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Perché è importante la Crimea

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Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Il 16 marzo del 2014 con un referendum considerato nullo da molti Paesi e organizzazioni internazionali, la Crimea votò per aderire alla Federazione russa, con circa il 97% dei sì. In quanto repubblica autonoma, con una propria Costituzione, la penisola stretta tra Mar Nero e Mar d’Azov godeva di un certo grado di autonomia rispetto agli altri territori ucraini, ma ciò non gli consentiva di scegliere il proprio destino. Il Parlamento di Kiev poteva infatti porre il veto alle sue decisioni. A prescindere da ciò, la svolta intrapresa dalla penisola che collega virtualmente Russia e Ucraina è stata una mossa politica e, come dimostra l’attualità, anche militare.

Crimea Stato (poco) sovrano

Poche ore dopo il referendum, un decreto di Vladimir Putin riconosceva la Crimea come Stato sovrano. Il 18 marzo il presidente russo presentò al Consiglio della Federazione russa una legge di riforma costituzionale. La riforma prevedeva la creazione di due nuove entità nella Federazione russa, la Repubblica di Crimea e la Città di Sebastopoli, e un trattato internazionale che sancisse il passaggio della Crimea all’interno della Federazione. 

Tre giorni più tardi, Putin annetteva unilateralmente la Crimea alla Russia. Da quel momento Mosca ha cercato in modo sempre più consistente di collegare la penisola al suo territorio, che a Est è separato solo dallo stretto di Kerch. Un passaggio che, nel suo punto più stretto, è largo circa 3 chilometri. Nel 2018 Putin inaugurò addirittura un ponte, quello di Kerch appunto, per collegare le due entità. Spese 228.3 miliardi di rubli (4 miliardi di dollari) per farlo, ma dal 24 febbraio 2022 è stato più volte inagibile a causa degli attacchi portati avanti con successo dall’esercito di Kiev.

Il contesto pre-annessione e gli “omini verdi”

Tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014 l’Ucraina scendeva in piazza per impedire all’allora presidente filo-russo Viktor Yanukovich di bloccare l’ingresso nell’Unione europea. Mosca non poteva accettare che il Paese entrasse nell’orbita dell’Occidente, visto il legame storico e l’importanza geopolitica. In quei giorni iniziò a preparare una contromossa strategica, la cui onda lunga si è concretizzata con l’invasione del 2022. 

Il 20 febbraio 2014, Vladimir Konstantinov, presidente del Parlamento regionale della Crimea e politico russo, affermò di “non escludere” il “ritorno” della penisola alla Russia. Nei giorni successivi migliaia di uomini armati in uniformi non contrassegnate apparirono in tutta la Crimea. 

I cosiddetti “omini verdi” o, come li chiamavano in patria, “persone educate”, uscirono dalle loro basi nella notte tra il 27 e il 28 febbraio 2014. Da quel momento non se ne sono più andati. A quel tempo, la Crimea era l’unica parte dell’Ucraina con una maggioranza etnica russa, di circa il 60%. Da lì a poco questa motivazione, oltre all’ennesimo referendum illegale, portarono anche all’annessione di parti del territorio del Lugansk e del Donetsk, insieme al cosiddetto Donbass, e di Kharkiv.

L’importanza storica e strategica

La Crimea è stata al centro delle rivendicazioni russe più o meno da sempre. O almeno dal XVIII secolo, quando sotto il regno di Caterina la Grande, la penisola venne colonizzata. Nel 1783 venne fondata Sebastopoli, che divenne la città più importante, nonché il porto principale e la sede della flotta russa. La scelta della zarina risiedeva nella necessità russa di accedere ai cosiddetti “mari caldi”, quindi il Mar Nero. 

Prima della colonizzazione, la Russia aveva cercato per un secolo di arrivare al territorio, investendo soldi e uomini in una serie di lunghissime guerre contro il canato di Crimea e soprattutto contro l’impero ottomano, che voleva cacciare dall’Europa. Proprio questa fu la base per la guerra che tra il 1853 e il 1856 vide combattere Regno Unito, Francia e Austria, con la partecipazione del Regno di Sardegna, contro la Russia e le sue mire espansionistiche. 

La Crimea tornò sotto il controllo russo nel 1920, quando i bolscevichi la resero una parte importante dell’Unione sovietica. Nel 1954 Nikita Khrushchev trasferì il distretto regionale dalla Russia all’Ucraina, che allora era una repubblica dell’Urss, spiegando che il provvedimento veniva preso “tenendo conto della comunanza dell’economia, della prossimità territoriale e degli stretti legami economici e culturali tra la regione della Crimea e la Repubblica Socialista Sovietica Ucraina”. In poche parole, ricordando comunque che l’Ucraina rimaneva “roba” di Mosca.

L’idea di Putin 

Per Putin però fu un grave errore quello commesso da Khrushchev. Dalla sua salita al potere, non ha mai smesso di insistere sul fatto che la Crimea appartenesse alla Russia. Non è un caso che dalla sua illegale annessione la penisola sia diventata un centro di rifornimento militare per le forze russe. Proprio dalle sue coste è partito l’attacco da Sud durante l’invasione del 24 febbraio 2022. 

Sebastopoli ospita un porto chiave che fornisce a Mosca l’accesso al Mediterraneo ed è il quartier generale della flotta russa del Mar Nero. Grazie al porto, la Russia ha potuto mantenere il blocco navale che, in tempo di guerra, ha impedito il commercio nei porti ucraini. 

Tenere in mano la Crimea significa poter avere un accesso privilegiato al fronte meridionale, soprattutto per Zaporizhzhia e Kherson, e permette di avere una base per attacchi ai porti di Kiev. Odessa, l’ultima grande base rimasta agli ucraini, è solo a 300 chilometri in linea d’aria. Per questo, e non solo, la penisola è fondamentale anche per gli ucraini e non è un caso che il presidente Volodymyr Zelensky abbia più volte ripetuto che “la Crimea è Ucraina” e che “questa guerra russa… è iniziata con la Crimea e deve finire con la Crimea – ovvero con la sua liberazione”.

Dieci anni di violazione dei diritti umani

I dieci anni di occupazione russa della Crimea hanno portato con sé anche molteplici violazioni dei diritti umani. Tra le tante organizzazioni che lo hanno segnalato c’è Amnesty International, che in un rapporto denuncia la Russia per aver cercato di cambiare la conformazione etnica della penisola e di sopprimere le comunità ucraina e tatara. La Russia attua rigide restrizioni sull’uso della lingua, delle pratiche religiose e culturali non conformi agli standard russi. 

Inoltre, il Cremlino ha introdotto programmi scolastici e leggi per intimidire chiunque si opponga, incluso il trasferimento forzato della popolazione locale. La repressione culturale include anche la limitazione della libertà religiosa, con leggi che criminalizzano attività al di fuori di luoghi autorizzati. I musulmani tatari subiscono particolari vessazioni, con le forze di sicurezza russe che interrompono le preghiere e perquisiscono le abitazioni alla ricerca di materiale religioso. 

La Russia ha dichiarato estremisti i Testimoni di Geova, condannandoli per il loro credo pacifico. Il regime ha preso di mira anche la Chiesa ortodossa ucraina, con la perdita di parrocchie e lo sfratto illegale dalla Crimea. La libertà di stampa è stata soffocata, con giornalisti rapiti e sostituiti da canali russi. Anche i media tatari hanno subito pressioni, con il popolare canale ATR TV costretto a trasferirsi in Ucraina per continuare le trasmissioni. 

 

Fonti e approfondimenti

Amnesty International, “Russia-Ucraina: 10 anni di soppressione delle identità non russe nella Crimea occupata – Amnesty International Italia”, 18/03/2024

CSIS, “Crimea’s Strategic Value to Russia”, 18/03/2014

Nazioni Unite, “Dieci anni di occupazione da parte della Federazione Russa: Diritti Umani nella Repubblica Autonoma di Crimea e nella città di Sebastopoli, Ucraina”, 29/02/2024

Scaglione, F., “LA POSTA IN GIOCO È LA CRIMEA”, LIMES, 13/07/2023

Toucas, B., “The Geostrategic Importance of the Black Sea Region: A Brief History“, CSIS, 2/02/2017

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