Il comizio, lo sparo, la risalita, il pugno alzato al cielo. Il grido di guerra che scandisce il battito dei sostenitori dal palco ormai insanguinato: «combattete». Il coro «U-S-A, U-S-A», una miscela di ansia ed euforia bellica che accompagna il congedo del leader dalla scena. «La prima cosa a cui ho pensato è che eravamo fondamentalmente a un centimetro da una potenziale guerra civile», ha affermato dopo l’attentato a Donald Trump l’esperto di violenza politica Arie Perliger.
Uno scenario che potrebbe avere trovato dimora nella mente di molti. Magari, anche suggestionati dall’orizzonte di Civil War. Pellicola record di incassi, uscita pochi mesi fa, che prefigura proprio uno scontro totale sul suolo statunitense nel prossimo futuro. Se le più cupi previsioni sono ancora di là da venire, è indubbio che il tentato omicidio solleva più di un dubbio sulla tenuta del tessuto civile statunitense. Per tante ragioni oggi messo a dura prova.
La spirale della violenza politica
Le analisi recenti parlano di una violenza sempre più diffusa negli Usa, dove un numero crescente di cittadini giustifica il ricorso alla minaccia fisica per i propri obiettivi politici. Un fenomeno di vecchia data – negli Stati Uniti non si contano i proiettili scagliati contro i leader di ogni schieramento – ma che negli ultimi anni ha raggiunto un nuovo picco e che potrebbe essere qualificato quantomeno come un conflitto a bassa intensità.
L’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021 ha aperto un ulteriore squarcio in questo orizzonte critico. Mettendo in discussione uno dei presupposti fondamentali delle democrazie liberali, ovvero la transizione pacifica del potere, che oggi negli Usa non può più essere più data per scontata. Ma quella della violenza a sfondo politico è una lunga scia multiforme, continuata negli anni successivi a tutti i livelli istituzionali. Basti pensare, ad esempio, che più del 40% dei legislatori statali ha subito minacce o attacchi tra il 2021 e il 2023.
Le motivazioni della violenza, come afferma Reuters, risiedono nell’ansia e nel disagio sociali che covano nelle vene profonde della società a stelle e strisce. Sentimenti e opinioni che si intrecciano, più che riflettersi, con la montante polarizzazione che porta elettori di sinistra e di destra a giudicare le rispettive parti come alternative più religiose che politiche. Un’ostilità che frammenta il tessuto sociale ed aumenta a sua volta il ricorso alla violenza politica.
La preoccupazione di una guerra civile è figlia di tutto questo. Quale sarà la reazione della fandom di Trump dopo gli spari di Butler è uno degli interrogativi più pressanti, per le autorità di Washington e per i cittadini statunitensi. La risposta è niente affatto scontata. Sia per la gravità dell’atto, sia per la reazione del leader nel mirino. A fronte di un pericolo mortale sventato, Trump ha avuto la prontezza di riflessi tipica del comandante in battaglia: «combattete». Il sottinteso, vinciamo la guerra.
La spirale narrativa della guerra
Secondo lo stratega di lunga data del Partito repubblicano Mike Murphy, il pugno alzato di Trump diventerà il «simbolo iconico» della Convention repubblicana. Ma con ogni probabilità, lo sarà dell’intera campagna elettorale. Lo scatto del resto si inserirebbe alla perfezione nella retorica machista dell’ex presidente, alimentando alcuni tratti salienti che già facevano parte della sua narrazione. Anche a un occhio poco esperto di comunicazione politica, lo sguardo fiero, il pugno alzato e il volto insanguinato sono tutti elementi facilmente rintracciabili nell’epica di guerra, da Omero in poi.
Fin dai primi interventi alle primarie del 2016, l’ex presidente ha fatto suo lo stereotipo del condottiero, indossando in particolare i panni del super-eroe populista. Ovvero di un personaggio che, grazie a doti mitiche, riesce a farsi carico delle aspirazioni dei cittadini comuni e a ristabilire ordine e protezione sociali. Laddove questi erano, prima della sua venuta, messi sotto scacco dalle forze oscure che impedivano alla volontà popolare di realizzarsi. È su questa eccezionalità che ha sempre fatto leva Trump per accendere la scintilla del proprio consenso. Presentandosi come l’unico salvatore dalla crisi.
È presto per trarre conclusioni su come si trasformerà, o semplicemente si rafforzerà, il messaggio di Trump dopo i fatti di Butler. Così come quello che succederà da qui al giorno delle elezioni. In ogni caso, David Graham sulle colonne di The Atlantic ha scritto che gli Stati Uniti in questo momento di tensione avrebbero un «disperato bisogno di una leadership prudente e saggia». Tuttavia, osservando il fronte del GOP, le prime impressioni sembrano assecondare malvolentieri questa richiesta.
Se è vero che la reazione della stragrande maggioranza dei repubblicani è stata quella di esprimere vicinanza a Trump, circa una trentina si sono spinti oltre. Individuando sostanzialmente in Biden, nei Dem e negli organi di stampa i mandanti politici dell’attentato. Uno sviluppo che potrebbe portare i toni ad accendersi ancora di più. E ad esacerbare di conseguenza il conflitto extra-politico, anche e soprattutto attraverso le piattaforme digitali.
Le arene messianiche
Per comprendere le evoluzioni dell’attentato in Pennsylvania sarà centrale tenere d’occhio anche questo grande piccolo ecosistema informativo. I social media sono d’altronde un megafono parallelo per diffondere disinformazione e teorie cospirative, fortemente legate alle violenze politiche. La dinamica che si può innescare, come testimonia l’esempio di Capitol Hill, è quello che la prof. Joan Donovan definisce incitamento in rete.
La miccia dell’insurrezione del 6 gennaio, come ha dimostrato nel suo studio, è stata il mero desiderio di sostenere Trump. Le piattaforme hanno fornito l’infrastruttura lungo la quale veicolare un messaggio alle proprie truppe, mentre la risposta partecipata alle comunicazioni online ha spinto altri a mettersi in gioco. Con il risultato che abbiamo osservato in quella ormai celebre sequenza.
Prima di venire freddato dalle forze di polizia, l’attentatore Thomas Matthew Crooks ha ucciso uno dei sostenitori dell’ex presidente, che assisteva al comizio sugli spalti. Un’altra vittima della violenza politica, l’ennesima ferita sul corpo istituzionale a stelle e strisce, già martoriato. Ma le conseguenze dell’atto terroristico sono ancora tutte da vedere.
Quello che non può far dormire tranquilli gli Stati Uniti è che il grido insanguinato di Trump potrebbe rappresentare, invece della fine, l’inizio di una nuova stagione di violenza. Le premesse peggiori sono tutte sul tavolo, anzi nell’arena.