Il razzismo sistemico in Australia

@Andrew Mercer via Wikimedia Commons - CC BY-SA 4.0

Nel mese di giugno, l’opinione pubblica australiana si è concentrata su una mozione presentata dalla senatrice Pauline Hanson, leader e fondatrice del partito nazionalista e conservatore One Nation. La mozione, che mirava all’esclusione della “teoria critica della razza” – una linea di ricerca che esamina il razzismo sistemico – dal programma di formazione scolastica adottato a livello nazionale, ha riacceso un confronto molto aspro in tutto il Paese sul problema della discriminazione razziale.

Il dibattito sulla persistenza e pervasività di strutture di potere discriminatorie nei confronti delle minoranze è estremamente attuale in tante parti del mondo. Dopo l’omicidio di George Floyd, tra i Paesi in cui si è maggiormente propagata la spinta antirazzista di Black Lives Matter vi è proprio l’Australia, dove sull’onda delle manifestazioni statunitensi le principali città hanno visto scendere in piazza un’importante fetta della popolazione.

Come nel caso degli Stati Uniti, il razzismo ha segnato in profondità la storia della nazione australiana. Tutt’oggi, nei comportamenti delle istituzioni e nel tessuto sociale, si registrano numerose prove della discriminazione razziale che colpisce la popolazione non bianca, in primis gli aborigeni e gli abitanti delle isole dello Stretto di Torres.

Il dibattito sul razzismo sistemico

Per comprendere la complessità della matrice razzista nella società australiana, la docente universitaria Alana Lentin pochi anni fa ha proposto di suddividere l’analisi in due differenti categorie: il “razzismo in pubblico” e il “razzismo pubblico”. Mentre al primo corrispondono gli eventi che vedono come protagonisti individui coinvolti in episodi di odio razziale, il secondo rappresenta una forma di discriminazione molto più articolata, solitamente meno “visibile” agli occhi dei mass media ma molto più potente nel riprodurre le disuguaglianze.

Per “razzismo pubblico”, più spesso definito come razzismo sistemico o istituzionale, si intende il processo attraverso cui le persone appartenenti a minoranze etniche vengono discriminate in maniera sistematica da parte di una serie di entità pubbliche e private. In particolare, nella definizione di Lentin, esso comprende “tecnologie, accordi istituzionali, leggi, politiche, curricula e contratti”, tutti elementi che concorrono a determinare una cristallizzazione dello status quo a favore del gruppo etnico dominante. Questo significa che se il risultato di norme, pratiche o abitudini è discriminatorio da un punto di vista razziale, allora si può parlare di razzismo istituzionale.

Se la diffusione degli stereotipi nella popolazione costituisce uno degli aspetti più indagati quando si affronta la problematica del razzismo, in realtà si tratta solamente di una faccia del fenomeno. Nonostante il razzismo sia radicato in attitudini, valori e credenze condivisi – ovvero quello cui generalmente ci riferiamo quando parliamo di “cultura”- la discriminazione può avvenire anche a prescindere dalla volontà degli individui, in particolare all’interno delle istituzioni. Così, è soprattutto l’attività di queste ultime che perpetua il mantenimento di uno stato di iniquità tra gruppi che si riflette nelle diverse dimensioni sociali: dal sistema educativo al mondo del lavoro, dalla salute fisica e mentale delle persone alla situazione delle carceri.

Il riconoscimento del razzismo sistemico in Australia

In Australia come in altri Paesi, oggi il dibattito pubblico sul razzismo si è fortemente polarizzato. Da una parte, vi è chi cerca di sminuire o addirittura negare la presenza di un problema strutturale nella società, come la già citata Pauline Hanson. Sebbene abbia vissuto una carriera molto altalenante, dal suo ingresso nella scena politica Hanson ha avuto un ruolo di primo piano nell’ampliare il perimetro del discorso mainstream, fino a farvi rientrare posizioni apertamente razziste e xenofobe. Dall’altra, vi è chi ritiene che, anche a fronte di importanti passi avanti nel contrasto al razzismo, la società australiana sia ancora lontana dal diventare uno spazio de-razzializzato. Con il passare del tempo, su questo fronte si sono registrate alcune importanti prese di posizione da parte delle istituzioni, che hanno a più riprese riconosciuto apertamente la necessità di affrontare il problema del razzismo sistemico e di fare i conti con il proprio passato. Anche se, è bene rimarcarlo, le scelte intraprese sono risultate tutt’altro che lineari.

Fino agli anni Settanta, le istituzioni australiane hanno completamente legittimato attraverso le proprie azioni la diffusa convinzione che l’Australia dovesse essere mantenuta come una nazione bianca e britannica – e che la prosperità e l’unità nazionale dipendessero dall’omogeneità razziale e culturale. Gli abitanti delle Prime comunità erano privati dei propri diritti, mentre la politica migratoria “White Australia”, fermando i flussi di provenienza non europea nel Paese, contribuì allo sviluppo di una società volutamente bianca, in quanto isolata per scelta e su base razziale.

Uno snodo cruciale nel rivolgimento del Paese verso una maggiore equità razziale è il Racial Discrimination Act (1975), approvato sotto la crescente pressione dell’opinione pubblica internazionale. Il RDA ha reso illegale la discriminazione contro una persona in base a razza, colore della pelle, discendenza, origine nazionale o etnica, o status di immigrato. Tuttavia, come messo in evidenza dall’ex Commissario australiano per la discriminazione razziale, Tim Soutphommasane, il passaggio del RDA non ha significato per il Paese chiudere definitivamente i conti con il razzismo. Piuttosto, creando la base legale della protezione delle persone dalla discriminazione razziale, il RDA ha rappresentato la prima presa di coscienza di questo male storico. Un male che, però, deve essere ancora pienamente estirpato e che in alcuni luoghi è ancora all’ordine del giorno.

Il razzismo sistemico in Australia: evidenze dal carcere

Uno dei contesti sociali in cui le disparità razziali saltano più all’occhio è quello legato al controllo della criminalità. Non è un caso che, tra le varie tappe del percorso di riconoscimento, hanno assunto un valore decisivo documenti riguardanti proprio tale dimensione. Tra i più importanti, figura il report rilasciato nel 1991 dalla Commissione Reale sui Decessi degli Aborigeni in Custodia. La commissione, istituita per indagare le ragioni delle morti avvenute nel decennio precedente e dare raccomandazioni per prevenire casi di decessi durante la custodia in futuro, identificò all’epoca un problema di natura “istituzionalizzata e sistemica, [che] risiede[va] non solo negli individui o nelle singole istituzioni ma nel rapporto tra le varie istituzioni”.

Qualche anno più tardi, fu sviluppato il Victorian Aboriginal Justice Agreement, un patto che impegnava le comunità aborigene e il governo dello Stato a cooperare per garantire la sicurezza e contemporaneamente ridurre la sovra rappresentazione dei nativi nelle carceri. Patto che, a sua volta, si basava sull’assunto che il razzismo e la discriminazione sono fattori che concorrono e contribuiscono a spiegare il fenomeno.

Ma nonostante la pubblicazione di studi e la nascita di istituzioni deputate a contrastare gli effetti delle disparità razziali sul sistema carcerario, la situazione continua a essere drammatica.

Nel 2021 si è riscontrata una crescita del divario nel tasso di incarcerazioni di bianchi e Aborigeni. Mentre nel primo caso i numeri sono in continuo calo, per quanto riguarda le comunità indigene si assiste a un aumento delle reclusioni. Su 100.000 adulti, oggi i detenuti aborigeni sono 1.935, mentre nel periodo 2010-2011 si trattava di 1.458 persone su 100.000. Per fare un confronto con un altro Paese chiamato a confrontarsi con il problema dell’incarcerazione di massa, basti pensare che negli Stati Uniti il tasso di detenuti afroamericani è di 666 per 100.000. Inoltre, dalla stesura del report del 1991 sono stati stimati circa 470 decessi di prigionieri Aborigeni in custodia. Sebbene questi numeri comprendano le morti naturali, si tratta di cifre spaventosamente alte. Considerando anche che  in termini relativi gli indigeni australiani sono il popolo più incarcerato del mondo, queste cifre mostrano chiaramente come, anche a fronte dei progressi fatti negli ultimi 50 anni, l’Australia abbia ancora un problema di razzismo sistemico.

La situazione australiana non può essere indagata a fondo se non spingendosi al di là della dimensione individuale per addentrarsi nel “sistema”. Nel caso della giustizia penale o della attività di polizia, l’operato istituzionale può risultare discriminatorio senza che questo sia riconosciuto ufficialmente o a prescindere dall’esistenza di politiche orientate alla rimozione della discriminazione. Questo perché parliamo di un fenomeno fortemente radicato nel tessuto storico-sociale, presente a più livelli e in più settori tra loro strettamente interdipendenti. La lotta al razzismo sistemico è un processo lungo e graduale: in un momento in cui si registra la presenza di spinte contrarie, è fondamentale insistere nella denuncia delle disparità all’interno delle comunità.

 

Fonti e approfondimenti

Bowling, B. (1999). Violent racism: Victimization, policing, and social context. Oxford University Press.

Cunneen, C. (2019). Institutional racism and (in) justice: Australia in the 21st century. Decolonization of Criminology and Justice.

Lentin, A. (2016). Racism in public or public racism: Doing anti-racism in ‘post-racial’times. Ethnic and Racial Studies.

Mitchell G, “What was the Royal Commission into Aboriginal Deaths in Custody?“, The Sidney Morning Herald, 12/4/2021.

Reid T, “Aboriginal lives ought to matter not only when we die, but while we are alive“, The Sidney Morning Herald, 15/4/2021.

Sengul K, “Pauline Hanson built a political career on white victimhood and brought far-right rhetoric to the mainstream“, The Conversation, 22/6/2020.

Soutphommasane, T. (2015). I’m Not Racist But… 40 Years of the Racial Discrimination Act. NewSouth.

Visontay E, “Indigenous prison population continues to increase, while non-Indigenous incarceration rate falls“, The Guardian, 21/1/2021.

Wilson J, “Australia’s absurd moral panic around critical race theory aims to silence demands for justice“, The Guardian, 9/7/2021.

 

Editing a cura di Emanuele Monterotti

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