Il momento è propizio, dunque perché aspettare? Quando si è trattato delle alture del Golan, Benyamin Netanyahu non deve averci messo molto per trovare la risposta (più scontata).
Il recente capovolgimento in Siria, dove il regime di Bashar al-Asad è giunto al capolinea e Abu Muhammad al Jolani si erge a guida di un Paese a pezzi, fa gola a molti. Tra gli attori coinvolti vi è Tel Aviv, che guarda ai cambiamenti in corso come una rara opportunità per perseguire il proprio progetto espansionistico. Un piano che parte da lontano e che il Primo ministro israeliano e i suoi alleati non vedono l’ora di portare a termine.
Le alture contese del Golan
Le alture del Golan comprendono un’area di 1.800 chilometri quadrati situata al confine tra Israele e Siria. Si tratta di una zona che per larga parte Tel Aviv ha occupato militarmente nel 1967, nell’ambito della guerra dei sei giorni contro Egitto, Giordania e Siria. Fino a quel momento, l’area si trovava sotto la sovranità di Damasco, che negli anni a venire ha più volte rivendicato il ritorno “a casa” di questo pezzo di terra.
Il conflitto si incendiò in particolare durante la guerra del 1973 – “guerra del Ramadan” per la storiografia araba, “guerra dello Yom Kippur” per quella israeliana e occidentale. In quel periodo le ostilità si inserivano nel più ampio scontro tra grandi potenze, ovvero Stati Uniti e Unione Sovietica. Con il contributo decisivo delle armi a stelle e strisce, le forze israeliane riuscirono ad avere la meglio su quelle siriane, foraggiate dalla controparte.
Con la mediazione delle Nazioni Unite, i due Paesi siglarono un accordo di disimpegno che doveva silenziare lo scontro – comunque proseguito, a bassa intensità, fino ad oggi. Fu istituita, inoltre, una zona smilitarizzata di 235 chilometri quadrati, che avrebbe dovuto separare gli eserciti dei due Paesi. Il compito di vigilare sul rispetto del patto sarebbe spettato all’Onu. Nello specifico, alle forze di peacekeeping Undof, che da allora hanno continuato a presidiare l’area e tenere traccia delle violazioni.
Il diritto internazionale sulle alture del Golan
Nel corso degli anni Settanta, però,iniziarono ad avanzare i civili. Sostenuti dalle autorità israeliane, essi per la fine del decennio avevano dato vita a una trentina di colonie. Nel 1981 la conquista fece un nuovo passo. Dopo che la Knesset (ovvero il Parlamento israeliano) approvò la legge sulle alture del Golan, Tel Aviv procedette con l’annessione unilaterale delle alture del Golan.
Un atto che la comunità internazionale non ha mai riconosciuto come legittimo. Il Consiglio di Sicurezza, in risposta, adottò all’unanimità una risoluzione contro l’occupazione. La risoluzione 497/1981 definì la sovranità israeliana sul Golan come priva di validità e “senza alcun effetto legale a livello internazionale“. L’unico Paese ad aver riconosciuto la sovranità israeliana sul territorio sono stati gli Usa, quando nel 2019 il presidente Trump, firmò un ordine esecutivo proprio a tal fine. Sollevando un’ondata di indignazione capace di attraversare tutto il Medio Oriente. E non solo.
Da allora, sulle alture del Golan vige il silenzio del più forte. Un silenzio che legittima uno status quo de facto che congela la prevaricazione di Tel Aviv non solo sul territorio ma sul diritto internazionale. Le alture sono pertanto uno dei tanti specchi di un piano coloniale che procede nell’impunità.
Le alture del Golan e il piano di Israele
Al crollo del regime di al-Asad, l’esercito israeliano si è fatto trovare pronto. L’intenzione di agitare a proprio favore il caos regionale era più che lampante. Le Idf in Siria hanno assestato centinaia di attacchi in tutto il territorio per diminuire la capacità di difesa del Paese. Un’offensiva che non poteva tralasciare le alture del Golan.
Agli ordini del governo, le forze israeliane hanno proseguito la propria marcia verso la zona cuscinetto. Sostenendo che con la conquista del potere da parte dei ribelli in Siria la sua validità sarebbe tramontata, Israele ha chiuso nel cassetto dei ricordi l’accordo del 1974. Incappando nella tanto ovvia quanto inefficace condanna dell’Inviato Onu in Siria. Netanyahu ha affermato che l’occupazione avrebbe avuto scopo “difensivo” e “temporaneo”. Ma a osservare le ultime novità (e la storia dello Stato ebraico) è quantomeno lecito aspettarsi un destino diverso.
Il 15 dicembre scorso, infatti, il governo israeliano ha approvato un piano per raddoppiare la popolazione ebraica nel Golan – attualmente 60mila persone. Un piano che richiede 40 milioni di shekel (11 milioni di dollari statunitensi): una cifra ingente, che ha tutto il sapore di un investimento sul lungo periodo.
Fonti e approfondimenti
Gil Guerrero, J, Why is Israel attacking Syria after the fall of Bashar al-Assad?, The Conversation, 18/12/2024
Haddad, M, Palestine and Israel: Mapping an annexation, Al Jazeera, 26/06/2020