Fuggire a causa del clima che cambia: chi sono i migranti climatici

Climate change
@Takver - Wikimedia commons - CC BY-SA 2.0

Il fenomeno delle migrazioni è tanto complesso quanto ancestrale. Le molteplici cause delle migrazioni possono essere riassunte nell’esigenza di trovare migliori condizioni di vita a fronte di situazioni negative come ad esempio guerre, carestie, povertà e soprattutto circostanze climatiche avverse. Gli impatti che l’ambiente ha sugli stili di vita e sulle capacità di adattamento sono fondamentali nel determinare lo stanziamento di una popolazione o la necessità di spostarsi per sopravvivere. Nella comunità scientifica, inoltre, sono tuttora vivi i dibattiti riguardo all’interazione tra l’essere umano e l’ambiente in cui vive in termini di sviluppo evolutivo e culturale. 

La centralità del ruolo delle condizioni ambientali è ulteriormente accentuata dall’importanza assunta dal tema del cambiamento climatico nel corso degli ultimi decenni, tenendo conto, in particolare, di quale possa essere l’effetto su futuri trend di movimenti di popolazioni. Nello specifico, si sente sempre più spesso parlare di migranti climatici per riferirsi alle persone costrette a lasciare i propri luoghi di origine a causa degli effetti del riscaldamento globale di matrice antropica: secondo il recente Rapporto Groundswell della Banca mondiale saranno addirittura in 216 milioni, entro il 2050, a doversi spostare per questo motivo.

Un problema di definizione: migrante o rifugiato?

La definizione di migrante climatico è molto più sfumata di quanto si pensi, anche perché il termine ha avuto diverse connotazioni nel corso dei decenni. La prima espressione ad essere coniata fu quella di “rifugiato climatico” da parte dell’agronomo e scrittore statunitense Lester Brown negli anni Settanta, ma successivamente si è passati a “rifugiato ambientale”, “profugo ambientale” e infine “migrante climatico” a partire dagli anni Dieci del ventunesimo secolo. L’evoluzione dal riferimento “ambientale” a quello “climatico” sottolinea un importante punto di svolta. Infatti, mentre nel primo caso la motivazione dello spostamento poteva essere un qualsiasi fenomeno naturale catastrofico (come terremoti, eruzioni e inondazioni), nel secondo si pone l’accento sul cambiamento climatico causato dalle continue emissioni di gas serra. Per quanto riguarda la differenza tra le parole “migrantee “rifugiato”, queste sono spesso usate in modo intercambiabile per riferirsi al fenomeno dei movimenti coatti di natura climatica. Tuttavia, soprattutto nel mondo anglosassone, si predilige spesso l’uso di “rifugiato” per sottolineare la matrice di non volontarietà di chi si vede costretto a fuggire – mentre il termine “migrante” di per sé è più neutro e può indicare anche chi decide volontariamente e consapevolmente di trasferirsi dal luogo di origine. 

A prescindere dalle definizioni, il numero di queste persone cresce di anno in anno: se nel 2018 l’Internal displacement monitoring centre (IDMC) ha confermato che 17,2 milioni di persone sono state costrette a scappare in seguito a eventi climatici avversi, l’anno scorso questo numero è quasi raddoppiato arrivando a oltre trenta milioni (la maggior parte costituita da donne e bambini), superando le cifre coloro che sono fuggiti a causa dei conflitti. Un altro dato confermato è la provenienza della maggior parte dei migranti climatici, ovvero i cosiddetti Paesi “in via di sviluppo”: secondo l’UNHCR, le aree più povere del Pianeta (che rappresentano le nazioni meno inquinanti in termini di emissioni di gas serra) ospitano l’84% dei profughi climatici

La situazione nell’ottica del diritto internazionale 

L’incertezza nei termini utilizzati per riferirsi ai migranti climatici si riscontra nella mancanza di una loro definizione giuridica nel diritto internazionale. L’esempio più lampante è l’assenza di modifiche alla Convenzione sui rifugiati di Ginevra del 1951 che ad oggi non include sotto il termine “rifugiato” nessuna persona costretta a spostarsi per ragioni climatiche e ambientali. Secondo la Convenzione, le uniche motivazioni valide per poter parlare di rifugiati come persone forzate ad attraversare una frontiera internazionale sono le persecuzioni per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinione politica. Tuttavia, queste motivazioni, unite alla presenza di un evento climatico distruttivo, possono contribuire a giustificare l’utilizzo del termine “rifugiato” qualora si presentino situazioni di radicale sconvolgimento delle attività quotidiane, come riportato nella Dichiarazione sui rifugiati di Cartagena del 1984 e nelle linee guida dell’UNHCR del 2018. In generale, in ambito internazionale viene riconosciuta questa interazione di più fattori e concause di origine climatica e non. Come ha riconosciuto nel dicembre 2018 il Global Compact sui rifugiati, i movimenti delle persone hanno origine complessa e  la crisi climatica può essere un elemento aggiuntivo che può produrre, direttamente o indirettamente, centinaia di migliaia di sfollati che devono essere protetti e assistiti secondo standard internazionali. In ogni caso, per far fronte alle molteplici incertezze giuridiche, alcune istituzioni hanno sviluppato in modo autonomo delle strutture concettuali per poter inquadrare la figura del migrante climatico, come ad esempio l’Organizzazione internazionale per le migrazioni. Ciononostante, negli ultimi anni si iniziano a notare dei cambiamenti nel contesto del diritto internazionale che vanno verso una maggiore chiarezza normativa

Migrazioni e clima: l’unione di due fenomeni complessi

La difficoltà nello studiare, nel prevedere e, dunque, nel gestire le migrazioni climatiche si fonda su alcuni elementi principali che ne caratterizzano la complessità.

In primis, nonostante quanto detto sulle zone più povere considerate come le più vulnerabili, non si tratta di un fenomeno geograficamente e socialmente circoscritto a un’area specifica. Infatti, gli stress ecologici causati dal riscaldamento climatico possono avere effetti su diverse parti del mondo: un esempio è proprio l’aumento del livello del mare, che potenzialmente può mettere a rischio circa i due terzi della popolazione mondiale in quanto stanziati entro 100 km dalla costa, comprese trenta delle cinquanta città più grandi del mondo che affacciano direttamente sul mare. Inoltre, i pattern migratori possono seguire diverse direzioni che vanno dalla prossimità geografica e culturale ai legami familiari di chi già è stanziato o lavora all’estero. 

Tuttavia, quando si parla di migrazioni climatiche, esistono due aspetti quasi sempre costanti che possono essere individuati: la temporaneità dello spostamento, che non sempre è definitivo ed è spesso circoscritto a un evento distruttivo, e lo spostamento dentro i confini nazionali. Lo stesso rapporto dell’IDMC del 2021 ha confermato che la quota di persone costrette a lasciare le proprie case pur rimanendo all’interno del proprio Paese è stata due volte superiore rispetto a quella dei rifugiati accolti oltre confine. Questi due aspetti rappresentano una risposta di adattamento allo stress climatico che è spesso in funzione di altri fattori, come le risorse (finanziarie e sociali) e la conseguente propensione alla mobilità. Di conseguenza, non sempre le persone più vulnerabili al cambiamento climatico sono quelle con più probabilità di migrare.

Qui si arriva a un altro punto, già implicitamente accennato, ovvero che l’atto di migrare o scappare è dovuto a una interconnessione di fattori più ampia del singolo fattore climatico. Elementi non collegati all’ambiente in senso ecologico, come povertà, istruzione e resilienza sociale, sono determinanti nello stabilire il livello di vulnerabilità alle crisi climatiche. Inoltre, è importante distinguere tra i processi climatici (più a lungo termine, come innalzamento del livello del mare, desertificazione, acidificazione del suolo e degli oceani) e gli eventi climatici (più immediati e a breve termine, come incendi e inondazioni). Anche l’interazione tra queste due tipologie di eventi non è sempre diretta o frutto di causalità, e ciò rende difficile l’identificazione a priori di pattern migratori. In altre parole, non è facile stabilire quando una migrazione è causata direttamente dal clima. I fattori che orientano questi flussi migratori sono tanti e complessi, da quelli socioeconomici a quelli politici, e la crisi climatica non è altro che un moltiplicatore di tali minacce.

Le future migrazioni climatiche saranno inevitabili: come affrontarle?

Nonostante le difficoltà nel quantificare e definire in modo esaustivo il fenomeno delle migrazioni climatiche, gli spostamenti delle persone per motivi legati al peggioramento delle condizioni ambientali sono destinati a crescere nei prossimi anni. Lo stesso rapporto Groundswell della Banca mondiale stabilisce che attraverso politiche di mitigazione sarà possibile ridurre il numero di questi migranti, ma non azzerarlo del tutto. Le raccomandazioni per far fronte alle minacce derivanti dal cambiamento climatico e per prevenire il più possibile le conseguenti migrazioni non sono una novità: riduzione delle emissioni di gas serra, correzione dei divari di sviluppo, ripensamento dei pattern di produzione e consumo, salvaguardia degli ecosistemi, istruzione e disseminazione di conoscenze in uno spirito cooperativo tra i Paesi. Tuttavia, sarà altrettanto importante affrontare le percezioni sul movimento migratorio, soprattutto da un punto di vista politico. Il rischio è che queste possano aggravarsi e inasprire potenziali conflitti in quelle aree del mondo dove le migrazioni climatiche avranno impatti maggiori.

 

 

 

 

Fonti e approfondimenti

Banca Mondiale (2018), Rapporto Groundswell – parte I.

Banca Mondiale (2021), Rapporto Groundswell – parte II.

Ellena M., Migranti Climatici: Cause, Definizioni e Numeri di un Fenomeno in Crescita, Le Nius, 13/11/2020.

Goodfellow M., How helpful is the term ‘climate refugee’? Guardian, 31/08/2020.

IDMC (2018), No Matter of Choice: Displacement in a Changing Climate.

IDMC (2021), Global Report on International Displacement 2021.

Malik Z. (2019), Protecting Climate Refugees, MSc Thesis, Cranfield University.

Santoro S., Chi sono i migranti climatici? Duegradi, 31/01/2021.

UN Human Rights Committee (2019), Views adopted by the Committee under article 5 (4) of the Optional Protocol, concerning communication No. 2728/2016 (Ioane Teitiota).

UNHCR, Comment by Andrew Harper, UNHCR’s newly appointed Special Advisor on Climate Action, who is attending this year’s UN Climate Change Conference, known as COP 25, in Madrid, 11/12/2019.

Weerasinghe S. (2018), In Harm’s Way: International protection in the context of nexus dynamics between conflict or violence and disaster or climate change, UNHCR Legal and Protection Policy Research Series.

 

 

 

Editing a cura di Beatrice Cupitò 

 

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