Law & (Dis)order: il prison-industrial complex statunitense

Il prison-industrial complex (PIC) può essere definito come il fenomeno di rapida espansione della popolazione carceraria statunitense, causato dall’azione dei soggetti che dai carcerati traggono benefici economici. Tali attori possono essere compagnie di prigioni private, aziende che forniscono beni e servizi alle prigioni pubbliche, imprese che usufruiscono di lavoro carcerario, agenzie di sicurezza e monitoraggio, fornitori di vario tipo che dotano di servizi ai penitenziari e gruppi lobbistici. Ad ogni modo, il PIC non è solo un insieme di gruppi di interesse e istituzioni, ma può essere considerato come il prodotto di uno stato mentale. Esso rappresenta, secondo i teorici che ne hanno dato una definizione, il richiamo irrefrenabile del capitale che corrompe la giustizia penale (in questo caso), sostituendo le nozioni di sicurezza e servizio pubblico con quella della ricerca di un maggiore profitto.

Una costruzione bipartisan

Il termine PIC deriva dall’idea dell’allora presidente statunitense Dwight Eisenhower (generale di professione), che nel suo discorso d’addio nel 1961 coniò l’espressione del military-industrial complex, denunciando come l’industria militare fosse cresciuta a dismisura anche dopo la fine della Seconda guerra mondiale, arrivando a influenzare incontrollatamente e ingiustificatamente le decisioni di politica difensiva del Paese

Analogamente, il valore commerciale dell’industria carceraria è andato crescendo dall’adozione della campagna di politiche di repressione delle droghe lanciato a inizio anni Settanta dall’allora presidente Richard Nixon. La cosiddetta War on Drugs può infatti essere considerata l’inizio del fenomeno del PIC e della mass incarceration negli Stati Uniti. Basti pensare che nei primi tre quarti del secolo scorso il tasso di incarcerazione negli States è rimasto stabile attorno a 110 carcerati ogni 100.000 abitanti. Oggi il tasso è schizzato alle stelle, superando 700 carcerati per 100.000 abitanti, rendendo gli Stati Uniti il Paese con il tasso di incarcerazione maggiore al mondo, più di molti Stati totalitari. 

Negli anni, il fenomeno del PIC ha continuato a crescere indistintamente, sia con amministrazioni repubblicane che democratiche. Se infatti durante i mandati di Ronald Reagan il tasso di incarcerazione è triplicato, il Violent Crime Control and Law Enforcement Act, ovvero il più grande pacchetto di leggi contro il crimine della storia statunitense, firmato da Bill Clinton nel 1994, ha esacerbato ancora di più il problema della sovrappopolazione delle carceri. Leggi come i minimum sentencing, che impone una detenzione predefinita per determinati crimini eliminando la discrezionalità dei giudici, o la three-strikes law, che sottopone i condannati di tre reati – anche minori – a pene estremamente lunghe, da 25 anni all’ergastolo, hanno mandato dietro le sbarre milioni di statunitensi, tanto che più o meno un terzo della popolazione ha un congiunto che è stato detenuto almeno una volta nella vita

Negli ultimi anni il trend è un po’ rallentato, ma l’attività lucrativa delle prigioni a stelle e strisce può contare su circa 2,2 milioni di carcerati, che rappresentano il 21% della popolazione carceraria mondiale (a titolo di paragone, la popolazione statunitense ammonta al 4,25% della popolazione mondiale).

Ieri Jim Crow, oggi mass incarceration

Poiché la stragrande maggioranza dei prigionieri statunitensi proviene da comunità emarginate dal punto di vista razziale o economico, gli interessi corporativi di un apparato punitivo in continua espansione si basano necessariamente su vecchie e nuove strutture di razzismo e classismo, riproducendole. Ad esempio, l’attuale popolazione carceraria statunitense è composta quasi per metà da cittadini afroamericani, nonostante essi rappresentino solo il 13% della popolazione statunitense. Oggi la percentuale dei detenuti neri statunitensi è maggiore di quella durante l’apartheid sudafricana. Dalla War on Drugs reaganiana ai primi anni Duemila, i carcerati delle comunità bianche sono aumentati di otto volte, quelli delle comunità latine ventidue volte e quelli delle comunità afroamericane di ventisei volte

La questione razziale è importante da considerare perché rappresenta l’altra faccia della medaglia del PIC. Da un lato, enormi profitti per l’apparato carcerario, dall’altro la distruzione del sistema sociale. Infatti, i costi sociali del PIC sono enormi perché colpiscono maggiormente le comunità già povere, che non solo hanno più possibilità di finire dietro le sbarre, ma che sono costretti a subire le conseguenze dei loro reati per tutta la vita. Un’incarcerazione porta infatti a una perdita sostanziale di reddito potenziale per i carcerati e le loro famiglie, minimizza grandemente la possibilità di trovare un impiego futuro e spesso ne limita i diritti essenziali, come ad esempio quello del voto

Tolta la funzione riabilitativa, il carcere negli Stati Uniti equivale più a una punizione senz’appello che impone al condannato una vita senza diritti e in povertà. Nel caso delle minoranze, si aggiunge anche il tema della segregazione, che negli States assume costantemente nuove forme e che oggi è composta anche dall’incarcerazione di massa incentivata dal PIC.

Follow the money: chi ne beneficia?

L’altro lato della medaglia, quello più luccicante, è rappresentato dagli enormi profitti derivanti da un apparato carcerario sempre più vicino a un’industria che a un servizio. I primi beneficiari del PIC sono sicuramente le prigioni private, che operano sotto contratto con gli Stati o con il governo federale. I gruppi più grandi operanti nel settore, la CoreCivic e il GEO Group hanno un fatturato che si aggira attorno ai 4,5 miliardi di dollari. Nonostante esse ambiscano a rappresentare la massima efficienza delle partnerships pubblico-private, la fame di profitto le spinge ad abbassare i costi, tagliando personale penitenziario (diminuendo di conseguenza la qualità del servizio di reintegrazione) e ad applicare misure pesanti per le tasche già povere dei carcerati e delle loro famiglie. Ad esempio, sono state queste compagnie a spingere per una legislazione federale che imponesse il costo di un dollaro al minuto per le telefonate in carcere, quando in media il salario per un’ora di lavoro penitenziario vale 92 centesimi di dollaro. Tuttavia, sarebbe sbagliato attribuire alle prigioni private le cause della crescita esponenziale del PIC. Esse non compongono nemmeno il 10% della popolazione carceraria degli Stati Uniti. 

Attorno al sistema carcerario statunitense infatti operano numerose aziende che effettuano servizi di pulizia, manutenzione, smaltimento dei rifiuti, guardia e sicurezza, ricezione della posta, lavanderia ecc. che formano l’industria delle correctional facilities. Tale industria supera i cinque miliardi di dollari e ha avuto un trend crescente persino nell’annus horribilis 2020.

Una terza tipologia di attori che beneficiano del PIC, meno visibile ma molto potente finanziariamente e politicamente, è quella degli azionisti che detengono parti di aziende che costituiscono le prime due categorie antecedentemente menzionate. Ad esempio, tra i principali azionisti di CoreCivic o di GEO Group, vi sono Wells Fargo, Bank of America e J.P. Morgan Chase. Anche Fidelity Investments e The Vanguard Group detengono larghe fette di capitale nel business delle prigioni. Di conseguenza, è altamente probabile che il fondo di pensionamento o quello di risparmio per il college di milioni di statunitensi vada a finanziare istituzioni che guadagnano dalla popolazione carceraria, e ogni tanto ne abusano. 

Dulcis in fundo, tra i beneficiari del PIC non si può non includere la classe dirigente statunitense. Rappresentanti di spicco di CoreCivic e di GEO Group comunemente inondano di dollari le campagne politiche di esponenti repubblicani. Tuttavia, ciò vale anche per l’altro lato del Congresso. I democratici infatti non hanno rifiutato finanziamenti da grandi azionisti attivi nel settore della carcerazione privata. Ad esempio, la società di asset management Scopia Capital, uno dei maggiori azionisti di GEO Group, è controllata da proprietari che finanziano varie attività filantropico-finanziarie, tra le quali una di micro-financing attiva nei Paesi in via di sviluppo, e che si definiscono apertamente sostenitori dem. Come già evidenziato nel paragrafo sulla costruzione del fenomeno del PIC, il business delle prigioni coinvolge la classe dirigente statunitense in modo bipartisan. Come risultato, l’impazienza dei funzionari eletti di approvare una legislazione dura contro il crimine – combinata con la loro riluttanza a rivelare i costi esterni e sociali di queste leggi – ha incoraggiato ogni sorta di scorrettezza finanziaria che ha alimentato il fenomeno del PIC.

Considerazioni finali

Da più di mezzo secolo, il sistema carcerario statunitense è caratterizzato dal fenomeno del PIC, che genera immensi profitti (e conflitti di interessi) per una ristrettissima parte della popolazione, mentre distrugge il sistema sociale per una larghissima parte della stessa, prevalentemente già intrappolata in un sistema di segregazione economica e razziale. Risulta evidente come una riforma del sistema penitenziario sia cruciale per il Paese e un’immensa opportunità per l’amministrazione attuale di smarcarsi, per quanto possibile, dagli errori passati. Finché negli Stati Uniti la detenzione rappresenterà un valore economico più che fungere da servizio pubblico, i patrioti a stelle e strisce potranno vantarsi di vivere nel Paese (non) più libero del mondo.

 

Fonti e approfondimenti

Davis, Angela Y. and Shaylor, Cassandra. 2001. “Race, gender, and the prison industrial complex: California and beyond.” Meridians 2.1: 1-25.

Downs, Ray. 2013. “Who’s Getting Rich off the Prison-Industrial Complex?”, VICE News, 17/05/2013. 

Gotsch, Kara and Basti, Vinay, “Capitalizing on Mass Incarceration: U.S. Growth in Private Prisons”, The Sentencing Project, 02/08/2018.

IBIS World. 2020. “Correctional Facilities Industry in the US – Market Research Report”. IBIS World.

In The Public Interest (ITPI). 2016. “Report: The Banks That Finance Private Prison Companies”. In The Public Interest (ITPI)

Murgolo, Emanuele,“La mass incarceration è il Jim Crow del nuovo millennio”, Lo Spiegone, 12/07/2019. 

NAACP. (n.d.). “CRIMINAL JUSTICE FACT SHEET”. NAACP. 

National Institute of Corrections. 2015.  “World Prison Population List”. National Institute of Corrections. 

Sawyer, Wendy,  and Wagner, Peter, “Mass Incarceration: The Whole Pie 2020”, Prison Policy Initiative, 24/03/2020. 

Selman, Donna, and Leighton, Paul. 2010. “Punishment for sale: Private prisons, big business, and the incarceration binge”. Rowman & Littlefield Publishers.

Schlosser, Eric. 1998. “The prison-industrial complex”. The Atlantic Monthly 282.6: 51-77.

Wagner, Peter, “Are private prisons driving mass incarceration?”, Prison Policy Initiative, 07/10/2015.

 

Editing a cura di Cecilia Coletti

 

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