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Sorprese, sconfitte ed Europa. Le elezioni olandesi ai raggi X

Lo scorso 17 marzo, i cittadini dei Paesi Bassi hanno votato per eleggere i membri della Camera dei rappresentanti, la camera bassa del Parlamento. I sondaggi sono stati in parte confermati, con la vittoria del partito del Primo ministro uscente Mark Rutte; tuttavia, le elezioni non hanno risparmiato alcune sorprese. Con l’aprirsi delle trattative per la coalizione di governo, è tempo di analizzare il risultato del voto e prospettare possibili scenari per L’Aia.

Dove eravamo rimasti?

L’ultimo governo Rutte era appoggiato da una coalizione centrista di quattro partiti: il Partito popolare per la democrazia e la libertà (VVD), formazione di centro-destra guidata dal premier; l’Appello cristiano-democratico (CDA), partito conservatore il cui leader, Wopke Hoekstra, è stato ministro delle Finanze; D66, partito liberale centrista; e ChristenUnie, formazione cristiano-democratica. La vita di questo esecutivo risultò difficile fin dalle trattative per la sua formazione, che durarono 225 giorni, un record per la storia politica olandese. A metà legislatura, nell’ottobre 2019, il governo perse la maggioranza in Parlamento ma rimase in carica. La caduta arrivò successivamente, a due mesi dalle elezioni, quando una commissione parlamentare ad hoc constatò che i princìpi fondamentali dello Stato di diritto erano stati violati nella gestione di uno scandalo precedente, del 2018. L’Agenzia governativa della tassazione aveva chiesto indietro a 26.000 famiglie a basso reddito i sussidi per i figli, motivando la richiesta con accuse di truffa prive di evidenza. La conclusione della commissione parlamentare portò alle dimissioni del governo Rutte, che mantenne i suoi poteri fino alle elezioni del 17 marzo. 

Molte critiche sono state mosse all’esecutivo anche per la gestione della pandemia. Inizialmente, i Paesi Bassi avevano adottato una strategia simile a quella britannica, evitando chiusure generali e puntando all’immunità di gregge. Successivamente, con il numero dei contagi in aumento, Rutte decise di imporre lockdown generalizzati, provocando proteste in gran parte del Paese. Nonostante le critiche e la lentezza della campagna vaccinale, tuttavia, il partito di Rutte è riuscito a imporsi nuovamente come il primo gruppo parlamentare.

Sistema politico olandese e la sentenza degli elettori

Il Parlamento olandese (gli Stati generali) è composto da due Camere: la Camera dei rappresentanti e il Senato. I membri della prima (150) sono eletti dal popolo; il Senato (75 membri), invece, viene eletto dai consigli provinciali. Il Parlamento olandese ha potere legislativo; il Senato ha poteri ridotti rispetto alla Camera dei rappresentanti, potendo solamente approvare o respingere le proposte approvate dalla Camera.  

Il panorama politico olandese è molto frammentato: quest’anno sono entrati alla Camera 17 partiti. Per questo motivo, tutti i governi del Paese sono sempre nati da coalizioni, spesso composte da tre o più partiti. Un punto di stabilità si può trovare però nella figura di Mark Rutte, che da dieci anni guida i Paesi Bassi e potrebbe essere riconfermato come premier anche nel prossimo governo. Il suo partito, VVD, ha conquistato 35 seggi e rimane la prima forza in Parlamento. Con l’uscita di scena di Angela Merkel dal prossimo settembre, e se Rutte dovesse nuovamente ricoprire il ruolo di Primo ministro, diventerà il leader europeo più longevo dopo Viktor Orbán. Ma il successo di VVD era – per quanto questo termine possa essere valido in questioni elettorali – dato per scontato. La vera lotta era per il secondo posto, per cui era dato favorito il Partito per la libertà (PVV), formazione nazional-populista guidata da Geert Wilders. Tuttavia, un exploit dei liberali di D66 ha spinto Wilders in terza posizione, con 17 seggi. D66, partito di ispirazione progressista, ha conquistato invece 23 seggi, quattro in più rispetto a quattro anni fa, diventando così la seconda forza parlamentare. Un successo è stato anche quello del Forum della democrazia (FVD), partito nazionalista nato da una scissione interna al PVV e guidato da Thierry Baudet, che ha guadagnato 6 seggi rispetto alle precedenti elezioni (oggi ne conta 8). 

Tra gli sconfitti, CDA, ex seconda forza di governo e oggi relegata a quarto gruppo alla Camera, con 4 seggi in meno. Hoekstra potrebbe rassegnare le dimissioni dopo l’insuccesso. Al fallimento del CDA si aggiunge quello delle forze di sinistra: il Partito laburista, i Verdi e il Partito socialista. Il primo ha mantenuto lo stesso numero di seggi (9), nonostante i sondaggi gliene attribuissero almeno due in più. I Verdi e i socialisti, invece, hanno perso rispettivamente 6 e 5 seggi. Secondo uno studio preliminare, parte dell’elettorato di queste forze politiche ha preferito votare D66, mettendo in atto una sorta di “voto strategico” per arginare i partiti nazionalisti. 

Il 21 marzo sono iniziate ufficialmente le consultazioni, dopo che la Commissione elettorale ha decretato i risultati definitivi. Per Mark Rutte si prospettano scenari differenti per la formazione del suo governo, che potrebbe anche essere un esecutivo di minoranza. 

Scenari post-elettorali e politica europea

L’opzione più “semplice” per VVD e D66, i due primi partiti alla Camera, è ricreare la formazione con cui ha governato negli ultimi quattro anni. Ovviamente la nuova coalizione avrebbe equilibri interni differenti, a partire dal ministero delle Finanze che andrebbe a D66 secondo la tradizione per cui questo ruolo spetta al secondo partner di maggioranza. Tuttavia, questo governo non avrebbe la maggioranza in Senato. È lecito aspettarsi quindi che la coalizione VVD-D66-CDA (in numeri, 73 parlamentari) sia il punto di partenza per le consultazioni. Per avere la maggioranza anche in Senato, avrebbe bisogno di altri due partiti

Tuttavia, una recente mozione di sfiducia verso il premier uscente – a cui è sopravvissuto – ha indebolito la sua posizione negoziale. La causa scatenante è stato un intervento di Rutte durante i primi giorni di trattative post-elettorali. In quell’occasione, affermò che non avrebbe garantito nessun ruolo nel futuro esecutivo a Pieter Omtzigt, il parlamentare cristiano-democratico che ha avuto un ruolo nello scandalo che ha portato alla caduta dell’ultimo governo nel gennaio 2021. Dagli appunti di una partecipante ai negoziati, appare tuttavia che Rutte abbia discusso il ruolo di Omtzigt con D66. La reazione politica e mediatica è stata così forte che D66 e CDA hanno proposto una mozione di sfiducia al premier

Sigrid Kaag, leader di D66, ha fatto sapere che le strade tra lei e Rutte si separeranno dopo che il Primo ministro ha mentito a cittadini e alleati di governo. Se Rutte non dovesse essere riconfermato premier, tuttavia, è difficile pensare a chi potrebbe sostituirlo. Per fare a meno di VVD, Kaag dovrebbe formare una coalizione di almeno sette partiti, opzione irrealistica ad oggi. Si fa quindi spazio la prospettiva di un governo di minoranza imperniato su D66 e CDA, con i primi molto vicini a Verdi e socialisti. Ma resta da vedere se Rutte sia davvero fuori gioco o se riuscirà a sopravvivere, confermando la sua proverbiale capacità di resistere di fronte a ogni scandalo.

Più certa è la posizione che il futuro esecutivo adotterà nei confronti dell’Unione europea. Mark Rutte si è contraddistinto negli anni per aver mantenuto un approccio pragmatico alla politica di Bruxelles. Da una parte, dopo Brexit, ha ritagliato per i Paesi Bassi un ruolo sempre più preminente di avversario dell’integrazione politica europea (promossa in particolare dalla Francia); ne è stato un esempio la coalizione dei “Frugali” formata durante i negoziati per l’approvazione del Next Generation EU e, più generale, la coalizione di Paesi ‘rigoristi’ (la cosiddetta Nuova lega anseatica). Dall’altra parte, i Paesi Bassi si sono posizionati dichiaratamente con Bruxelles sulla questione del rispetto dello Stato di diritto in Polonia e Ungheria, e sono sostenitori convinti della politica ambientale dell’UE. 

Le mosse di Rutte, più che contraddittorie, sono state dettate dalla necessità di rappresentare un Paese che ha sempre avuto un sentimento ambiguo verso l’Europa. Se da un punto di vista economico è nell’interesse dei Paesi Bassi essere membri dell’UE, dall’altra è sempre viva la retorica dell’Europa a due velocità e dei Paesi meridionali “indisciplinati” che vivono sulle spalle dei cittadini olandesi. Per evitare che questo sentimento faccia la fortuna di PVV, FVD e Risposta giusta 21 (JA21, un’altra forza nazional-populista), Rutte ha dovuto assumere posizioni intransigenti ai tavoli di Bruxelles. Ma questa ambiguità non riguarda solo Rutte. L’UE è stata definita “l’elefante nella stanza” della campagna elettorale 2021: nessun candidato vi ha accennato o ha presentato una propria agenda europea. Il timore di fare passi falsi o urtare parte del proprio elettorato ha portato tutti i partiti a preferire il silenzio

In definitiva, queste elezioni hanno decretato la continuità nella politica olandese verso l’Unione europea. Chiunque sia il futuro premier, manterrà lo stesso approccio pragmatico di Rutte ai tavoli europei che hanno reso i Paesi Bassi attori centrali nello scenario politico dell’UE. 

 

 

Fonti e approfondimenti

Khan, Mehreen. Netherlands election: Mark Rutte and Europe’s new awkward squad, Financial Times, 15/03/2021.

Khan, Mehreen e David Hindley. Rutte well placed to reign on after dud Dutch election campaign, Financial Times, 12/03/2021.

Klok, Marcel. 2021 General elections in the Netherlands. What to expect based on recent polls and electoral manifestos?, ING Research, February 2021.

Kuper, Simon. Lessons from the Netherlands on staying in power, Financial Times, 10/03/2021.

Schaart, Eline. 4 Dutch election takeaways, POLITICO, 18/03/2021.

Schaart, Eline. Mark Rutte’s political future in doubt amid coalition row, POLITICO, 02/04/2021.

 

 

Editing a cura di Carolina Venco

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