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Un’uscita dall’isolamento? La transizione di Bashar Al-Assad e la Siria

@Пресс-служба Президента России - WikiMedia Commons - License CC BY 3.0

Negli ultimi giorni dello scorso marzo, grazie alla mediazione della Cina, è giunta la notizia di una lieve riapertura, e ristabilimento, dei rapporti diplomatici tra Siria e Arabia Saudita. Damasco e Riyadh hanno così scelto di riaprire rispettivamente le proprie rappresentanze diplomatiche e di ristabilire delle relazioni dopo quanto accaduto nel marzo 2012, quando la monarchia saudita decise di chiudere l’ambasciata in territorio siriano a seguito allo scoppio della guerra civile iniziata nel 2011, nella quale addirittura entrò finanziando gruppi militari ribelli con lo scopo di rovesciare il presidente Bashar al-Assad.

Questa notizia fa seguito a un altro passo importante per le relazioni estere della Siria, ovvero la riapertura con gli Emirati Arabi Uniti, seguiti poi poco dopo dal Bahrain. I rapporti tra Damasco e i Paesi del Golfo hanno subito una fortissima battuta d’arresto con l’inizio della guerra: il primo passo fu quello di espellere il Paese dalla Lega araba, il 16 novembre 2011. 

La normalizzazione tra la Siria, storico alleato dell’Iran, e i Paesi sunniti del Golfo coincide con un apparente riallineamento di Damasco con Teheran, anche se il cambiamento delle relazioni saudite-iraniane sta sicuramente giocando un ruolo fondamentale in questo scenario.

La politica estera siriana e i rapporti con la comunità internazionale

Fin dall’inizio del 2011, la politica estera del presidente Bashar al-Assad ha mirato innanzitutto a riconquistare legittimità internazionale e a ottenere un ruolo di primo piano nello scacchiere mediorientale, funzionale a spezzare l’isolamento degli anni passati e, contemporaneamente, a rilanciare i rapporti con l’Occidente. Confermano questo fine il ritiro delle truppe dal Libano avvenuto nel 2005, il riavvicinamento all’Arabia Saudita, il nuovo ruolo di stabilizzazione giocato nell’Iraq post-bellico e i tentativi di negoziati con Israele.

Le politiche spesso ambigue di Bashar al-Assad e, in particolare, i rapporti di Damasco con alcune fazioni come Hamas ed Hezbollah, così come con l’Iran, hanno portato il regime siriano a trovarsi in una posizione di crescente isolamento internazionale. Sotto l’amministrazione di George W. Bush la Siria era stata non a caso inserita nella lista dei cosiddetti “Stati canaglia”, per via della sua politica antioccidentale e antisraeliana. Negli anni seguenti all’intervento statunitense in Iraq del 2003, inoltre, Damasco è stata accusata di offrire appoggio logistico alla guerriglia attiva nel Paese.

Su Damasco pesava la linea politica tenuta nei confronti del Libano, Paese in cui fino al 2005 ha mantenuto una presenza militare, non riconoscendo la sovranità di Beirut. Dopo il ritiro delle forze militari dal territorio libanese e la normalizzazione delle relazioni con il “Paese dei cedri”, Damasco ha intrapreso un cammino di distensione anche con l’Occidente e, nel 2008, il presidente siriano si è recato in visita ufficiale a Parigi in occasione dei lavori per il lancio dell’Unione per il Mediterraneo, incontrandosi con l’allora omologo francese Nicolas Sarkozy. La Siria, del resto, aveva intavolato trattative indirette con Israele, grazie alla mediazione della Turchia, e avviato colloqui per la normalizzazione delle relazioni con gli Stati Uniti a seguito della nomina di un ambasciatore statunitense a Damasco dopo anni di congelamento dei rapporti.
Nonostante ciò, l’amministrazione di Barack Obama non ha mai annullato le sanzioni imposte dal precedente governo.

Per quanto concerne le relazioni con l’Unione europea e gli Stati Uniti, sono diventate nuovamente tese in seguito all’ondata repressiva che il regime di Assad ha scatenato nei confronti delle manifestazioni antiregime del 2011. Nonostante gli Stati Uniti non abbiano mai assunto (come invece fatto in Libia) nei confronti di Damasco una posizione netta, l’Unione europea ha imposto una serie di sanzioni economiche e politiche contro il regime.

Infine, come già affermato in precedenza, la guerra civile scoppiata nel 2011 ha portato Nabil al-Arabi, segretario generale della Lega araba, a sospendere la partecipazione siriana a quest’ultima il 12 novembre con il fine di isolare il regime di Bashar al-Assad. La sospensione, che portò a un isolamento di fatto all’interno dell’area mediorientale, divenne effettiva il successivo 16 novembre.

Cambio di marcia: quattro situazioni che tendono la mano a Damasco

Diversi fattori hanno influito sulla normalizzazione dei rapporti tra la Siria e il resto della comunità internazionale. Innanzitutto, va sottolineato come la pandemia di COVID-19 abbia rappresentato un’opportunità enorme per la Siria, data la sua fortissima influenza nella fragile economia del Libano. Non solo Beirut, ma anche la Giordania si è mossa in base a calcoli economici, una fragile stabilità politica interna e il grande problema dei rifugiati siriani da gestire. 

Dal punto di vista interno, la posizione di Bashar al-Assad si è ulteriormente rafforzata negli ultimi anni, ricevendo il 95% dei voti alle elezioni presidenziali che hanno dato il via al suo quarto mandato. Pur mettendo in conto che in queste elezioni di democratico sia risultato soltanto il termine, è doveroso aggiungere che anche i militari leali al regime di Assad hanno sempre di più in mano la situazione sotto ogni punto di vista.

Terzo punto fondamentale è l’ormai perduta importanza del Medio Oriente all’interno dello scacchiere internazionale. In base alle ultime strategie elaborate e il “NATO Strategic Concept” del 2023, il mondo occidentale ha cominciato a spostare gran parte delle proprie risorse sul versante del Pacifico e sulla crisi russo-ucraina scoppiata lo scorso anno, lasciando sempre più margine di manovra agli attori mediorientali, pur non abbandonando del tutto la Regione (ne è un esempio la trattativa sul nucleare con l’Iran).

Ultima situazione favorevole ad Assad è il recente terremoto che ha colpito la Turchia e le regioni costiere e nord-occidentali della Siria, con conseguenze catastrofiche per ambo le popolazioni. L’evento tellurico, seppur nella tragedia, ha saputo donare un’opportunità diplomatica a Damasco, un momento da sfruttare pienamente con il fine di ristabilire le relazioni diplomatiche, dei re-engagement con i Paesi del Golfo, accorsi prontamente per esprimere messaggi di cordoglio per la popolazione siriana colpita dal sisma.

EAU, Oman e Arabia Saudita: il presente e il futuro della Siria

A fronte di numerosi messaggi di cordoglio e visite ufficiali in seguito al terremoto citato pocanzi, dal punto di vista diplomatico diversi Paesi hanno già fatto un passo in avanti nella normalizzazione dei rapporti con la Siria. La netta vittoria militare di Assad nella guerra civile e il suo rafforzato ruolo all’interno del Paese hanno portato svariati attori a riconsiderare le proprie relazioni con l’uomo forte di Damasco. 

I primi a fare un passo in avanti nel 2018 sono stati gli Emirati Arabi Uniti, seguiti dal Bahrain, i quali hanno scelto di riaprire le proprie ambasciate nella capitale siriana; inoltre, Abu Dhabi ha anche annunciato di aver ristabilito delle forme di cooperazione economica.

Dopodiché è toccato all’Oman fare un ulteriore passo verso Damasco, con la riapertura nel 2020 dell’ambasciata; nello stesso anno, Siria e Giordania hanno scelto di riaprire i confini tra i due Paesi e di cominciare a discutere su questioni relative a settori strategici come infrastrutture e sicurezza, tramite una telefonata ufficiale tra il presidente Bashar al-Assad ed il re Abdullah II. Altro Paese disposto a interloquire con Damasco è stato l’Egitto. Difatti, entrambi i ministri degli Esteri hanno avuto un colloquio con lo scopo di ricollocare la Siria all’interno dello scacchiere mediorientale.

L’ultimo Paese a iniziare a ricucire i rapporti con la Siria è stato l’Arabia Saudita, che, come detto all’inizio, con la mediazione cinese è riuscito ad avviare colloqui con Damasco allo scopo di riaprire entrambe le ambasciate nelle rispettive capitali. Questi incontri, avvenuti lo scorso mese, hanno incluso anche la sicurezza al confine della Siria con la Giordania e l’elaborazione di misure volte a combattere il contrabbando di captagon da Damasco a Riyadh.

Quale futuro per la Siria?

Il processo di normalizzazione tra i Paesi del Golfo e la Siria, già in essere ormai da diversi anni, sembra aver imboccato un sentiero che potrebbe giovare a Damasco; il terremoto in Turchia sicuramente è stato e sarà un fattore di accelerazione di suddetto processo.

Bashar al-Assad, qualora potesse contare di nuovo sull’amicizia con diversi Paesi “forti” del Golfo, come l’Arabia Saudita, cercherà in ogni modo di ritagliarsi un ruolo preponderante e d’importanza crescente all’interno dello scacchiere mediorientale; per quanto concerne gli Emirati Arabi Uniti, non è da escludere che anch’essi tenteranno di ritagliarsi una ricca sfera d’influenza a Damasco, da sempre oggetto conteso in esclusiva da Mosca e Teheran. 

Da sottolineare il comportamento ambiguo degli Stati Uniti che, nonostante il cambio di priorità a favore del teatro indo-pacifico, un occhio sul Medio Oriente lo avranno sempre ben aperto. Nonostante alcune dichiarazioni, come quelle dello scorso 21 aprile del portavoce del Dipartimento di Stato, Vedant Patel, dipingano gli Stati Uniti come fortemente contrari a questo processo di normalizzazione, il presidente Joe Biden nei fatti ha dimostrato una grande tolleranza verso i movimenti dei suoi alleati mediorientali e una minore propensione all’uso delle sanzioni internazionali. 

 

 

Fonti e approfondimenti

AA., “Svolta diplomatica dopo anni di conflitto, Siria e Arabia Saudita ristabiliscono relazioni dirette”, Agenzia Nova, 13 aprile 2023.

Chevron, Fabrizio, “Sisma in Siria, un’opportunità per Assad?”, Geopolitica.info, 13 marzo 2023.

Guazzone, Laura, Storia contemporanea del Mondo Arabo. 2016. Mondadori.

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