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Spiegami le elezioni: intervista a Stefano Allievi

Stefano Alllievi è professore di sociologia all’Università di Padova ed è specializzato nello studio dei fenomeni migratori, del cambiamento socio-culturale e della sociologia delle religioni, con particolare attenzione all’Islam in Europa. Ha compiuto diverse ricerche a livello sia nazionale che internazionale. Tra le pubblicazioni, “Torneremo a percorrere le strade del mondo” (UTET, 2021), “La spirale del sottosviluppo. Perché (così) l’Italia non ha futuro” (Laterza, 2020), “Ma la moschea no… I conflitti sui luoghi di culto islamici” (Le Gru, 2012), “Niente di personale, signora Fallaci. Una trilogia alternativa” (Aliberti Editore, 2006).

La maggior parte dei partiti ha proposto modifiche e aggiustamenti al sistema di accoglienza vigente. Che cosa non funziona nel sistema d’accoglienza? In particolare, quali procedure richiederebbero una revisione?

In realtà, l’accoglienza è in un certo senso l’ultimo dei problemi, perché il primo sarebbe la gestione degli arrivi. Noi abbiamo una legislazione che impedisce sostanzialmente l’arrivo di persone regolari. La gente non lo sa, ma banalmente non si può richiedere un visto per venire a lavorare in Italia. Il problema è che noi, avendo bloccato negli ultimi decenni le migrazioni regolari, abbiamo solo l’immigrazione irregolare. Quindi il vero problema sta lì, nel riaprire canali per gli ingressi regolari in modo che diminuiscano sensibilmente quelli irregolari. Dopodiché, non dico che il problema dell’integrazione si risolva da solo, ma se uno ha il permesso di soggiorno e può lavorare, il grosso è fatto, senza bisogno che intervengano lo Stato (che ha già molto da fare con i corsi di lingua e cultura obbligatori, etc.) o i partiti. In realtà lo Stato ha molto da fare, con i corsi di lingua e cultura obbligatori, etc, però è il meno. Quello che non si vuole capire, è che il problema vero non sono le politiche di integrazione…parliamo di numeri molto bassi, tra l’altro. La maggior parte degli italiani non sa che gli immigrati sono un numero molto inferiore agli emigranti. Il che vuol dire che non c’è in corso nessuna invasione; è in corso un’evasione. E chi arriva va a coprire posti di lavoro. Circa l’80% degli immigrati, dati del Ministero del Lavoro, sono operai. Gli emigranti non farebbero quei mestieri lì: braccianti, manovali in edilizia, scaricatori all’ortomercato alle 6 del mattino, gestori dei magazzini e dei trasportatori, addetti alle pulizie ovunque (case, alberghi, uffici, autogrill, treni, qualunque cosa). Questi lavori sono scoperti e per motivi demografici noi abbiamo invece un bisogno di manodopera enorme. Da qui  al 2030 spariranno 5 milioni di posti di lavoro, perché le persone andranno in pensione e non saranno rimpiazzate da nessuno: chi doveva sostituirli non è mai nato. Se non saranno coperti dai migranti, questi posti di lavoro andranno perduti e con loro anche le posizioni di chi coordina e comanda questi lavoratori. Prendiamo per esempio un’azienda che ha cento operai, cinquanta impiegati, trenta tecnici, etc;  senza gli operai saltano anche gli impiegati e i tecnici. Se diminuisce l’immigrazione, aumenta l’emigrazione, perché ci saranno meno aziende e quindi meno posti di lavoro disponibili. Ci sono già aziende che stanno chiudendo o rallentando l’attività per mancanza di manodopera..

Ci sono partiti che si stanno muovendo in tal senso?

Nessun partito, in particolare quelli che sono esplicitamente contro gli immigrati, parla di questo, anzi parlano di blocco navale, che non è fattibile per motivi tecnici, basterebbe chiederlo a un ammiraglio della nostra Marina militare. Il blocco navale ha costi spropositati, costerebbe meno far arrivare gli immigrati in business class, e non è fattibile. Non potendo stabilire la regola di sparare a vista (grazie a dio in Occidente è illegale) o bombardare i migranti, appena questi arrivano contro la nave militare, la legge dice giustamente che si è obbligati a salvarli. Appena salgono, essendo su territorio italiano, possono fare richiesta di asilo. Chi propone il blocco navale non racconta mai questa parte.

Chi dice no agli immigrati oggi è contro i giovani, perché sono i dati della Banca d’Italia che ci dicono quanta ricchezza in meno sarà prodotta. Il problema però è che non devono arrivare così, devono essere gestiti, controllati. 

Bloccandoli si fa il male del Paese. Infatti, in realtà nessuno Stato lo fa, neppure quelli che lo dicono. L’Ungheria e la Polonia, da quando hanno governi che dicono di voler bloccare gli immigrati, ne hanno aumentato enormemente dando loro contratti che li precarizzano, facendoli risultare come temporanei, quando in realtà saranno definitivi. Questo è un modo di dare loro i meno diritti. 

La creazione di istituzioni specificatamente dedicate alla gestione della migrazione e/o all’inserimento di nuove figure professionali in quelle già esistenti potrebbe contribuire a migliorare la situazione? In che modo?

A questo io sono favorevolissimo. L’immigrazione è un problema complesso, che presuppone le competenze di molti ministeri. Il fatto che la gestisca solo il ministero dell’Interno, senza neanche sapere il fabbisogno lavorativo, – competenza del ministero del Lavoro – è un problema. Poi ci sono la pubblica amministrazione, la sanità, il welfare… insomma tutta una serie di demani per cui sarebbe molto sensato avere un’agenzia per l’immigrazione, in modo da mettere insieme tutte le competenze necessarie a gestire bene i flussi e favorire il processo di integrazione, dove le cose fondamentali per i neo arrivati sono i corsi di lingua, di cultura e di formazione professionale. Per chi invece è nato qua, lo ius scholae è necessario e potrebbe risolvere numerose problematiche. Molti italiani non ne hanno la percezione perché non capiscono di chi stiamo parlando: sono persone che hanno un cognome straniero, ma che, se la maggior parte degli italiani le sentisse parlare senza vederle, non si accorgerebbe delle origini estere. Sono nati, socializzati e scolarizzati in Italia. Danneggiarli esplicitamente dicendo “tu sei come me, ma in realtà sei diverso, per cui non ti do il diritto di andare all’estero, fare una gita scolastica all’estero, di fare un concorso (per la maggior parte dei lavori pubblici occorre la cittadinanza italiana)…” non è una scelta produttiva da nessun punto di vista.

La cittadinanza italiana in teoria si può ottenere al compimento dei 18 anni di età: tra i 18 e i 19 si può fare la domanda, ma lo Stato si prende 4 anni per rispondere (e normalmente non risponde entro questi 4 anni); vuol dire che una persona arriva a 23-24 anni che non ha ancora ottenuto la cittadinanza. Questo è un problema enorme: si ripete continuamente “tu non sei come noi”. Immagina se lo facessimo su un figlio adottivo, creeremmo dei disagi psicologici e sociali enormi, esattamente come stiamo facendo con i figli dei migranti. 

Alcuni partiti parlano di incrementare la cooperazione con i Paesi d’origine dei migranti per gestire i flussi migratori: è possibile che vi siano i rischi legati alla tenuta democratica di tali Paesi da un punto di vista umanitario?

La collaborazione è necessaria. Quando parlo di gestione dei flussi in arrivo, voglio dire fare accordi bilaterali con i Paesi di partenza e transito, soprattutto di partenza. Se io dico, per esempio, al Ghana o alla Costa d’Avorio o alla Nigeria che l’anno prossimo prenderò 50.000 persone regolari perché ne ho bisogno, loro in cambio mi aiutano a controllare i flussi, bloccando quelli irregolari e riprendendo coloro che sono arrivati illegalmente. Daremmo un contributo molto importante all’abbattimento dell’immigrazione irregolare stringendo accordi con i Paesi d’origine, con un vantaggio reciproco. Io mi occupo di immigrazione da 35 anni, ma non parlo mai di valori o di principi, bensì di interessi. Abbiamo un interesse, noi e i Paesi d’origine, a gestire i flussi regolari. Va fatto in accordo con i Paesi d’origine, nella misura in cui è possibile stringere accordi con questi ultimi.  Con la Libia, così come altre realtà che di democratico hanno ben poco, è complicato. Tuttavia, ci sono diversi modi che possono facilitare la cooperazione bilaterale nel rispetto dei diritti umani e possono passare da un approccio comunitario univoco che lega aiuti finanziari a standard democratici.

E invece quale sarebbe una possibile soluzione per un Paese come la Libia?

Se i flussi fossero regolari, la gente, invece di partire dal Corno d’Africa e andare a piedi mettendoci mediamente (dati ufficiali) oltre un anno e mezzo per arrivare in Libia, partirebbe direttamente in aereo dal Paese d’origine e sarebbe tutto molto più semplice. Noi non abbiamo idea di cosa voglia dire arrivare in Libia, mettendoci un anno e mezzo dall’Etiopia e passando per furti, galera, schiavismo, violenze, stupri. Se il processo migratorio fosse gestito dal Paese di partenza e da quello d’arrivo, non ci sarebbe nemmeno bisogno di questo percorso. Sulla Libia dirò una cosa molto controintuitiva, ma si stima che in Libia ci siano circa 300.000 non libici; il fabbisogno dell’Europa è di un milione di lavoratori all’anno. Potremmo svuotare la Libia gratuitamente, prendendo questi stranieri in aereo e poi bloccando i confini, diciamo; ma non ci si pensa, e quindi continuiamo ad alimentare un mercato solo per una questione di messaggi all’opinione pubblica. CI costerebbe molto meno risolvere il problema all’origine. Una coordinazione con i Paesi africani toglierebbe il bisogno della Libia come punto di partenza. 

Alcuni partiti hanno proposto una categorizzazione più ampia dei migranti (profughi, migranti climatici etc.): tale ripartizione è utile o potrebbe favorire i cittadini di determinati Paesi a scapito di altri?

Non possiamo pensare di decidere da dove debbano venire i migranti. Ci sono Paesi specifici dai quali scappano i richiedenti asilo, però questa suddivisione tra richiedenti asilo e migranti economici è controproducente e stupida. La persona che richiede l’asilo politico, pur avendone diritto come tale, desidera essere un migrante economico, cioè di fatto desidera avere una seconda possibilità, poter lavorare e farsi una vita. Tutti, anche coloro che sono fuggiti dal proprio luogo d’origine perché discriminati per l’etnia o l’orientamento sessuale, hanno bisogno di un lavoro. Non solo, noi tecnicamente necessitiamo di manodopera, e di migranti economici. Il problema è che non si può arrivare in Italia come migrante economico, perché siamo noi stessi a costringere chi sbarca ad affermare di essere un richiedente asilo e non un migrante economico, altrimenti non può entrare nel Paese. Quindi, dopo un anno o un anno e mezzo che gli abbiamo imposto di dichiararsi un richiedente asilo,  gli diciamo “no, tu sei un migrante economico”, trasformandolo in un irregolare sul nostro territorio. Questa è una catastrofe. Sarebbe molto meglio se queste persone fossero regolari, che si inseriscono regolarmente e hanno un lavoro. Quindi la distinzione tra richiedenti asilo e migranti economici è un falso problema, al di là dell’ambiguità per cui molti sono entrambe le cose. 

La destra sembra voler suggerire un legame tra immigrazione e rischi per la sicurezza pubblica. Quale può essere una chiave di analisi alternativa? E quali sono i rischi legati a un’eventuale vittoria del centrodestra alle urne?

Io non distinguo molto tra la destra e la sinistra, perché l’incapacità di avere una visione d’insieme ce l’hanno tutti.

Se la destra chiede voti contro gli immigrati, dovrà dare contentini all’opinione pubblica, che saranno disastrosi. Io sono favorevole a una maggiore sicurezza e l’equazione è molto semplice: più integrazione più sicurezza. Se io faccio politiche che non favoriscono l’integrazione, creo irregolarità invece di diminuirla, creo allarme sociale invece di diminuirlo, creo antipatia reciproca anziché diminuirla, produco meno integrazione e quindi meno sicurezza. In realtà le politiche della destra non producono più sicurezza, ne producono meno. Più li integriamo, diamo la cittadinanza chi ne ha diritto più favoriamo l’inserimento nel mercato del lavoro – transizione dalla situazione di irregolare a quella di regolare, uscita dal lavoro nero e ingresso nel lavoro regolare, – più produciamo sicurezza. Questo non vale solo per gli immigrati, ma anche per gli autoctoni. Anche se gli stranieri non esistessero, a Scampia, per fare un nome noto, o in un qualsiasi altro quartiere dove ci sono tanta disoccupazione e marginalità sociale c’è meno sicurezza. La criminalità è legata alla criminalizzazione dell’essere migrante e alle condizioni di povertà in cui vivono i migranti criminalizzati.

Editing a cura di Elena Noventa

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