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Tra Europa e nazione: i diritti delle coppie LGBTQ+ in Croazia

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Nel 2015, nel caso di Oliari e altri vs Italia, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo emise una sentenza di importanza fondamentale per la comunità LGBTQ+ in Europa. Grazie a questa sentenza, la Corte dichiarava che tutti i Paesi membri del Consiglio d’Europa erano tenuti a provvedere alla regolamentazione delle unioni tra partner dello stesso sesso.

Quello dei diritti delle coppie LGBTQ+ è un tema molto dibattuto ancora oggi in diversi Paesi europei. La mancanza di regolamentazione per le relazioni di coppie dello stesso sesso è ormai da tempo considerata una violazione dei loro diritti e, sebbene gran parte dei Paesi europei si sia ormai dotata di leggi a riguardo, il dissenso verso la tutela di tali diritti non accenna a diminuire. In Croazia, il dibattito sulla questione si accese già nel 2013, anno in cui il Paese divenne ufficialmente Stato membro dell’Unione europea.

 

Il referendum

Il 2013 fu l’anno in cui in Croazia l’antagonismo verso i diritti LGBTQ+ prese la forma di un referendum per cambiare la definizione costituzionale di matrimonio. Quello fu anche il primo referendum nella storia croata a essere indetto su iniziativa popolare. A guidare la petizione per organizzarlo c’era U Ime Obitelji (Nel Nome della Famiglia), un’iniziativa di cittadini fondata nel marzo 2013 e sostenuta da tutte le comunità religiose del Paese, specialmente dalla Chiesa cattolica croata. Tra il 12 e il 16 maggio 2013, agendo in più di 2000 località in tutta la Croazia – la maggior parte delle quali erano chiese locali – i membri del gruppo riuscirono a raccogliere più di 700.000 firme, abbastanza per poter richiedere il referendum. Il quesito che veniva sottoposto ai cittadini consisteva nel decidere se si volesse o meno introdurre nella Costituzione una definizione di matrimonio che specificasse che esso costituisce “un’unione tra una donna e un uomo”, di fatto escludendo le coppie dello stesso sesso dalla possibilità di accedervi.

I sostenitori del referendum dipingevano questa azione come necessaria per salvaguardare la famiglia e il benessere dei bambini, affermando che la loro volontà di agire nascesse dalla paura che i valori tradizionali croati fossero sotto minaccia. L’iniziativa dovette comunque affrontare l’opposizione degli attivisti per i diritti LGBTQ+, che nei giorni precedenti al referendum si mobilitarono per portare le proteste nelle strade di Zagabria. Fra i contrari al referendum, inoltre, c’erano vari partiti di sinistra, che cercarono di spingere i propri elettori a votare per il “no”. Anche l’allora Primo ministro Zoran Milanović annunciò pubblicamente che avrebbe votato contro il quesito e che percepiva questa iniziativa come una dimostrazione di mancanza di tolleranza da parte della Croazia.

Questi sforzi furono però vani. Il referendum, tenutosi l’1 dicembre 2013, passò con il 65,9% dei voti a favore, anche se ci fu solo il 37,9% di affluenza alle urne. Grazie al grande sostegno da parte della Chiesa cattolica, il credo religioso dei votanti rinforzò l’idea che per la Croazia accettare e riconoscere legalmente le coppie di partner dello stesso sesso avrebbe significato tradire la propria tradizione e i propri valori.

Il caso della Croazia non fu l’unico nei Balcani occidentali in cui si verificarono iniziative reazionarie nei confronti dei diritti delle coppie LGBTQ+. Nel 2014, anche in Macedonia fu presentata una mozione in Parlamento per emendare la Costituzione ed esplicitare che il matrimonio fosse un’unione tra un uomo e una donna. Ma simili episodi non erano circoscritti solo a questa regione, in quanto anche in Europa centro-orientale, lo stesso anno, la Slovacchia apportò una modifica costituzionale analoga, promossa da manifestanti cattolici che rivendicavano la volontà di proteggere la “famiglia tradizionale”. Tali iniziative, che si verificarono anche in altri Paesi europei come Ungheria e Lettonia, erano parte di un trend più ampio innescato in reazione al numero crescente di Paesi membri dell’Unione europea che si stavano dotando di leggi che garantissero il matrimonio egualitario o altra forma di riconoscimento giuridico alle unioni fra persone dello stesso sesso. Questi movimenti e le conseguenti modifiche costituzionali presentavano evidenti elementi di Euroscetticismo, in quanto venivano giustificati come tentativi di proteggere il “vecchio ordine” ed evitare che le ingerenze dell’Unione europea minacciassero la tradizione della nazione.

 

Il Life Partnership Act

Le élite politiche croate sembravano però non condividere la volontà di quella parte di elettorato che aveva votato “sì” al referendum e parevano invece più determinate a proteggere i diritti della comunità LGBTQ+ e a riflettere così i valori dell’Unione europea, di cui il Paese era appena divenuto membro. Lo dimostrarono subito un anno dopo il referendum, quando il governo di centro-sinistra spinse per l’adozione del Life Partnership Act, una legge che avrebbe permesso il riconoscimento delle unioni tra partner dello stesso sesso. Questo atto garantiva l’estensione degli stessi diritti conferiti dal matrimonio alle coppie eterosessuali anche alle coppie dello stesso sesso, con l’eccezione dei diritti di adozione. La legge prevedeva anche la cosiddetta partner-guardianship, che permetteva a uno dei due partner di concedere la responsabilità genitoriale dei propri figli all’altro partner, nel caso in cui uno dei due genitori biologici fosse venuto a mancare o fosse in altro modo impossibilitato ad adempiere ai propri doveri di genitore. La decisione di non includere i diritti di adozione fra quelli che i due partner avrebbero acquisito grazie alla life partnership venne giustificata col cosiddetto “approccio incrementale”, che avrebbe permesso ai legislatori di monitorare gli effetti reali della legge prima di fare il passo successivo per assicurare alle coppie dello stesso sesso la possibilità di adottare figli.

L’adozione del Life Partnership Act si scontrò con la resistenza da parte di coloro che avevano sostenuto il referendum dell’anno precedente. L’iniziativa U Ime Obitelji dichiarò che garantire ai life partners quasi gli stessi diritti delle coppie sposate significava ignorare completamente la volontà popolare e l’espressione della democrazia nel Paese. Ciononostante, il Parlamento croato fece passare la legge senza apportare alcuna modifica al testo originale, di fatto non prendendo in considerazione l’opposizione che stava ricevendo.

 

Il Foster Care Act

Malgrado questo grande passo verso una maggiore protezione dei loro diritti, negli anni seguenti, la situazione per le coppie LGBTQ+ non progredì. Al contrario, dopo le elezioni del 2016 che portarono alla formazione di un governo conservatore di centro-destra, in Croazia furono varate alcune leggi che violavano il diritto a un trattamento equo per le coppie dello stesso sesso, in aperto contrasto con l’Articolo 6 del Life Partnership Act che sancisce il divieto di discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale. Fra tali leggi figurava anche il Foster Care Act, la legge sull’affido entrata in vigore nel 2018, che avrebbe impedito a partner dello stesso sesso di diventare genitori affidatari. Contro tale legge si schierò con determinazione l’associazione Rainbow Families, uno dei principali gruppi di società civile per i diritti LGBTQ+ che tuttora operano in Croazia. L’associazione sollevò la questione della legittimità della legge di fronte alla Corte costituzionale croata e chiese di verificarne la compatibilità con la Costituzione. L’avvocata Zrinka Bojanić, rappresentante dell’organizzazione in questa iniziativa legale, fece uso di alcune sentenze pronunciate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per legittimare la sua causa e sostenere che l’accesso all’affido dovesse essere un diritto garantito ai partner dello stesso sesso esattamente come lo era per le coppie eterosessuali.

 

La sentenza della Corte costituzionale

Questa battaglia venne combattuta anche su un altro fronte da Ivo Šegota e Mladen Kožić, una coppia di uomini gay legalmente registrati come life partners, che nel 2017 presentò una richiesta per diventare genitori affidatari. Sebbene la loro richiesta fosse stata accolta positivamente da psicologi e servizi sociali, essa venne rifiutata dal Centro per la previdenza sociale già all’inizio delle procedure e questo spinse la coppia ad avviare una causa per contestare questa decisione. La battaglia legale durò ben tre anni, ma alla fine la sentenza pronunciata dalla Corte costituzionale nel 2019 sembra lasciare alle coppie LGBTQ+ qualche speranza in più che i loro diritti possano essere finalmente riconosciuti. La sentenza infatti obbliga le autorità a garantire a chiunque faccia domanda per diventare genitori affidatari uguali opportunità, anche nel caso in cui si tratti di una coppia omosessuale. Con questo verdetto, la Corte sentenziò che il Foster Care Act produceva effetti discriminatori nei confronti delle coppie LGBTQ+ e che era dunque incostituzionale.

Tale decisione non fu accolta positivamente da una parte consistente della popolazione croata. Un esempio piuttosto eclatante di dissenso popolare si verificò quello stesso anno a Imotski, una piccola cittadina nel sud della Croazia. Qui, durante un festival un’effigie raffigurante una coppia di uomini che si baciano e stringono un bambino fu arsa di fronte alla folla in festa. L’atto fu condannato dalle organizzazioni LGBTQ+ di tutta la Croazia, da varie figure politiche e dal presidente Zoran Milanović stesso. Gli organizzatori del festival giustificarono l’accaduto asserendo che essi rimanevano attaccati alla tradizione croata e alla convinzione che un bambino abbia sempre bisogno di una madre.

La retorica di opposizione ai diritti delle coppie LGBTQ+ continua a combinare la difesa dei valori tradizionali e religiosi con la protezione della famiglia, costruendo una narrazione che dipinge l’esistenza delle persone LGBTQ+ come qualcosa di estraneo alla Croazia e che viene imposto da fuori. La necessità di contrastare questo tipo di narrazione è stata evidenziata anche dalle parole di Šegota e Kožić, che durante la loro battaglia legale furono costretti a specificare pubblicamente come le coppie dello stesso sesso non fossero dei “mostri importati dall’Occidente”.

La loro storia ha comunque avuto un lieto fine. Nonostante questa ostilità, dall’agosto 2020 Ivo Šegota e Mladan Kožić rappresentano la prima coppia LGBTQ+ a essere riuscita a diventare genitori affidatari in Croazia. Questa vittoria finale sembra rappresentare la prova che, seppure la resistenza riscontrata sia ancora feroce, la volontà della Croazia di proteggere i diritti delle minoranze sessuali è forte e il cammino verso l’uguaglianza continua nonostante gli ostacoli.

 

 

Fonti e approfondimenti

BBC News, “Croatians Back Same-Sex Marriage Ban in Referendum”, 02/12/2013.

Euronews. “Outrage after Same-Sex Couple Effigy Burned at Croatian Festival”, Euronews, 25/02/2020.

Glaurdić, Josip and Vuk Vuković. 2016. “Proxy Politics, Economic Protest, or Traditionalist Backlash: Croatia’s Referendum on the Constitutional Definition of Marriage.” Europe-Asia Studies. 68 (5): 803–25. 

Slootmaeckers, Koen and Indraneel Sircar. 2018. “Marrying European and Domestic Politics? The Marriage Referendum in Croatia and Value-Based Euroscepticism.” Europe-Asia Studies. 70 (3): 321–44. 

Slootmaeckers, Koen, Touquet, Heleen, and Peter Vermeersch. 2016. The EU Enlargement and Gay Politics: The Impact of Eastern Enlargement on Rights, Activism and Prejudice. London: Palgrave Macmillan.

Swimelar, Safia 2019. “Nationalism and Europeanization in LGBT Rights and Politics: A Comparative Study of Croatia and Serbia.” East European Politics and Societies: And Cultures 33 (3): 603–30.

The Republic of Croatia. (2014). Same-Sex Life Partnership Act.

Vladisavljevic, Anja. “Croatia’s Top Court Rules Same-Sex Couples Can Foster”, Balkan Insight, 25/02/2020.

 

 

Editing a cura di Carolina Venco

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