Ricorda 1312: l’uomo più ricco del mondo, Mansa Musa, diventa imperatore del Mali

Riccardo Barelli - Remix Lo Spiegone - HistoryNmoor/Wikimedia Commons

Chi è (o chi è stato) l’uomo più ricco di tutti i tempi? Se pensate a Elon Musk o a Jeff Bezos avete sbagliato e anche di molto. Se allarghiamo la linea temporale nella classifica degli uomini più ricchi che siano mai esistiti compaiono personaggi del calibro di Giulio Cesare, Gengis Khan, Guglielmo il Conquistatore. Ma nessuno di questi fu più ricco di Mansa Musa, che nel 1312 divenne imperatore del Mali.

Nel 2012, il sito web statunitense Celebrity Net Worth ha stimato la sua ricchezza in 400 miliardi di dollari, ma gli storici concordano sul fatto che il suo patrimonio sia impossibile da definire con un numero. Mansa Musa era più ricco di quanto chiunque possa descrivere.

Il Re d’Oro

Mansa Musa nacque nel 1280 in una famiglia di regnanti. Suo fratello, Mansa Abu-Bakr, governò l’Impero del Mali fino al 1312, quando abdicò per partire per una spedizione in mare. Secondo lo storico siriano del XIV secolo Shibab al-Umari, Abu-Bakr era ossessionato dall’Oceano Atlantico e da ciò che si trovava al di là di esso. Per questo, secondo quanto riferito da al-Umari, egli intraprese una spedizione con una flotta di duemila navi e migliaia di uomini, donne e schiavi. Salparono per non tornare mai più. Lo storico americano Ivan Van Sertima nutre l’idea che abbiano raggiunto il Sud America, ma non ci sono prove di questo.

In ogni caso, Mansa Musa ereditò il regno che gli aveva lasciato Abu-Bakr e ne divenne nono imperatore. Egli era il pronipote del fondatore dell’Impero del Mali, Sundiata Keita, e, una volta salito al trono, ottenne il titolo tradizionale di “Mansa” che nella lingua locale significa “re”. Sotto il suo governo, l’Impero del Mali arrivò al suo massimo splendore, sia culturalmente che geograficamente.

L’Impero del Mali

L’Impero del Mali (1240-1645), l’impero più grande e ricco mai visto in Africa occidentale, fu fondato nel 1240 da Sundiata Keita, il “principe leone”. Inizialmente, il Mali (conosciuto con il nome di Manden) era una provincia dell’antico impero del Ghana che, nell’XI secolo, entrò in guerra contro i berberi musulmani Almoravidi, venendo sconfitto. Gli Almoravidi però non imposero il proprio controllo sulla regione, ritornando verso il Nordafrica, e le province dell’ex impero divennero di fatto indipendenti. Nel 1146, il regno di Kaniaga, una delle ex province dell’impero del Ghana, iniziò a estendere i propri domini sulle altre popolazioni, compreso il ricco territorio del Mali che, nella prima metà del Duecento, fu colpito da saccheggi e dazi altissimi. 

Questo fino all’arrivo di Sundiata Keita, che decise di liberare il suo popolo dal giogo del regno di Kaniaga e le cui gesta sono state tramandate dai griot (cantori) dell’Africa occidentale nella forma di un racconto epico. Per questo, è difficile separare la leggenda dalla realtà storica. Però, quello di cui siamo certi è che nel 1235 circa, Sundiata riuscì a trovare un sufficiente numero di alleati per attaccare il regno di Kaniaga e unificare il territorio del Manden, costituendo l’Impero del Mali.

Al suo apice, durante il governo di Mansa Musa, l’Impero del Mali si estendeva per circa duemila miglia, dall’Oceano Atlantico fino all’odierno Niger, comprendendo parti di quelli che oggi sono Senegal, Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger, Gambia, Guinea-Bissau, Guinea e Costa d’Avorio. La capitale era Niani (oggi in Guinea) e la città commerciale più importante era Timbuctu, situata vicino al fiume Niger, alla convergenza dei principali corsi d’acqua e di molte rotte commerciali terrestri. 

Un’immensa ricchezza è stata ottenuta dal regno fungendo da hub commerciale tra l’interno del continente, la costa meridionale dell’Africa occidentale e quella del Nord Africa attraverso le rotte delle carovane di mercanti nel deserto del Sahara. Il sale era una delle principali merci che i mercanti maliani compravano da quelli del Nord Africa in cambio di avorio e soprattutto oro, prodotti che in Mali erano abbondanti.

I governanti indigeni adottarono l’Islam, grazie ai contatti con i mercanti arabi, e l’Impero del Mali quindi svolse un ruolo significativo nella diffusione di questa religione in tutta l’Africa occidentale. Sotto la guida di Mansa Musa, l’Impero del Mali divenne un sofisticato centro di apprendimento nel mondo islamico.

Il pellegrinaggio alla Mecca

Per essere un perfetto musulmano praticante è necessario seguire determinati obblighi fondamentali, tra i quali il pellegrinaggio alla Mecca, uno dei 5 pilastri dell’Islam.

Quando Mansa Musa andò in pellegrinaggio (hajj) alla Mecca tra il 1324 e il 1325, il suo viaggio di più di 4.300 chilometri suscitò molto scalpore, soprattutto in Egitto. Fino a quel momento, infatti, il regno del Mali era relativamente sconosciuto al di fuori dell’Africa occidentale. Gli scrittori arabi dell’epoca raccontarono che Mansa Musa viaggiava con un entourage di decine di migliaia di persone e dozzine di cammelli, ciascuno dei quali trasportava 300 libbre (136 chilogrammi) d’oro. Mentre si trovava al Cairo, Mansa Musa incontrò il Sultano d’Egitto e la sua carovana spese così tanto oro che il valore complessivo di questo metallo nel Paese diminuì per i successivi 12 anni.

La voce della ricchezza e dell’influenza di Mansa Musa si diffuse oltre l’Africa solo dopo il suo viaggio alla Mecca. I racconti del suo enorme convoglio e della sua generosità continuarono a essere tramandati molto tempo dopo la sua morte. Verso la fine del XIV secolo, ad esempio, Mansa Musa fu rappresentato nell’Atlante catalano, un’importante risorsa per i navigatori dell’Europa medievale. Creato dal cartografo spagnolo Abraham Cresques, l’atlante raffigurava Musa seduto su un trono con uno scettro, una corona d’oro e con in mano una pepita d’oro.

Il ritorno in Mali: l’apice e il pedice dell’Impero

Dopo il suo ritorno dalla Mecca, Mansa Musa iniziò a rivitalizzare le città del suo regno, tramite l’apporto di architetti e studiosi da tutto il mondo islamico. Trasformò città come Timbuctu e Gao in importanti centri culturali, grazie ad architetti che provenivano dal Medio Oriente e dall’Africa e che progettarono nuove costruzioni, tra cui moschee, come la Moschea di Djennè, e grandi edifici pubblici. Timbuctu, la “città del deserto”, divenne un importante centro universitario islamico durante il XIV secolo: l’Università di Sankoré possedeva una biblioteca talmente fornita in grado di rivaleggiare con quella di Alessandria. 

Durante l’amministrazione di Mansa Musa, l’Impero del Mali era vivace culturalmente e ricco economicamente, raggiunse la sua massima estensione territoriale e la sua reputazione crebbe moltissimo. 

Probabilmente, Mansa Musa morì nel 1337 e gli succedettero i figli. Grazie alla sua abile amministrazione, al momento della sua morte, lasciò un impero benestante, che poi però si indebolì, a causa dell’estrema corruzione dei suoi successori. Nel 1389 l’Impero del Mali entrò in una nuova fase della sua storia, caratterizzata da due fattori. Da un lato, iniziarono ad alternarsi Mansa di diverse origini, senza alcuna dinastia stabilmente al governo; dall’altro, il regno iniziò a sgretolarsi sotto la pressione del nascente Impero di Songhai, perdendo gradualmente i suoi territori orientali e il suo controllo sulle vie commerciali transahariane.

Anche ben dopo la sua morte, la figura di Mansa Musa rimase radicata nell’immaginazione del mondo come simbolo di favolosa ricchezza. Tuttavia, le ricchezze furono solo una parte della sua eredità: Mansa Musa diede impulso alla cultura islamica, all’istruzione e all’economia dell’Impero del Mali.

 

Fonti e approfondimenti

Bell Nawal Morcos. 1972. “The Age of Mansa Musa of Mali: Problems in Succession and Chronology”, The International Journal of African Historical Studies, 5 (2): 221-234. 

Celebrity Net Worth. 2012. “Mansa Musa”. 

Mohamud Naima, “Is Mansa Musa the richest man who ever lived?”,  BBC Africa, 10/03/2019. 

National Geographic, “Mansa Musa (Musa I Of Mali)”, Resource Library. 

Van Sertima Ivan. 1978. “They Came before Columbus: The African Presence in Ancient America”, The International Journal of African Historical Studies, 11 (1): 147-150.

 

Edintig a cura di Cecilia Coletti

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