva, tuttavia, la possibilità di rispondere con efficacia e durezza a un’aggressione nucleare nemica.

In tale ottica, la RPC non deve disporre di più armi atomiche di quelle sufficienti per dissuadere un avversario dall’attaccare. Allo stesso tempo, però, deve garantire la sopravvivenza della sua forza nucleare a un first strike (primo colpo) avversario per evitare di rimanere disarmata: tale dottrina viene denominata deterrenza minima.

Sebbene Pechino sembri aver ribadito nel tempo tale posizione, negli ultimi decenni la RPC ha provveduto a migliorare il proprio arsenale, incrementando il numero di testate nucleari e diversificando i vettori impiegabili, allo scopo di rendere più credibile la propria capacità di risposta.

Tale evoluzione sembra essere in parte connaturata al ruolo di grande potenza mondiale che ormai la Cina ricopre.Tuttavia, l’emergere di un atteggiamento più assertivo del governo cinese sullo scacchiere internazionale, nonché di nuove tecnologie e sfide per l’apparato militare della RPC, ha portato diversi esperti del settore a interrogarsi sull’eventualità che la Cina stia lentamente inserendo nella propria dottrina nucleare degli elementi che la allontanano dal concetto di deterrenza minima

Alla luce di ciò, analizzare l’evoluzione della postura nucleare cinese costituisce un’ottima chiave di lettura per comprenderne gli sviluppi odierni e provare a immaginarne il futuro.

La prima era nucleare cinese

I primi sforzi della Repubblica Popolare Cinese finalizzati all’ottenimento del deterrente nucleare risalgono agli inizi degli anni ‘50, quando Pechino si trovò a fronteggiare la  minaccia reale che gli Stati Uniti potessero impiegare l’atomica nel contesto del conflitto in Corea.  Di fatto, nel luglio del 1950, all’inizio della guerra, il presidente degli Stati Uniti, Harry Truman, diede l’ordine di mobilitare 10 bombardieri nucleari B-29 nel Pacifico allo scopo di scoraggiare l’entrata in guerra della Repubblica Popolare Cinese.  

Allo stesso modo, due anni più tardi, il nuovo presidente eletto Dwight Eisenhower, in una dichiarazione pubblica minacciò di autorizzare l’impiego di armi nucleari contro la Cina nel caso in cui Pechino avesse ostacolato le trattative allora in corso per il raggiungimento di un armistizio. Ancora, nel 1954, quando il comandante dello Strategic Air Command degli Stati Uniti, il Generale Curtis LeMay, espresse il suo supporto all’utilizzo dell’arsenale USA contro la Cina nel caso in cui quest’ultima avesse ripreso le operazioni belliche in Corea.  

Sebbene tali minacce non si concretizzarono mai, Pechino si considerava, non a torto, alla mercé di un vero e proprio “ricatto nucleare”. Di qui la necessità di investire diversi sforzi nell’istituzione di un programma atomico, beneficiando subito dell’appoggio sovietico. Quest’ultimo venne consacrato nell’ottobre del 1957 da un accordo per la condivisione di tecnologie militari. In base a tale accordo, Mosca acconsentì a fornire un prototipo di bomba atomica e dati tecnici attraverso i quali Pechino sarebbe riuscita nei propri intenti di sviluppare una prima testata.

Nonostante il successivo peggioramento delle relazioni con Mosca, e alla conseguente cessazione della fornitura di ogni tipo di supporto tecnologico, Pechino riuscì a effettuare il suo primo test nucleare (denominato Progetto 596) il 16 ottobre del 1964, seguito tre anni dopo dall’esplosione del primo ordigno termonucleare.

Sempre negli anni ‘60, la Cina diede il via allo sviluppo del suo primo Missile Balistico a Medio Raggio (MRBM – Medium Range Balistic Missile), armabile con testate nucleari, il Dong Feng-2, e il primo Missile Balistico Intercontinentale (ICBM – Intercontinental Ballistic Missile) Dong Feng-4.

Già in questa prima fase dello sviluppo del programma atomico cinese si possono identificare i concetti che caratterizzeranno la dottrina nucleare della RPC negli anni a venire. L’allora leader del Partito Comunista, Mao Zedong, considerava l’appena acquisito deterrente atomico come un mero strumento per sfuggire al “ricatto nucleare” USA. La Cina concepiva il proprio arsenale esclusivamente come mezzo di difesa, escludendo categoricamente di utilizzare per primi tale arma in un contesto bellico, ma riservandosi la possibilità di impiegare l’atomica solo come risposta (second strike) a un attacco nucleare nemico .

Di fatto, in base all’ideologia del Partito Comunista Cinese e al concetto di guerra popolare, le sorti dei conflitti non vengono decise da armi nucleari tecnologicamente avanzate, ma dal popolo e dalla sua capacità di resistere. Questa linea venne immortalata in un celebre discorso di Mao del 1957:

Io non temo la guerra nucleare, ci sono 2,7 miliardi di persone al mondo; non importa se alcune di esse moriranno. La Cina ha una popolazione di 600 milioni; anche se la metà di esse dovessero essere uccise, ne rimarrebbero altri 300 milioni.

Sebbene tale frase sia stata pronunciata prima che la Cina iniziasse lo sviluppo di un proprio arsenale atomico, essa ci aiuta a comprendere il ruolo subordinato che la forza nucleare cinese ricopriva all’interno della dottrina militare della RPC durante l’era di Mao: la capacità di resistenza del popolo cinese era la vera arma vincente in mano a Pechino.

Per incrementare le capacità di sopravvivenza dell’apparato economico e militare cinese, Mao adottò la cosiddetta politica della Third Line Construction, con la quale si intendeva creare un complesso di infrastrutture d’interesse strategico all’interno del territorio cinese, al fine di rendere il Paese meno vulnerabile nell’eventualità di un attacco nemico. Tali infrastrutture comprendevano anche stabilimenti per l’arricchimento dell’uranio e per lo sviluppo di armi nucleari.

Se ne deduce, già in questa prima fase, che la strategia di difesa cinese prevedeva che in caso di guerra atomica, la Cina avrebbe dovuto “incassare” il primo colpo, mantenendo in vita le strutture nevralgiche del suo apparato nucleare ed economico, per poi rispondere. L’arsenale nucleare cinese costituisce dunque il garante dell’esistenza della Repubblica Popolare, ma non la colonna portante delle sue forze armate.

Modernizzazione delle forze nucleari cinesi e consolidamento della dottrina della deterrenza minima

Sebbene durante il periodo maoista vennero poste le basi della forza e della dottrina nucleare cinese, soltanto con l’ascesa alla presidenza del Partito Comunista di Deng Xiaoping si assistette all’avvio di un processo di modernizzazione e rifinimento del deterrente nucleare di Pechino. Fino ad allora la difesa aveva ricoperto un ruolo assolutamente marginale negli sforzi di sviluppo della Cina. Deng Xiaoping inserì invece il progresso in campo militare tra i quattro obiettivi di modernizzazione della Repubblica Popolare insieme all’industria, la scienza e l’agricoltura.

Nel corso degli anni ‘80 e all’inizio degli anni ‘90 Pechino condusse diversi test nucleari finalizzati al perfezionamento e alla miniaturizzazione delle proprie testate con l’obiettivo di armare i missili intercontinentali della futura generazione, i DF-31 e il DF-31A.

Inoltre, la Cina iniziò a sviluppare missili a testata multipla (Multiple Independently-targetable Reentry Vehicle – MIRV), ossia dei vettori armabili con più testate ognuna delle quali capace di colpire un bersaglio indipendente. In questo modo si intendeva migliorare le capacità offensive e la credibilità per la Cina di effettuare un second strike a seguito di una prima aggressione nemica.

Durante l’epoca Deng Xiaoping, non solo venne avviato un processo di consolidamento dell’arsenale, ma si prestò molta attenzione anche al miglioramento delle possibilità di sopravvivenza della forza missilistica dell’Esercito di Liberazione Popolare (People’s Liberation Army Rocket Force). Il progetto più significativo in tale contesto fu la decisione presa dal partito Comunista nel 1979 di costruire ciò che venne poi definita la Grande Muraglia sotterranea della Cina (underground Great Wall), ossia una rete di 5.000 Km di tunnel sotterranei adibita allo stoccaggio delle testate nucleare cinesi, ma anche a ospitare le piattaforme di lancio operate dal Secondo Corpo di artiglieria della forza missilistica della PLA.  

Tale complessa opera difensiva venne ultimata solo nel 1995, conferendo al Secondo Corpo non solo la possibilità di sopravvivere a un primo attacco nucleare nemico per poi rispondere al fuoco, ma anche di diminuire la propria vulnerabilità a possibili attacchi di natura convenzionale finalizzati a eliminare le forze nucleari cinesi.  

Inoltre, Deng Xiaoping diede inizio a un processo di diversificazione dell’arsenale nucleare cinese. Nel 1981 vennero costruiti i primi sottomarini nucleari (Tipo 092) capaci di lanciare missili balistici (SLBM – Submarine-launched ballistic missile). Si trattava di un grande passo avanti per Pechino in quanto si inseriva un elemento più versatile nella propria componente nucleare. Più difficili da individuare rispetto ai missili balistici di terra, gli 092 consolidavano le capacità di risposta della Repubblica Popolare a un primo attacco nemico.

In quest’ottica, l’elemento marittimo dell’arsenale cinese rafforzava la dottrina della deterrenza minima. La Cina manteneva una forza nucleare relativamente modesta ma abbastanza efficace da scoraggiare un primo attacco nucleare nemico.

La deterrenza minima nel XXI secolo

Con l’inizio del XXI secolo e il rapido affermarsi della Cina come grande potenza mondiale, l’arsenale nucleare di Pechino ha continuato il suo percorso di evoluzione, rimanendo tuttavia fedele al principio della deterrenza minima e mantenendo una forza nucleare relativamente ridotta se paragonata al peso economico del gigante asiatico.

Nel 2006 la dottrina nucleare cinese veniva immortalata per la prima volta in una pubblicazione ufficiale dal titolo China’s National Defense. Tale documento in merito dichiarava:

L’obiettivo fondamentale della [strategia nucleare cinese] è quello di dissuadere gli altri Paesi dall’utilizzare o da minacciare l’utilizzo di armi nucleari contro la Cina. La Cina si impegna fermamente a tener fede alla politica del “no-first use” di armi nucleari in ogni momento e sotto ogni circostanza. La Cina si impegna incondizionatamente a non utilizzare o minacciare di utilizzare armi nucleari contro Stati non nucleari […] e supporta la proibizione totale ed eliminazione delle armi nucleari. La Cina sostiene il principio del contro attacco a finalità di autodifesa e di sviluppo limitato del suo arsenale atomico.

Tale credo venne poi riconfermato in un secondo documento dal titolo The Chinese Military Strategy’ del 2015, e ancora nel 2019 con la pubblicazione di un white paper: China’s National Defense in the New Era. Oltre ai principi già enunciati nel documento del 2006, in queste due pubblicazioni più recenti la Repubblica Popolare dichiarava il proprio impegno a non intraprendere alcuna corsa agli armamenti contro le altre potenze globali.

Di fatto, secondo le stime di un report pubblicato dal Bulletin of the Atomic Scientists nel 2020, la Repubblica Popolare possiede al giorno d’oggi circa 350 testate nucleari. Tale numero costituisce un aumento considerevole, in quanto precedentemente si credeva che la Cina avesse solo 250 testate circa a disposizione. Tuttavia, questo dato impallidisce se paragonato al numero di testate possedute invece dagli USA, il quale si aggira intorno alle 3.800 unità.

Nuove sfide

In un contesto dove ormai la Cina si pone in rotta di collisione per l’egemonia nel Pacifico (se non mondiale) con gli Stati Uniti, sono proprio le nuove sfide che l’esiguo arsenale cinese si trova ad affrontare a riaccendere il dibattito sul fatto che la Cina possa ancora mantenere fede ai principi tradizionali della propria politica nucleare. È vero: la Cina ha migliorato anche la sua componente marittima nel corso del tempo, mettendo in servizio i nuovi sottomarini nucleari Tipo 094 e lavorando alla terza generazione di sommergibili (Tipo 096) da dispiegare nel 2023. Ma lo sviluppo di vettori più precisi da parte degli USA e le sue nuove tecnologie di difesa antimissilistica sembrano mettere a repentaglio la capacità della Repubblica Popolare di sferrare un second strike.

Nel contesto di un eventuale confronto bellico tra le due Potenze e nel caso in cui lo scontro arrivi a un’intensità tale da portare all’impiego di armi atomiche, Washington potrebbe sferrare un primo attacco di precisione, volto a eliminare i missili cinesi armati con testate nucleari. In questo modo, alla Repubblica Popolare rimarrebbero solo un numero ridotto di testate per rispondere all’attacco, ma le difese missilistiche USA potrebbero rendere inefficace il second strike cinese, inficiando così la dottrina della deterrenza minima.  

Queste considerazioni hanno portato la Cina a protestare aspramente contro il dispiegamento nel 2016 dei Terminal High Altitude Area Defense (THAAD) Systems (in italiano Difesa d’Area Terminale ad Alta Quota) da parte degli Stati Uniti in Corea del Sud. Tali sistemi antibalistici sono capaci di intercettare e neutralizzare i missili avversari durante le fasi iniziali di lancio. Nonostante Washington abbia dichiarato all’epoca che i THAAD hanno lo scopo di proteggere gli Stati Uniti e i suoi alleati regionali da un possibile attacco missilistico della Corea del Nord (e non della Cina), essi costituiscono intrinsecamente anche una minaccia per le forze missilistiche cinesi nel caso di un confronto regionale.

In aggiunta, il futuro sviluppo di armi ipersoniche ad alta precisione da parte degli Stati Uniti sotto l’egida del progetto Prompt Global Strike (PGS) potrebbe rendere le capacità di offesa convenzionali degli USA ancora più letali. Anche un attacco di natura convenzionale potrebbe quindi eliminare il deterrente nucleare della Repubblica Popolare.

Launch on warning?

I possibili scenari appena descritti hanno portato diversi esperti a considerare la possibilità che la Cina inserisca nella propria dottrina nucleare, al pari degli Stati Uniti e della Russia, il concetto di Launch on Warning, ossia la possibilità di sferrare un attacco nucleare non appena si identifichi un lancio di missili atomici avversari. In questo modo, il nemico verrebbe colpito prima che le sue testate possano raggiungere il territorio nazionale cinese, garantendo così il principio della mutua distruzione assicurata.

L’edizione del 2013 della pubblicazione Science of Military Strategy, già aveva preannunciato la possibilità che la Cina potesse adottare il sistema del Launch On Warning. Tale elemento, se inserito all’interno della dottrina nucleare di Pechino, potrebbe rivoluzionare la postura nucleare cinese. Finora le forze atomiche cinesi, al contrario di quanto fatto da Stati Uniti e Russia, hanno sempre mantenuto un livello molto basso di allerta, il quale può però essere alzato in caso di crisi.

Nel caso in cui il Launch on Warning dovesse divenire un caposaldo della politica nucleare cinese, le carte in tavola del gioco USA-Cina verrebbero rimescolate, aggiungendo complessità ai calcoli fatti dai due contendenti e aumentando le possibilità di errore.

Integrazione tra forze nucleari e convenzionali: un pericolo globale

Inoltre, alla luce dei passi avanti fatti da Washington nello sviluppo di missili ad alta precisione e velocità, ci si interroga se la Cina considererebbe il caso di un attacco convenzionale contro il proprio arsenale nucleare alla stregua di un first strike atomico o meno. La nuova generazione di missili cinesi, come il DF-26, sono armabili sia convenzionalmente che con testate nucleari; tale fattore contribuisce inevitabilmente a creare possibilità di errore anche nel contesto di uno scontro bellico limitato e convenzionale, in quanto gli Stati Uniti potrebbero colpire erroneamente testate nucleari scambiandole per bersagli convenzionali. Qualora la Cina dovesse considerare che le sue forze nucleari siano state messe a repentaglio, essa potrebbe decidere di scagliare un attacco atomico nel timore di essere disarmata completamente.

È proprio la sempre più stretta integrazione tra le forze convenzionali cinesi e il suo deterrente nucleare a costituire la minaccia più grande per la sicurezza regionale e globale. Ad esempio,  i sottomarini convenzionali cinesi costituiscono anche un elemento difensivo per gli 094, armati invece con armi atomiche, in quanto i primi potrebbero scortare i secondi in un contesto di crisi. Nel caso di un conflitto armato sullo stretto di Taiwan in cui dovessero essere coinvolti anche gli Stati Uniti, le operazioni di guerra navale potrebbero risultare nella distruzione dei sottomarini convenzionali cinesi, lasciando in questo modo gli 094 sguarniti della loro linea di difesa, e mettendo quindi a repentaglio la sopravvivenza della componente marittima della forza nucleare cinese.

Per ora le fonti governative cinesi non hanno rilasciato alcuna linea ufficiale su come risponderebbero a un attacco che colpisca le forze nucleari di Pechino. Di fatto, è possibile che le autorità della Repubblica Popolare abbiano scelto di mantenere comunque un certo livello d’incertezza strategica al fine di dissuadere i propri avversari dall’ingaggiare il gigante asiatico in un conflitto, anche se limitato.

Abbandono del no-first-use?

Considerate le vulnerabilità dell’arsenale nucleare cinese, ci si può porre persino il dubbio sul fatto che la Repubblica Popolare possa mantener fede al principio del no-first-use in caso di escalation di un conflitto convenzionale.

Come spiegato da Caitlin Talmadge, professore alla GeorgeTown University, in un articolo pubblicato su Foreign Affairs, la Repubblica Popolare Cinese è già stata in passato sull’orlo della guerra nucleare. Durante il conflitto sino-sovietico del 1969, i cinesi vennero a conoscenza del fatto che i russi avevano discusso la possibilità di impiegare il proprio arsenale atomico contro la RPC. Sebbene, come poi emerso dagli archivi, i sovietici non intendevano andare fino in fondo nel valutare tale opzione, tanto bastò a portare l’allora rudimentale arsenale nucleare cinese allo stato di massima allerta. La dirigenza del partito Comunista considerò la possibilità di impiegare armi atomiche per prima, nonostante ci si potesse aspettare un devastante contrattacco da parte di Mosca.

Tale esempio storico dimostra come, anche nel contesto di un futuro conflitto bellico convenzionale in cui la Cina venga messa alle strette, la RPC potrebbe decidere di alzare la posta in gioco scagliando un attacco con testate tattiche (ossia con potenziale distruttivo più limitato) al fine di assestare un duro colpo alle forze convenzionali nemiche nella Regione.

Deterrenza minima 2.0

Pur tenendo in considerazione la grande vulnerabilità del piccolo arsenale nucleare cinese e i trascorsi storici della Cina, la Repubblica Popolare non sembra intenzionata, almeno ufficialmente, ad abbandonare il principio del no-first-use. L’arsenale nucleare cinese rimane un mero strumento di difesa. In base ai precetti della dottrina ufficiale cinese, le armi atomiche possono essere impiegate solo a seguito di un primo attacco nemico.

Tuttavia, l’evoluzione dello scenario internazionale sta portando innegabilmente la Cina a condire il principio della deterrenza minima con nuovi elementi, al fine di renderla più credibile. Se adottata, la politica del Launch on Warning, unita all’incertezza strategica (causata dall’integrazione dell’arsenale convenzionale di Pechino con la sua forza nucleare), costituirebbe un notevole cambiamento della postura nucleare cinese; un cambiamento dovuto sia alle nuove sfide poste dal grande avversario globale della Cina (gli USA), sia al ruolo di potenza mondiale che il Drago Asiatico ormai ricopre.

Non possiamo comunque affermare che la Cina si stia allontanando dalla dottrina della deterrenza minima; l’incremento del numero di testate e i passi avanti fatti in ambito di diversificazione della forza nucleare della RPC non vanno interpretati come l’inizio di una corsa agli armamenti contro gli Stati Uniti, ma come un modo per bilanciare il sempre più raffinato e letale arsenale degli USA al fine di mantenere valido il principio della deterrenza minima.

 

Fonti e approfondimenti

Caitlin Talmadge, Beijing’s Nuclear Option, Why a U.S.-Chinese War Could Spiral Out of Control, Foreign Affairs, novembre – dicembre 2018.

China Military Power, Modernizing a Force to Fight and Win, Defense Intelligence Agency, 2019.

China, Nuclear Threat Initiative, aprile 2015.

China – “596 Project”,GlobalSecurity.org, accesso effettuato il 26 febbraio 2021.

Jeffrey Lewis, David Joël La Boon, Decker Eveleth, China’s Growing Missile Arsenal and the Risk of a “Taiwan Missile Crisis“, Nuclear Threat Initiative, novembre 2018.

Joe Gould, China plans to double nuclear arsenal, Pentagon says, Defense News, 1 settembre 2020.

Jon B. Wolfsthal, How to Reason With a Nuclear Rogue, Foreign Policy, 12 luglio 2017.

Mike Yeo, Report estimates Chinese nuclear stockpile at 350 warheads, Defense News, 14 dicembre 2020

Liping Xia, China’s Nuclear Doctrine: Debates and Evolution, Carnegie Endowment for International Peace, 30 giugno 2016.

Tong Zhao, Modernizing Without Destabilizing: China’s Nuclear Posture in a New Era, Carnegie Endowment for International Peace, 25 agosto 2020.

Would China Go Nuclear?, Foreign Affairs, gennaio-febbraio 2019.

Zhenqiang Pan, A Study of China’s No-First-Use Policy on Nuclear Weapons, Journal for Peace and Nuclear Disarmament, I volume 2018.

 

Editing a cura di Elena Noventa

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