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Ricorda 1951: La nascita dell’ANZUS

La firma dell'ANZUS

Riccardo Barelli - Remix Lo Spiegone - Foto di The U.S. National Archives - Picryl - Pubblico dominio

Il 1° settembre del 1951, Stati Uniti, Australia e Nuova Zelanda firmano il trattato ANZUS. Il patto rappresenta un compromesso, un compresso ritenuto allora necessario dai rispettivi governi alla luce dei recenti avvenimenti in Asia e di alcune “storiche” preoccupazioni nei confronti delle potenze di questo continente. A settant’anni di distanza dalla firma, l’area pacifica si trova ancora al centro dell’attenzione globale, nucleo di un confronto tra grandi potenze che proprio allora iniziarono a vedere in questa parte di mondo così coperta dalle acque un nodo nevralgico per i propri fini politici e strategici. 

Origini e firma dell’ANZUS

Una volta terminata la Seconda guerra mondiale, gli Stati dell’Oceania condividevano due preoccupazioni profondamente intrecciate, legate entrambe alla propria sicurezza nazionale. Durante le ostilità si erano palesate le lacune del Regno Unito, non più capace di assicurare un aiuto concreto ai vecchi dominions in caso di attacco esterno, mentre le offensive del Giappone avevano dato corpo a una paura che affondava le sue radici nella guerra tra quest’ultimo e la Russia zarista, un momento decisivo per l’affermazione internazionale della potenza imperiale asiatica – e in quanto tale, non “occidentale”. Agli occhi della Nuova Zelanda e in particolare dell’Australia, il Giappone costituiva da allora il “pericolo giallo”, una definizione che riflette chiaramente l’ideologia razzista del tempo, un nemico che, approfittando della sua caduta, si doveva completamente e permanentemente disarmare. 

La sconfitta giapponese e l’ascesa definitiva degli Stati Uniti e della loro flotta portarono alcuni membri dei governi di Canberra e Wellington – su tutti il ministro degli Esteri australiano Percy Spender – a rivalutare i rapporti di forza nell’area, nel tentativo di individuare un nuovo punto di riferimento per la propria protezione e di mantenere il potenziale bellico del Giappone nella condizione di non nuocere.

In un primo momento, gli Stati Uniti si convinsero della necessità di neutralizzare la forza militare giapponese, tramite l’occupazione del suo territorio e poi imponendo una costituzione che, all’articolo 9, stabilisce la “rinuncia alla guerra come diritto sovrano della nazione”. Tuttavia, l’amministrazione Truman mutò rapidamente la propria posizione nei confronti dell’ex avversario, reinterpretando il suo ruolo in relazione agli obiettivi di contenimento (containment) dell’URSS e alle sfide rappresentate dall’istituzione della Repubblica Popolare Cinese (1949) e della Guerra di Corea (1950). 

Nella lotta globale al comunismo, la rivitalizzazione del Giappone e delle sue grandi possibilità industriali era un’alternativa di gran lunga preferibile al suo annichilimento. Allo stesso tempo, si trattava di una prospettiva che non poteva non destare qualche perplessità in chi, nei suoi riguardi, aveva maturato una vera e propria fobia. Con la firma dell’ANZUS, fu pertanto sancito uno scambio di rassicurazioni.

Se è vero che formalmente si configura come un patto difensivo, con cui i tre Paesi si impegnano a fare fronte comune in caso di aggressione, esso segna anche un altro passaggio importante nella loro storia. Da una parte, Australia e Nuova Zelanda, come successo nella Guerra di Corea, da quel momento avrebbero partecipato attivamente alla strategia statunitense nella cornice della Guerra Fredda. Dall’altra, gli Stati Uniti si impegnavano affinché il Giappone, da nemico mortale, diventasse nel tempo un amico fidato.

L’importanza dell’ANZUS per Australia 

Canberra e Wellington grazie all’ANZUS iniziarono di fatto a far parte di una relazione speciale e diretta con Washington, che si apprestava a costruire l’architettura del mondo bipolare. Fino a quel momento il rapporto con gli Usa era passato principalmente da Londra, la madre patria arcigna agli occhi di Nuova Zelanda e Australia.

La strategia del “salto della rana” che aveva portato i Marines a scacciare le forze giapponesi dalle isole del Sud-Est asiatico aveva avuto un altro risultato collaterale: la fusione del commando tra unità americane e australiane. L’ANZUS fu quindi la naturale continuazione di quella strategia per le autorità australiane, che si ritrovarono in un idilliaco accordo con Washington. La tendenza repubblicana, in quegli anni in espansione, aveva nel presidenzialismo a stelle e strisce un interlocutore perfetto contro lo storico rapporto di sudditanza imposto dalla corona di Londra. Truman e poi Eisenhower non si fecero scappare questa occasione e portarono saldamente l’Australia nel proprio raggio di azione.

Canberra divenne il più fedele dei partner nell’area, come si capisce facilmente guardando agli scontri e interventi che Washington effettuò  nel Pacifico, tutti supportati entusiasticamente dal partner oceanico. A livello culturale, la longa mano statunitense sfruttò anche un retaggio ampiamente sedimentato nelle sabbie australiane: la percezione di superiorità culturale e razziale che la nazione ha nei confronti dei vicini e del Sud-Est asiatico. Le truppe australiane che furono mandate a combattere in Vietnam al fianco degli americani nella più sanguinosa guerra della storia di Washington, erano più che partner di un conflitto per limitare i vietcong e l’URSS, si percepivano come fratelli di una battaglia per la civilizzazione di un’area da sempre vista come “bruta” rispetto alla lontana Australia.

Il trattato con gli Stati Uniti fu dunque una sorta di estensione all’isolata Australia del “Destino manifesto” della nazione statunitense. Con questa narrazione, gli americani tenevano anche sotto controllo la tendenza verso il socialismo che accomuna una parte consistente di australiani, in quanto retaggio del basso proletariato, origine comune degli isolani espatriati dall’inghilterra nell’800.

L’importanza dell’ANZUS per la Nuova Zelanda

Differente è il discorso per la Nuova Zelanda. L’isolazionismo di Wellington ha profondamente influenzato le sue posizioni in tema di politica estera. E così è stato anche nel caso del trattato. Il Paese ha sempre partecipato alle missioni militari, combattendo e riportando anche grandi successi nella Prima e nella Seconda Guerra Mondiale. Allo stesso tempo però, vivere all’ombra del gigante australiano, così a suo agio nella relazione con gli USA e così lontano dalla minaccia comunista, ha sempre reso complesso il rapporto della Nuova Zelanda con gli Stati Uniti.

Washington è sempre stato percepito come un importante partner commerciale, ma i neozelandesi non hanno mai avuto quella affinità che invece gli australiani hanno da subito percepito. Non c’è un “destino manifesto” o desiderio di conquista nei flutti oceanici di Aotearoa (nome maori per la Nuova Zelanda). L’ANZUS, quindi, fu sempre visto come una gabbia da accettare ma comunque limitante, che obbligava l’arcipelago a occuparsi di un mondo troppo distante e poco interessato a loro.

Emblematica per capire questo distacco è la Guerra in Vietnam. Anche Wellington ha partecipato allo scontro americano contro i vietcong, ma in un modo totalmente differente rispetto al vicino australiano. Le principali operazioni sono state di natura assistenziale e di intelligence e la missione è sempre stata costellata da tentativi di ritiro e proteste. Nelle strade delle città neozelandesi furono molte le manifestazioni a favore del ritiro e, a differenza dell’Australia, le pressioni sul mondo della politica ebbero effetto. Nel 1972, il Primo ministro laburista Norman Kirk, come primo atto dopo l’elezione sancì il ritiro dei 4000 uomini, tutti volontari che erano andati a combattere al fianco degli americani in Vietnam.

Questo clima, come si è detto, ha accompagnato la relazione tra Welllington e Washington per tutta la storia dell’ANZUS, fino a inficiarlo totalmente. La goccia che ha fatto traboccare il vaso, facendo crollare tutto l’impianto del rapporto, fu la dichiarazione della zona libera da armi e tecnologia nucleare da parte della Nuova Zelanda, istituita nel 1984. Da quel momento, infatti, nessuna nave a propulsione nucleare o armata con bombe nucleari avrebbe potuto usufruire dei porti neozelandesi o entrare nelle acque nazionali. Wellington voleva tirarsi fuori dal contesto internazionale aggressivo che il presidente Reagan aveva creato, riabbracciando la propria identità isolana che tanto aveva sofferto i test nucleari negli atolli portati avanti da Francia e Stati Uniti nei decenni precedenti

Con questo episodio il rapporto tra USA, Australia e Nuova Zelanda iniziò un lento declino, sancito di fatto con un passaggio formale. Washington, infatti, due anni dopo definì la Nuova Zelanda un paese “amico” e non più alleato, liberandolo dalla natura obbligatoria dell’ANZUS.

Il futuro dei tre

Il Trattato è stato una pietra miliare della Guerra Fredda in Oceania, nonostante lo scontro bipolare non sia mai stato molto interessato a questo quadrante, escludendo il fatto che Australia e Nuova Zelanda sono le naturali porte per l’Antartico. La partita in quest’area si è più concentrata sul controllo dei mari, la gestione delle risorse e in funzione di retrovia di quello che Spykman chiamava il Rymland (in particolare il Sud-Est asiatico), l’area in cui la potenza dell’Heartland (l’URSS sovietica) si scontrava con quella della superpotenza marittima (gli Stati Uniti).

Lasciata alle spalle la Guerra Fredda, il contesto internazionale è cambiato enormemente ma alcune delle priorità degli Usa, su tutte il controllo dei mari, sono rimaste. Oggi la potenza americana deve guardarsi dalla Cina. E anche la politica estera di Australia e Nuova Zelanda deve, necessariamente, fare i conti con la crescita di Pechino, che in entrambi i Paesi ha provato a più riprese a estendere la propria influenza. Nei confronti del principale competitor degli Stati Uniti, i due Stati hanno negli ultimi anni seguito un atteggiamento diverso.

Se i rapporti con Canberra sono decisamente peggiorati, a partire dalla richiesta di quest’ultima di un’indagine sull’origine del Covid-19, Wellington ha preferito mantenere un approccio molto più diplomatico. Tuttavia, i leader dei due alleati degli USA hanno più volte ribadito la loro preoccupazione per lo stato dei diritti umani in Cina, mostrando pubblicamente la loro unità in una dichiarazione congiunta alla fine di un vertice tenutosi a maggio. Entrambi, di fatto, condividono la stessa consapevolezza che orientò le loro scelte 70 anni fa: a tracciare la rotta, sono ancora le ali dell’aquila dalla testa bianca. 

 

 

Fonti e approfondimenti

AlJazeera, “Australia, New Zealand present united front on China“, 31/5/2021. 

Anderson R, The US-Australia Alliance Is a Charter for Imperialism, Not a Defensive Pact, Jacobin, 16/3/2021. 

Brown, G. & Rayner, L. (2001). “ANZUS After Fifty Years“. Foreign Affairs, Defence and Trade Group

Meaney, Neville (2003). “Look back in fear: Percy Spender, the Japanese peace treaty and the ANZUS pact“. Japan Forum.

Mulhall, D. (1987). “New Zealand and the Demise of ANZUS: Alliance Politics and Small-Power Idealism“. Irish Studies in International Affairs.

Robb, T. K., & Gill, D. J. (2015). “The ANZUS Treaty during the Cold War: a reinterpretation of US diplomacy in the Southwest Pacific”. Journal of Cold War Studies.

 

Editing a cura di Emanuele Monterotti

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