Spari, macchine bruciate e assalti con roghi contro sinagoghe, chiese e posti di polizia. A terra almeno 20 persone, tra cui un sacerdote ortodosso. È questo il bilancio dell’attacco in Russia che domenica sera ha sconvolto Machačkala, la capitale del Daghestan, e la città di Derbent. Il centro informazioni del Comitato nazionale antiterrorismo (NAC) ha riferito che l’operazione si è conclusa: sei persone del commando sono state uccise.
La matrice dell’attacco
Non ci sono ancora certezze, ma la filiale russa di Al-Azaim, la fondazione che gestisce la propaganda dell’IS-K, ha commentato l’attacco elogiando “i loro fratelli del Caucaso” per aver dimostrato di cosa erano capaci. La rivendicazione, però, ancora manca. Per il think thank statunitense Institute for the study of war la responsabilità è probabilmente da attribuire a Wilayat Kavkaz, ramo del Caucaso settentrionale dello Stato islamico (IS). Il canale telegram russo Baza ha affermato che due aggressori, uccisi dalle forze russe, sono stati identificati come Osman e Adil Omarov, figli del capo del distretto di Sergokalinsky, Magomed Omarov, che è stato arrestato.
Il conflitto religioso torna a esplodere in un territorio dove circa il 90% delle persone è di fede musulmana. Il Daghestan era già stato protagonista di violenze di matrice islamica a fine ottobre 2023, quando venne preso d’assalto un aereo arrivato da Tel Aviv all’aeroporto di Makhachkala Uytash che – secondo i media locali – avrebbe trasportato viaggiatori provenienti da Israele. Viaggiatori che volevano stabilirsi nella regione o soldati israeliani, a seconda delle versioni. Migliaia di persone armate di bastoni e coltelli hanno fatto partire una caccia all’uomo, bloccata con molta difficoltà dalla polizia locale. Gli uomini, al grido di “Allah Akbar”, hanno desistito dal tentativo di pogrom solo dopo che gli agenti hanno permesso loro di controllare l’aereo.
Il clima in Russia è teso. Soltanto la scorsa settimana le forze speciali del Cremlino hanno liberato due guardie e ucciso sei uomini legati all’Isis che li avevano presi in ostaggio in un centro di detenzione nella città meridionale di Rostov. A marzo, invece, il ramo afghano dello Stato islamico (Isis-K), ha rivendicato la responsabilità dell’attacco al Crocus City Hall di Mosca, nel quale sono morte 139 persone. L’obiettivo di questo ramo dell’Isis è quello di dare vita a un Califfato che comprenda anche il Daghestan e la Cecenia.
Un problema storico
L’instabilità di questi territori non inizia con gli ultimi accadimenti. Per contestualizzare l’oggi, bisogna fare un salto nel XIX secolo. Precisamente tra il 1817 e il 1864, quando i russi combatterono contro le popolazioni islamiche locali che, guidate dall’Imam Shamil, volevano l’indipendenza.
Alla fine della guerra le popolazioni islamiche vennero quasi sterminate. Chi rimase in vita spesso e volentieri venne espulso dalla regione. Il conflitto tornò a manifestarsi durante la Seconda guerra mondiale. Nel 1940 una nuova ribellione venne sedata e nel 1944 centinaia di migliaia di ceceni e di e altre popolazioni nord-caucasiche vennero deportate verso la Siberia, il Kazakhstan e l’Asia Centrale.
Con la destalinizzazione voluta da Nikita Kruscev a partire dal 1956 molti di loro tornarono in patria. Ma il conflitto non si spense e, anzi, trovò nuova linfa con la caduta dell’Unione sovietica. La Cecenia proclama l’indipendenza con l’ex generale dell’aviazione Džokhar Dudaev che, ovviamente, non viene riconosciuta.
Le guerre cecene
Nell’autunno del 1991, Dudaev dichiarò unilateralmente l’indipendenza della Cecenia dalla neonata Federazione Russa. Nell’estate del 1992, quella che fino ad allora era stata la Repubblica Autonoma Ceceno-Inguscia si divise. L’Inguscezia aderì subito al Trattato di Federazione con la Russia, la Cecenia proclamò la propria piena indipendenza come Repubblica Cecena di Ichkeria nel 1993.
La situazione in esplose uno scontro aperto nel 1994. Quella che venne presentata all’opinione pubblica russa come una “guerra lampo” finì per durare due anni. E per contare decine di migliaia di morti e feriti da entrambe le parti. La prima guerra cecena si rivelò un altro “Afghanistan” per il Cremlino.
Alla fine, i separatisti riuscirono a riprendersi Groznyj, la capitale, e si arrivò al “cessate il fuoco” il 31 agosto 1996, con la firma degli accordi di Khasav-Jurt fra il generale russo Aleksandr Lebed’ e il capo di stato maggiore ceceno Aslan Maschadov. L’esercito russo si ritirò dalla Cecenia, che rimase di fatto indipendente. Appena eletto presidente della repubblica (Dudaev era stato ucciso da un missile russo nel ’95), Maschadov siglò il trattato di pace con Mosca nel 1997. Una pace che, tuttavia, non durò.
Il nuovo governo autonomista, stanziato nella semidistrutta Groznyj, perse velocemente il controllo sul resto del Paese. Nuovi “signori della guerra”, banditi e fondamentalisti islamici, cominciarono a prendere il sopravvento. Iniziò a diffondersi il wahhabismo, visione radicale sunnita in aperto contrasto con la tradizione cecena. Anche Šamil Basayev, “eroe della nazione” della prima guerra cecena, finì con il convertirsi.
Proprio Basayev, insieme all’emiro saudita Ibn al-Khattab, che aveva sposato la causa cecena durante il primo conflitto, con un blitz entrò nella vicina repubblica del Daghestan, nell’estate del 1999. Lo fece per aiutare i separatisti locali in lotta contro la Federazione, e creare un unico grande Stato islamico nel Caucaso. La sconfitta dei ribelli fornì il pretesto perfetto al Cremlino per riprendere le ostilità. A fine agosto 1999 scoppiò la Seconda guerra cecena. Con la recrudescenza del conflitto, fece la sua comparsa anche Vladimir Putin, nominato Primo ministro da Eltsin.
La nuova Cecenia
Diversi capi clan ceceni si allearono con il Cremlino. Tra questi vi era Akhmad-Khaji Kadyrov, ex gran mufti (massima autorità in materia di legge religiosa islamica) che durante la prima guerra istigava i propri connazionali al jihad contro la Russia. Per ricompensarlo del suo cambiamento di rotta, Putin lo nominò capo della nuova amministrazione provvisoria di Groznyj nel luglio del 2000, dopo aver rovesciato Maschadov.
Nelle intenzioni di Putin, la seconda guerra cecena sarebbe dovuta durare poco. La realtà fu ben diversa: finì per essere più lunga del secondo conflitto mondiale, e più sanguinosa dello scontro del 1994, con almeno 100.000 vittime civili.
Il 23 marzo 2003, un referendum nazionale in Cecenia approvò con il 95% dei voti una nuova Costituzione, che riconosceva a Mosca il potere di sciogliere il Parlamento liberamente eletto dai cittadini. Venne annunciato ufficialmente “l’ingresso volontario della Cecenia nella Federazione Russa”. Il 5 ottobre successivo, si svolsero le “elezioni del primo presidente” della Repubblica. Akhmad Kadyrov vinse al primo turno con una maggioranza schiacciante, anche grazie alle pressioni del suo esercito privato di 5mila soldati, i cosiddetti kadyrovcy.
Nel giro di pochi mesi, però, Akhmad rimase ucciso in uno degli attacchi terroristici delle “vedove nere”, le donne kamikaze cecene. Suo figlio, Ramzan Kadyrov, prese velocemente il suo posto, diventando governatore de facto della Repubblica fino alla sua elezione a presidente nel 2007. Oggi è ancora in carica.
La radicalizzazione
Fin dal 1993 la Cecenia cominciò ad attrarre fondamentalisti islamici da ogni luogo e iniziarono a comparire partiti con un’ispirazione religiosa, come il Hizb ut-Tahrir al-Islami, Partito della Liberazione Islamica, fondato nel 1953 a Gerusalemme-Est dal giurista egiziano Muhammed Taqiuddin an-Nabhani, spostatosi poi verso l’Asia Centrale.
Nel nord del caucaso presero piede anche i movimenti wahhabiti che finirono per scontrarsi con la visione di un islam tradizionale presente nella regione. In Daghestan, si macchiarono spesso di crimini e uccisioni. Le vittime: chi non crede allo stesso modo, chi viene tacciato di essere filo-russo. È da qui che proviene anche una buona parte di chi compirà attacchi nel nord del Caucaso o a Mosca. Quello più grave sarà a Beslan, nell’Ossezia del nord, nel 2004, con oltre 300 vittime.
Il Daghestan è tuttora una delle aree dove nazionalismo e religione si mescolano di più: in un humus di povertà dilagante, due elementi che aiutano a trovare senso e identità. Qui, tra il 2007 e il 2017, l’organizzazione jihadista chiamata Emirato del Caucaso, poi ribattezzata Emirato islamico del Caucaso organizzò attacchi in Daghestan e nelle vicine repubbliche russe di Cecenia, Inguscezia e Cabardino-Balcaria.
Tutta la regione è coinvolta già da inizio Duemila in quella sorta di insurrezione islamica che parte dalla Cecenia e contamina i vicini. Negli ultimi anni, gli attacchi erano diventati più rari e nel 2017 il Servizio di sicurezza federale russo (FSB) aveva affermato di aver sconfitto l’insurrezione nella regione. Così non è stato.
Fonti e approfondimenti
Al-Jazeera, “At least 20 killed in synagogue, church attacks in Russia’s Dagestan”, 23/06/2024
Bensi, G., “Sochi 2014: l’avanzata jihadista nel Caucaso”, ISPI, 31/01/2014
Institute for the Study of War, “Russian Offensive Campaign Assessment, June 23, 2024”, 23/06/2024
Lombardi, C., “Ricorda 1999: la seconda guerra in Cecenia”, Lo Spiegone, 29/08/2019
Sgarra, S., “Islam Insight: il Salafismo”, Lo Spiegone, 3/01/2020
Tarasova, D. et al., “Gunmen kill police, priest and civilians in attacks on places of worship in Russia’s Dagestan”, CNN, 24/06/2024