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In Corea del Sud i partiti sono inutili

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

La Corea del Sud è uno dei pochi Paesi al mondo in cui i partiti non hanno un ruolo fondamentale all’interno del dibattito politico. I leader politici, gli individui, sono quelli che contano. Non esiste il voto di appartenenza partitico, esiste invece il voto di appartenenza “regionale”. In questo articolo andremo quindi a delineare come funziona il sistema elettorale coreano e come vota il popolo. Una particolare attenzione è necessariamente data alle elezioni che si terranno il 9 maggio 2017, le quali potrebbero cambiare l’approccio della Repubblica di Corea alla politica.

In Corea del Sud non esiste una vera e propria cultura del partito politico, i partiti vengono infatti creati e sciolti con molta facilità (ne sono stati creati, fusi e sciolti più di 249, dal 1948 a oggi). Questo ha portato a una distinzione non troppo netta dei leader politici dal punto di vista ideologico. Possiamo distinguere le fazioni politiche in conservatori e liberali, più difficilmente possiamo trovare dei leader progressisti e quasi sicuramente non troveremo mai dei leader comunisti o estremisti. La motivazione può essere cercata all’interno della Legge sulla Sicurezza Nazionale del 1948, promulgata dal dittatore Syngman Rhee e ancora in forza, che permetteva l’incarcerazione di tutti i cittadini che si fossero dichiarati comunisti poiché rappresentavano una minaccia nazionale. Questa repressione è stata la base di un mancato sviluppo “popolare” di ideologie più radicali. Dopo più di quaranta anni di dittatura nazionalista, inoltre, la base culturale coreana è stata inevitabilmente toccata profondamente, andandosi a schierare molto spesso con i conservatori invece che con i liberali (ad oggi solo due presidenti liberali, Kim Dae-jung e Toh Moo-hyun, sono stati eletti).

La storia democratica della Corea del Sud inizia nel 1987 e da allora sono stati 6 i presidenti eletti dal popolo coreano. L’elezione del presidente è diretta ed è basata sul sistema maggioritario, ovvero che il candidato che ottiene la percentuale più elevata è automaticamente eletto presidente. Il presidente è eletto per un periodo di 5 anni non rinnovabili, quindi alla fine del mandato il presidente in carica non può ricandidarsi per un secondo mandato, né lo potrà fare in futuro. Questo sistema ha dei punti positivi, come quello di garantire una salvaguardia contro la possibilità di un eccessivo accentramento di potere del presidente, che potrebbe scaturire in una dittatura, ma anche dei punti negativi, come quello di non dare possibilità di continuità al Paese.

In questo contesto c’è da notare un elemento fondamentale: il regionalismo. Infatti, in Corea del Sud, il voto di appartenenza partitica non è molto sviluppato mentre quello di appartenenza regionale è fortissimo. Possiamo dividere idealmente la penisola coreana in due parti, la parte sud-occidentale (Cholla) e la parte sud-orientale (Kyongsang).

La regione Cholla è quella storicamente più liberale e progressista. I dati che ci fanno affermare questo sono non solo elettorali (che analizzeremo tra poco) ma anche storici. Per esempio, nel 1980, la rivolta che accese la prima fiamma della democrazia coreana partì proprio da qui, da Kwangju, da un gruppo di universitari (professori e studenti) che vennero uccisi dai militari agli ordini del dittatore Chun Doo-hwan. Il primo presidente liberale della Corea del Sud, Kim Dae-jung, era originario della regione di Cholla.

Dall’altra parte invece Kyongsang è sempre stata una regione molto conservativa, dove gran parte dei dittatori coreani sono cresciuti. I dittatori Park Chung-hee, Chun Doo-hwan e il primo presidente sudcoreano Roh Tae-woo sono solo alcuni degli esempi. In questo panorama quindi il regionalismo ha formato l’approccio dei cittadini alla politica nazionale.

Le politiche dei vari presidenti all’interno del proprio Stato in questo senso possono far capire chiaramente perché il voto regionalista si sia radicalizzato così tanto. Le amministrazioni che si susseguono hanno come primo obiettivo quello di rendere migliore la propria “zona” coreana, ovvero quella dove sono cresciuti, oppure hanno studiato o vivono da molto tempo. Questo sistema ha quindi portato a uno sviluppo veloce e importante della regione del Kyongsang mentre la regione Cholla è rimasta più indietro e senza grandi opere. Ad aggravare questa situazione c’è anche il fattore di come le amministrazioni presidenziali vengono gestite. I ministeri sono infatti gestiti totalmente (o quasi) da personale che ha le proprie radici nella stessa regione del presidente. In questo modo quindi la presidenza è stata sempre gestita da una delle due grandi regioni della Corea del Sud.  

Per una comprensione migliore del fenomeno del regionalismo è interessante andare a vedere come si sono svolte le ultime tornate elettorali tra il 1997 e il 2012:

Si può vedere in maniera lampante come il Paese sia diviso in maniera netta e come la provenienza dei candidati rispecchi il voto regionale, senza nessuna eccezione. Il candidato presidente che riesce a conquistare anche il nord del Paese ha quasi la certezza di diventare presidente, così come i dati confermano.

Quello che sta avvenendo in queste elezioni invece è leggermente diverso, con i due candidati favoriti (Moon Jae-in e Ahn Cheol-soo) provenienti dalla stessa regione. In questo caso sarà interessante capire come gli elettori si posizioneranno, andando a prendere una posizione maggiore in base ai programmi oltre che alla loro provenienza regionale. I temi più importanti per i cittadini sono sicuramente la Corea del Nord (il THAAD, la sicurezza USA e la minaccia nordcoreana) e i chaebol. Il candidato che saprà dare più sicurezze su politica estera ed economia interna, sarà il candidato che vincerà.

 

 

Fonti e Approfondimenti

Ha Yong-chool, Impact of democratisation on regionalism in Korea: A complex Interplay, New Paradigm for Transpacific Collaboration

 

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