Lotta armata in Palestina (parte 2): la resistenza guidata dai partiti dell’OLP

Una manifestazione jihadista a Gaza nel 2010: un insieme di persone di nero vestite, con lunghe tonache e veli a coprire quasi interamente il volto, sfilano imbracciando dei fucili
Frédéric Sautereau (via Mouhammed Omar) - Flickr.com - License CC BY-SA 2.0

Nonostante l’escalation militare di maggio abbia coinvolto principalmente le milizie islamiste attive nella Striscia di Gaza nel confronto con l’esercito israeliano, la lotta armata contro l’occupazione della Palestina ha visto e, parzialmente, ancora vede la partecipazione di altri due attori fondamentali nel panorama politico palestinese: al-Fatah e il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina.

Fondate nel secolo scorso, le milizie legate ai due partiti, i più importanti dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), si collocano nello spettro politico su posizioni di sinistra. Nonostante abbiano fatto, in passato, della lotta armata e della resistenza due pilastri delle loro politiche, ad oggi risultano poco attive. Inoltre, i cambiamenti geopolitici degli ultimi trent’anni ne hanno fortemente condizionato l’attività.

La nascita dell’OLP: Liberazione e Lotta armata tra interessi pan-arabi e palestinesi

Nata nel 1964 su raccomandazione dell’allora presidente d’Egitto Gamal al-Nasser e sotto osservazione e sponsorship della Lega Araba, l’OLP è nata con l’obiettivo della “liberazione della Palestina”, ma anche come risposta alla proliferazione di gruppi politici e paramilitari insoddisfatti dell’inerzia dei Paesi arabi all’indomani della sconfitta araba durante il primo conflitto arabo-israeliano (1948)

La storia dell’OLP è stata inoltre travagliata: l’Organizzazione, che oggi è al centro dell’Autorità nazionale palestinese e governa i territori della Cisgiordania e che nel 1992 firmò i celebri Accordi di Oslo, è entrata nei decenni in conflitto con gli stessi Stati arabi suoi sponsor (prima fra tutti la Giordania, in seguito agli avvenimenti del Settembre Nero del 1970) e fu dichiarata un’organizzazione terroristica dagli Stati Uniti nel 1987 a causa del suo uso della violenza. 

Ma la storia della nascita e dell’azione dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina è anche una storia dominata dalla collisione fra i diversi interessi dei Paesi arabi coinvolti nel conflitto arabo-israeliano (Siria, Giordania, Egitto, Libano e Iraq). Guidata da Ahmed Shuqairi, durante il primo decennio di vita l’Organizzazione fu infatti ostaggio delle diverse posizioni e dei disaccordi arabi riguardo alla gestione della questione palestinese. La stessa Commissione esecutiva dell’OLP era in realtà espressione di una cultura “conservatrice” della questione palestinese, la quale concepiva le sorti della Palestina come una questione prettamente pan-araba. Lo stesso Esercito per la Liberazione della Palestina, fondato poco dopo e sempre sotto l’auspicio della Lega Araba, contava fra le sue righe palestinesi già in servizio all’interno dei diversi eserciti nazionali arabi. 

Solo dopo la decisione presa al summit di Rabat della Lega Araba nel 1974, l’OLP fu ufficialmente riconosciuta «unico e legittimo rappresentante del popolo palestinese», trasformando per sempre la definizione della questione palestinese non più come cuore di un più ampio conflitto arabo-israeliano, ma come centro di un conflitto a due fra palestinesi e Stato d’Israele. 

Fino al 1974, però, l’eccessiva influenza di interessi nazionalistici arabi riguardo alla questione palestinese, combinata con la rovinosa sconfitta araba nel 1967 provocarono un profondo senso di disaffezione nei confronti dell’OLP, le dimissioni di Shuqairi e l’affioramento di un altro gruppo di liberazione palestinese, al-Fatah, il quale avrebbe cambiato per sempre la faccia dell’OLP, sposandola all’ideologia della lotta armata come unico strumento concreto di liberazione della Palestina e dei palestinesi. 

Fatah e la lotta armata: dalla fondazione all’ascesa all’interno dell’OLP

Fino al 1967, né l’OLP né altre organizzazioni pan-arabe potevano vantare una piattaforma politica precisa per la liberazione della Palestina e la definizione del suo status finale. In molti pensavano ancora che sarebbero stati i Paesi arabi a liberare le terre occupate, prima fra tutti il campione del pan-arabismo Gamal el-Nasser. Solo un movimento, sposato all’uso della lotta armata e di fini rivoluzionari, dissentiva dal parere generale: al-Fatah.

Fondata in Kuwait nel 1958 da Yasser Arafat, Khalil al-Wazir e Salah Khalaf, l’organizzazione al-Fatah sposò da subito l’idea del diritto all’autodetereminazione palestinese e che solo il popolo palestinese fosse legittimato a lottare per la propria indipendenza e per i propri interessi. A differenza della politica dell’OLP dell’epoca, gli Stati arabi avevano il compito di assistere ma non di determinare la questione del conflitto, che per gli aderenti si sarebbe risolto solo una volta che fosse stato fondato uno Stato palestinese indipendente e democratico. 

Rimasto ai margini del conflitto, al-Fatah è emerso come movimento primario solo nel 1967, all’indomani della sconfitta araba nella Seconda guerra arabo-israeliana. Lo sconforto e la frustrazione erano tali che il presidente dell’OLP Shuqairi fu forzato alle dimissioni e il consenso popolare e l’adesione alla lotta armata di Fatah schizzò alle stelle. Nel 1969, l’organizzazione aveva preso il controllo della Commissione esecutiva dell’OLP e Yasser Arafat ne fu eletto presidente. L’ascesa di al-Fatah all’interno dell’OLP, sancito da un Accordo di unità firmato nel 1970, segnò storicamente la presa di responsabilità dei palestinesi e la concezione del conflitto come vera e propria rivoluzione, indipendente dal più ampio conflitto arabo-israeliano. 

Da quel momento, al-Fatah ha portato avanti migliaia di azioni di guerriglia contro lo Stato d’Israele, ma non solo. Come già ricordato, l’ideologia della lotta armata ha inasprito le relazioni dell’OLP anche con Stati partner arabi, finanche in maniera sanguinosa,  e con il resto della comunità internazionale, nonché deragliato tentativi di instaurare processi di pace per il Medio Oriente. 

Solo negli anni Ottanta, al-Fatah/OLP sotto la storica guida di Arafat avrebbe rinunciato all’uso della violenza come mezzo di liberazione, onde evitare l’esclusione dal processo di pace di Madrid del 1991. Oggi al-Fatah rimane il partito politico principale all’interno del OLP e dell’Autorità nazionale palestinese, e i tempi della lotta armata sono ormai dormienti, un fattore che, negli ultimi 20 anni, ha contribuito alla crescita della popolarità di Hamas nella Striscia di Gaza. 

La nascita del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina: una fazione divisa fin dal principio

Terzo grande partito dello scenario politico palestinese (con il 4,25% delle preferenze alle elezioni del 2006) e unico attore di orientamento marxista-leninista, il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina è una delle prime formazioni politico-militari a nascere con l’intento di opporre una lotta armata a Israele.

Fondato nel 1967, entrato nell’OLP nel 1968 e dichiaratosi di orientamento comunista nel 1969, il FPLP nasce in realtà all’interno dell’universo del Movimento dei nazionalisti arabi (MNA, in arabo Harakat al-Qawmiyyīn al-ʿArab). Risalente al 1948, il MNA professava quel secolarismo e internazionalismo sui cui poi si baseranno le diverse fazioni di estrema sinistra poi confluite nel FPLP. Nonostante il MNA abbia guidato la lotta all’imperialismo, al colonialismo e al sionismo per quasi vent’anni, agli inizi degli anni Sessanta, diversi fattori esogeni e crisi interne portarono allo scioglimento del movimento e, conseguentemente, alla formazione del FPLP e di altri partiti.

Se da un lato il MNA entrò in crisi a livello internazionale a causa del divieto adottato da Siria e Iraq di costituire partiti di stampo nasseriano, costringendo allo scioglimento delle branche nazionali del movimento (attivo anche in Libia, Kuwait, Siria, Iraq e Libano oltre che in Palestina); dall’altro, l’avvicinamento di uno dei suoi membri di spicco, George Habash, all’ideologia marxista e all’Unione Sovietica comportò una frattura interna tra nazionalisti, socialisti e comunisti che non si rimarginò mai più.

Tra le fila dei comunisti, Habash uscì dal movimento seguito dalle frange più oltranziste, tra cui Nayef Hawatmeh. I due, insieme a Ahmad Jibril, ex ufficiale dell’esercito siriano già a capo del Fronte per la Liberazione della Palestina, fondarono il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (1967). La fondazione del FPLP attirò fin dal principio figure di spicco della sinistra militante araba, tra cui anche lo scrittore e giornalista Ghassan Kanafani, già amico di Habash e fondatore del giornale al-Hurriya (la “libertà”) a Beirut. Il celebre attivista, per anni, fu il direttore dell’organo di informazione e propaganda del PFLP: al-Hadaf (“l’obiettivo”).

Tuttavia, nonostante lo sforzo in ambito militare, politico e intellettuale, le divergenze tra i fondatori Habash, Hawatmeh e Jibril divise il fronte in tre tronconi. Di fatto, Habash, figura centrale della fazione, non fu mai in grado di far convergere le posizioni di Hawatmeh, che voleva trasformare il Fronte in uno strumento ideologico costituito da intellettuali palestinesi, e Jibril, più improntato all’azione diretta e alla guerriglia. Nel 1968, si arrivò quindi alla nascita del Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina, guidato da Hawatmeh, e del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina – Comando generale di Jibril. I due gruppi continueranno a collaborare e a far militanza politica all’interno del FPLP di Habash, ma condurranno attività ideologiche e militari parallele.

Dall’Unione Sovietica alla Repubblica Islamica dell’Iran: la traiettoria politica del FPLP

Fin dalla sua fondazione, le formazioni marxiste-leniniste rappresentate all’interno del FPLP condussero una lotta armata basata principalmente su attentati a militari e civili israeliani, tanto che, negli anni successivi, sia Stati Uniti che Unione europea inserirono il gruppo nella lista delle organizzazioni terroristiche. Fungendo da catalizzatore per l’universo di micro-gruppi di stampo marxista-leninista del mondo arabo, il FPLP ha goduto per due decenni del supporto materiale dell’Unione Sovietica, capace di destinare fondi e armi all’organizzazione tramite la Siria, Paese vicino a Mosca e ospitante la sede del FPLP. Per anni, l’utilizzo da parte dei guerriglieri del Fronte di kalashnikov e razzi di costruzione sovietica costituiranno un vero e proprio marchio di fabbrica, utilizzato anche in ambito propagandistico – numerose sono le foto di guerriglieri e guerrigliere del Fronte intenti a sparare con kalashnikov o a leggere le opere di Marx, Lenin e Mao.

La consacrazione del FPLP avvenne nel 1972, quando l’organizzazione pianificò ed eseguì l’attentato che prese il nome di “massacro di Lod”. Quel giorno, la coordinazione tra militanti del Fronte e seguaci dell’Armata Rossa giapponese, costò la vita a 26 persone (quasi 80 i feriti) all’interno dell’aeroporto internazionale di Tel-Aviv. Il mix di tecniche adottate, a metà tra l’attentato suicida e l’azione da commando altamente specializzato, mostrò a Israele l’impreparazione delle proprie forze di sicurezza interne, contribuendo all’avvio di quel processo di ammodernamento che portò il Paese a investire nella lotta al terrorismo.

Un’altra azione militare eseguita dal Fronte contribuì al clima di tensione che sfociò nella Prima Intifada nel 1987. Qualche settimana prima della rivolta popolare, infatti, un militante del Fronte riuscì a entrare in un campo militare israeliano usando un deltaplano a motore fornito dalla Libia di Gheddafi. L’attentato portò alla morte di sei militari israeliani e dell’attentatore stesso. Pochi giorni dopo, allo scoppio della Prima Intifada, il FPLP usò la fama e il sostegno raggiunti per incanalare le proteste  e guadagnare consensi, anche se l’Intifada divenne celebre per aver consacrato le milizie islamiste più che le fazioni dell’OLP.

Dopo due decenni di attività ideologica, politica e militare il Fronte iniziò il suo lento declino a partire dagli anni ‘90. Con il crollo dell’Unione Sovietica, la firma degli Accordi di Oslo e la crisi dei sentimenti pan-arabisti, l’organizzazione si ritrovò con ben pochi sostenitori a livello internazionale. Per ovvi motivi, l’URSS non fu capace di fornire armi e fondi all’organizzazione, mentre la Siria, dove il FPLP aveva la sede, continuò a sostenere il gruppo solo a parole, sentendo la necessità di distaccarsi dalla questione palestinese. Inoltre, la firma degli Accordi di Oslo da parte dell’OLP, osteggiata dal FPLP stesso, corrose il sostegno popolare alle fazioni facenti parte dell’organizzazione; sostegno che venne incanalato dai movimenti islamisti più giovani e dotati di ben altro appeal rispetto al marxismo-leninismo, difficile da propagandare nei territori occupati. Infine, Israele, conscio della debolezza del Fronte e memore degli attacchi degli anni precedenti, eseguì una lunga serie di azioni contro il Fronte, i suoi leader e i suoi militanti, come nel 2001, quando le forze israeliane uccisero Abu Ali Mustafa, successore di Habash alla guida del Fronte.

Ad oggi, il Fronte appare come totalmente ridimensionato e rimodellato. Nonostante un’esigua presenza nella Striscia di Gaza, il FPLP appare più partecipe in Cisgiordania e nei territori occupati, dove tuttavia non riesce a condurre azioni senza il supporto di altre fazioni, visto il ferreo controllo territoriale delle forze israeliane. La quasi rottura con al-Fatah, inoltre, ha portato il Fronte a concentrarsi sul Libano, dove gode di maggiore supporto e dove riesce a operare contro Israele. Le azioni effettuate nel sud del Paese, inoltre, hanno portato il Fronte ad avvicinarsi a Hezbollah e successivamente a Hamas e all’Iran. Nel primo caso, il Fronte ha guadagnato supporto nella Striscia, dove ha potuto riprendere le azioni di guerriglia, esattamente come a maggio, quando Hamas ha permesso al Fronte di partecipare alle azioni militari. Nel secondo, il Fronte ha guadagnato l’appoggio di un attore internazionale del calibro dell’Iran, in grado di supportare tramite fondi e armi, sicuramente più efficienti dell’obsoleto arsenale sovietico di cui il Fronte si è avvalso per anni. 

Le divergenze in seno all’OLP e l’inattività bellica dell’organizzazione:

Nonostante facciano parte dell’OLP, Fatah e il FPLP si sono scontrati più volte nella storia della loro militanza all’interno dell’organizzazione. A livello ideologico, il primo contrasto sorse durante gli anni di Arafat alla guida dell’OLP. Quando la dirigenza dell’organizzazione approvò e presentò il “Programma dei dieci punti”, che per la prima volta introduceva la soluzione del doppio Stato, il FPLP si dimostrò tra i più accaniti sostenitore del “no”. Parte della fazione tra cui il FPLP – CG di Jibril uscì dall’OLP in segno di protesta. 

Lo scontro tra le due fazioni, seppur politico e non militare come nel caso del conflitto tra Fatah e Hamas, è proseguito nei decenni peggiorando sempre di più. Nel 2016, l’accusa di sottrarre ingenti quantità di denaro dal Fondo nazionale palestinese proveniente dai dirigenti del FPLP e diretta ad Abbas, leader di Fatah, dell’OLP e dell’ANP, è costato caro all’unità dell’OLP. Un anno dopo, infatti, l’OLP e il Fondo nazionale palestinese hanno deciso di tagliare i fondi al FPLP, spingendo la fazione marxista sempre più verso l’Iran e i suoi proxies, come Hezbollah e Hamas.

 

 

Fonti e approfondimenti

Bröning, Michael, “Political Parties in Palestine: Leadership and Thought”, New York: Palgrave Macmillan, 2013.

Campanini M., 1916-2016: come cambia il Medio Oriente a cent’anni da Sykes-Picot”, Medio Oriente Treccani, 2016.

ECFR, “mapping Palestinian politics”, Popular Front for the Liberation of Palestine. 

ECFR,  “mapping Palestinian politics”, Fatah. 

Hamzeh Abdul Hameed Mahmoud Al-Smadi, “PLO Political Experience From The Armed Resistance to the Peaceful Settlement (1964-2006)”, Dspace academic, 2008.

Leopardi F., “A History of the Popular Front for the Liberation of Palestine”, Bulletin for the Council for British Research in the Levant/Routledge Open Journal, 2017.

 

 

Editing a cura di Carolina Venco

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