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L’ombra della guerra civile tra i due Venezuela

“Gloria al bravo pueblo que el yugo lanzó la ley respetando la virtud y honor” Così l’inno nazionale del Venezuelainneggia al popolo coraggioso che, rispettando la legge, strappò il giogo guadagnandosi virtù e onore. L’inno nasce nell’ottocento quando il Paese si libera dal regime coloniale, ma adesso il tema torna di attualità. Adesso i popoli in Venezuela sono due, da una parte il popolo che rimane con il presidente Maduro mentre dall’altra chi si è schierato con l’opposizione filo-occidentale.

Avevamo già affrontato la crisi del Venezuela, un Paese alla deriva, ma nell’ultima settimana la situazione è peggiorata molto. L’economia sta crollando, da Caracas arrivano solo foto di persone in fila per i beni di prima necessità. Proprio ieri il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha stimato l’inflazione per il prossimo anno che si attesterebbe attorno al 700%, anche grazie alla continua operazione di signoraggio che il governo sta portando avanti. La crescita del paese è bloccata, in termini di PIL, su un -4% nel 2015, ma i prospetti per quest’anno sono ancora peggiori. Oggi il Presidente Maduro ha affermato che è necessario occupare le fabbriche e giustiziare i proprietari, che sono a suo parere i responsabili della “Guerra Economica”.

La crisi infatti viene raccontata dal regime madurista con questa narrazione: la crisi e i problemi sociali sono quelli di una guerra tra proletari e capitalisti, tra paesi poveri e paesi ricchi. Bisogna ricordare che il prezzo del petrolio, che crolla, è l’arma con cui le grandi potenze stanno avvelenando il Venezuela. Chavez aveva riportato il paese alla crescita economica proprio nazionalizzando le industrie petrolifere, puntando a rimettere al centro della politica i cittadini e il welfare utilizzando quegli introiti. 

 Questa settimana il presidente Maduro ha presentato un decreto che mobilita, per la prossima settima, l’esercito e la milizia rivoluzionaria. La motivazione è esplicita e chiara: l’esercito si mobiliterà per prepararsi a qualsiasi evenienza. Il governo ha inoltre presentato un decreto che gli permetterà di governare da solo esautorando il parlamento, usando solamente i decreti legge.

Il Parlamento è nelle mani dell’opposizione e ha infatti respinto la decisione, ma questo atto è stato annullato dalla Suprema Corte venezuelana, che si è schierata apertamente con il presidente. Nel frattempo la questione ancora aperta è quella del referendum. Il parlamento guidato dall’opposizione ha, infatti, richiesto un referendum per destituire il presidente, consegnando le firme. Il Consiglio di Stato non ha però ancora iniziato a controllare queste firme, così da non permettere lo svolgimento della votazione.

Il referendum per la destituzione del presidente è molto particolare in Venezuela. Le votazioni popolari, in tutto il mondo, legano la propria validità al quorum, ma in Venezuela per poter destituire il Presidente è necessario raggiungere lo stesso numero di voti che ha eletto il presidente stesso, in questo caso 7 milioni e mezzo.

Il Venezuela risulta quindi totalmente spaccato in due. Una parte si rivede e crede ancora nel chavismo e nel socialismo sudamericano, l’altra è stanca di sperare e vuole uscire dalla condizione di indigenza, anche accordandosi con gli USA. Le due parti si scontrano per strada e sui giornali.

Il presidente Maduro ha puntato il dito proprio contro gli USA, per cercare di individuare in essi la causa della situazione venezuelano. Secondo Maduro,  il piano coinvolge tutto il Sud America. Si spiega così il fallimento della sinistra in Brasile e Argentina e il tentativo di inginocchiare l’ultimo avamposto socialista in Sud America: il Venezuela. Maduro indica come mandante degli Stati Uniti nel continente il presidente colombiano, Juan Manuel Santos ed ha, proprio ieri, fatto espellere dal Paese un ex diplomatico colombiano.

Dall’altra parte l’opposizione cavalca il malcontento sociale e chiama il popolo a ribellarsi e a far cedere Maduro. In questa settimana vi sono già state due manifestazioni di piazza che hanno chiesto un passo indietro al presidente.

Le due metà di un paese stanno combattendo e comunicano ma tutti dal di fuori del Venezuela stanno cercando di lavorare per convincere le parti a dialogare. Il ministro degli esteri del Vaticano, Paul Gallagher, arriverà nel paese il 24 maggio, cercando di far incontrare le due parti.

Cosa potrebbe riportare la situazione alla calma? Le richieste delle due parti sono totalmenteinconciliabili da ogni possibile dialogo. Il presidente Maduro, vuole che il Parlamento si zittisca e rimanga quieto, almeno fino alle prossime elezioni presidenziali. Il Parlamento non accetta compromessi e accetterà solo le dimissioni del Presidente.

La paura più grande è la guerra civile. Il ministro della difesa venezuelana si è detto disposto a fare qualsiasi cosa per difendere il Paese, intendendo con questo il Venezuela chavista. Questa la frase del Ministro della difesa “la FANB (Fuerza Armada Nacional Bolivariana)si assumerà tutto il potere possibile per fermare l’ingerenza e il colpo di stato della guerra economica”. I servizi segreti americani, riferiscono fonti del Washington Post, hanno definito il paese in una situazione disperata ad alto rischio politico. Il rischio politico viene dichiarato quando vi è un altissimo rischio di guerra civile, altri paesi così segnalati sono l’Afghanistan e il Sudan.

Il mondo guarda al Venezuela e spera. Tutti gli osservatori internazionali sanno che il Venezuela è un laboratorio politico per il Sud America e il paese esploderà in una violenta guerra civile, allora questo potrebbe essere il futuro anche del Brasile e dell’Argentina, avendo questi paesi tutti le stesse, più o meno grandi, problematiche. La soluzione del problema forse ce la descrive ancora l’inno venezuelano che nell’ultima strofa invita il paese a rimanere unito nello spirito dell’essere venezuelani e sudamericani.

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