Nella Repubblica Democratica del Congo (Rdc), la notizia della firma dell’accordo tra Unione europea (Ue) e Ruanda sullo sviluppo delle catene produttive di minerali critici, essenziali per la transizione ecologica, è stata accolta da un’ondata di malcontento e critiche sia dalla politica sia dalla società civile.
D’altronde, numerose organizzazioni tra cui Global Witness e Max Impact, ma anche le Nazioni Unite, hanno più volte evidenziato come, in Ruanda, i minerali al centro dell’accordo siano presenti in quantità molto limitata. Sono piuttosto diffusi ed estratti in modo considerevole nelle province orientali della Rdc, per poi essere contrabbandati nei Paesi vicini o saccheggiati dai militari ruandesi presenti illecitamente sul suolo congolese a fianco dell’M23.
Un’area ricca di conflict mineral
Il Nord Kivu – e più nello specifico l’arco che va da Bunagana (al confine con l’Uganda), passa per Kanyabayonga e arriva a Goma (al confine con il Ruanda) – è una delle cinture minerarie più ricche al mondo. Abbondano i giacimenti di coltan, stagno e tungsteno, annoverati, insieme all’oro, tra i conflict mineral (risorse provenienti da aree di conflitto o dove si verificano violazioni dei diritti umani). Sono proprio questi i minerali al centro dell’accordo tra Ruanda e Ue.
L’abbondanza di giacimenti in un contesto di conflitto, come quello delle province orientali congolesi, lega queste risorse alla violenza armata. Ma ciò non vuol dire che i gruppi armati siano mossi unicamente da avidità e desiderio di controllare le miniere per arricchirsi. Per la maggior parte di essi, i minerali, spesso contrabbandati, sono il mezzo con cui finanziarsi e raggiungere obiettivi politici, economici, sociali e militari.
Anche per gli Stati vicini (Ruanda, Uganda e Burundi), le risorse congolesi giocano un ruolo cruciale. I militari di questi Paesi sono spesso presenti nella Rdc – a volte in accordo con Kinshasa, tante altre illegalmente – e, oltre a combattere i movimenti armati a loro ostili, ne approfittano per estendere la propria influenza su aree dalla posizione strategica e dalla ricchezza di risorse. Spesso, i minerali sono saccheggiati dai soldati, inviati nei Paesi d’origine e venduti sul mercato internazionale come prodotto ruandese, ugandese e burundese.
Risorse non tracciabili
Secondo Global Witness, solo il 10% dei minerali (soprattutto tantalio) esportati negli ultimi anni dal Ruanda è stato realmente estratto nel suo territorio, mentre il restante 90% era stato saccheggiato o contrabbandato dalla Rdc. Cifre molto simili sono riportate anche in documenti informali della Banca centrale ugandese, secondo la quale, nel 2019, solo il 10% dell’oro esportato da Kampala proveniva da giacimenti interni, mentre il restante era frutto ancora una volta del contrabbando da Rdc e Sud Sudan.
Il contrabbando, reso possibile dalla porosità dei confini e dalla diffusa corruzione, è una delle principali strategie adottate dai gruppi armati per finanziarsi ed è incentivato dalle condizioni di vendita più favorevoli nei Paesi vicini (maggiori prezzi e minori tasse per l’esportazione). In questo modo, una grande quantità di conflict mineral supera i confini congolesi senza essere tracciata per entrare nella catena produttiva degli Stati confinanti.
Falliscono quindi anche le certificazioni – tra cui spicca l’Iniziativa internazionale della filiera dello stagno (Itsci) nel caso del tantalio – introdotte dalle aziende occidentali per tracciare il percorso dei minerali e verificare che la loro produzione non sia legata a conflitti armati e violazioni dei diritti umani (nel caso della Rdc) o al contrabbando (nel caso del Ruanda).
Ne è un esempio il tantalio congolese contrabbandato a Kigali, dove viene sottoposto a una lavorazione basilare, etichettato in quanto prodotto nel Paese, conformemente agli standard Itsci, ed esportato sul mercato internazionale, arrivando a comporre computer e cellulari occidentali.
Dalla Rdc all’Ue, passando per il Ruanda
L’Ue – insieme agli Stati Uniti – è un importante partner militare del Ruanda, il cui esercito, uno dei più all’avanguardia del continente, è in parte dispiegato nella Rdc a supporto dell’M23. Ne deriva che Bruxelles e Washington sostengono – indirettamente – l’M23.
Ora, con l’accordo sullo sviluppo delle catene produttive di minerali critici, il legame tra i conflitti congolesi e i finanziamenti europei diventa ancora più forte ed evidente. Da un lato, l’intesa rischia di scatenare una vera e propria corsa al saccheggio di queste risorse da parte dei militari ruandesi per soddisfare le esigenze di lavorazione ed esportazione del loro Paese. Dall’altro, si viene a creare un incentivo al contrabbando dei gruppi armati attivi nella Rdc e che, di fronte alla crescente domanda europea, sono spinti ad aumentare i flussi illegali.
Senza dimenticare che un Regolamento europeo, in vigore dal 2021, vieta l’importazione di minerali provenienti da aree di conflitto (come la Rdc) nel territorio comunitario. E, nei fatti, si tratta di quegli stessi minerali di cui ora l’UE sta sviluppando la catena produttiva in Ruanda, un Paese che ne ha in quantità molto limitate e che si appropria di quelli congolesi.
Fonti e approfondimenti
Africa Center for Strategic Studies, “Rwanda and the DRC at Risk of War as New M23 Rebellion Emerges: An Explainer”, 29/06/2022.
Bulongo, Safanto L., “Evaluation de l’implémentation du système de traçabilité dans la province du Sud Kivu: Gestion de flux de minerais (de la production au point d’achat) dans les sites validés en territoires de Walungu, Kabare, Mwenga, Kalehe et Uvira”, Max Impact, 01/2016.
Global Witness, “The ITSCI Laundromat. How a due diligence scheme appears to launder conflict minerals”, 26/04/2022.
Guainazzi, Aurora (a cura di). 2023. Il grande gioco delle risorse. I minerali del futuro e la maledizione ecologica. Edifir. Firenze.
Neiman, Sophie, “Uganda’s Illegal Gold Market Is Bustling”, World Politics Review, 08/10/2021.