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Balcani in pillole: Kosovo

Dalle radici illiriche alla dominazione ottomana, il Kosovo è stato animato da sempre da un dualismo tra l’etnia serba e quella albanese. Divenuta provincia autonoma all’interno della Repubblica socialista jugoslava di Serbia, il conflitto tra i due gruppi si è fatto più intenso in particolare dopo la morte del Maresciallo Tito. L’incapacità di risolvere diplomaticamente la crisi kosovara, arrivata al culmine nel 1998, ha portato all’intervento della NATO nel 1999. Dopo una iniziale amministrazione internazionale, nel 2008 il Kosovo ha dichiarato unilateralmente l’indipendenza, che è attualmente riconosciuta solo da una parte della Comunità internazionale.

Popolazione: 1,895,250 abitanti
Superficie: 10,887 kmq
Densità di popolazione: 166.8 ab./km
Capitale: Pristina
Forma di governo: Repubblica parlamentare
Gruppi nazionali: albanesi 92.9%; bosgnacchi 1.6%; serbi 1.5%; turchi 1.1%; ashkali 0.9%, egiziani 0.7%; gorani 0.6%; rom 0.5%; non specificato 0.2%
Religioni diffuse: musulmani 95.6%; cattolici 2.2%; ortodossi 1.5%; altri 0.07%; nessuna 0.07%, non specificato 0.6%
Lingua ufficiale: albanese 94.5%; serbo 1.6%
Altre lingue: bosniaco 1.7%; turco 1.1%; altro 1%
Posizione rispetto all’UE: potenziale candidato dal 2016

Storia politica

Anticamente abitato dagli Illiri, stanziatisi nei Balcani occidentali dal 2000 a.C., il territorio kosovaro ha conosciuto l’avvento delle popolazioni slave tra il V e il VI secolo d.C. Per quanto riguarda la comparsa della popolazione albanese, non è ancora stato stabilito se essa sia precedente o successiva a quella slava. Nel XII secolo, la presenza slava si consolidò nella regione della Raška, a nord del Kosovo, per poi inglobarlo totalmente nel corso del secolo. La Raška divenne il nucleo del primo Stato serbo, sotto la dinastia dei Nemanjia, stabilendo anche la chiesa autocefala serba nel monastero di Zica per poi essere re-insediata nel 1250 a Peć-Peja, in Kosovo.

Dopo la battaglia di Kosovo Polje, anche nota come della Piana dei Merli, del 28 giugno 1389, il Kosovo venne riconquistato dai Turchi ed entrò a far parte dell’impero ottomano. Dopo cinque secoli di dominazione ottomana, a seguito del Trattato di Londra che nel 1913 poneva fine alla Prima guerra balcanica, la regione kosovara nota come Metohija fu affidata al Montenegro, mentre quella del Kosovo alla Serbia. Dopo la proclamazione del Regno dei serbi, dei croati e degli sloveni (Regno SHS) nel 1918, ad esso venne riconosciuto dalla comunità internazionale il controllo del Kosovo e della Metohija riunite.

Nel 1941, la Jugoslavia fu invasa dalle truppe nazifasciste e il territorio kosovaro fu  diviso tra le rispettive forze di occupazione: il nord rimase incluso nella Serbia, occupato dalla Germania; il sud fu invece incorporato dall’Albania, sotto il controllo italiano. Alla fine del secondo conflitto mondiale, dopo essere stato liberato dai comunisti jugoslavi e albanesi, il Kosovo divenne una provincia della Repubblica di Serbia della Federazione jugoslava guidata dal Maresciallo Tito. Negli anni del dopoguerra, la demografia del Kosovo mutò notevolmente rispetto al passato, per effetto dei diversi tassi di natalità di serbi e albanesi. La popolazione albanese aumentò dal 75% ad oltre il 90% del totale, mentre la presenza serba diminuì dal 15% all’8%. Con la modifica della Costituzione Federale jugoslava del 1974, il Kosovo acquisì lo status di provincia autonoma interna alla Repubblica socialista di Serbia, al pari della Vojvodina, ottenendo la massima autonomia fino ad allora raggiunta da Belgrado e poteri sostanzialmente pari a quelli delle altre repubbliche in termini di voto e rappresentanza nella Federazione.

La morte di Tito fece sprofondare la Federazione in una profonda crisi economica e politica e in Kosovo la situazione inter-etnica già tesa non poté che peggiorare, con sollevazioni da parte della popolazione albanese che rivendicava una maggiore autonomia da Belgrado, fino ad auspicare l’indipendenza della provincia (come era già accaduto nel 1968). La popolazione serba, sentendosi minoranza a casa propria, cominciò ad assumere posizioni nazionaliste intransigenti, che giunsero al culmine con il regime di Milosevic. Infatti, nel marzo 1989 l’autonomia della provincia kosovara sancita dalla Costituzione del 1974 fu revocata, a tale decisione seguirono la soppressione dello status paritario della lingua albanese e una politica di “serbizzazione” forzata della provincia, provocando l’epurazione di personale albanese dalle funzioni pubbliche e l’adozione di una legislazione fortemente discriminatoria a danno della popolazione albanese.

La popolazione albanese inizialmente reagì attraverso l’organizzazione di una resistenza non violenta, guidata dalla Lega democratica del Kosovo (Ldk) di Ibrahim Rugova. Essa proponeva il boicottaggio sistematico della partecipazione alla vita pubblica e creò delle istituzioni parallele, operanti grazie ai finanziamenti della diaspora albanese. Seguendo l’esempio della Slovenia e Croazia, nel 1991 la resistenza albanese si espresse attraverso un referendum clandestino che sancì unilateralmente l’indipendenza della provincia kosovara. Tuttavia, a differenza delle due repubbliche federali, la Comunità europea, attraverso la Commissione Badinter, non riconobbe al Kosovo il diritto di secessione, in quanto esso spettava solo alle repubbliche e non alle province autonome. Ciò non impedì all’Assemblea parlamentare albanese di proclamare ufficialmente l’indipendenza il 19 ottobre, con Rugova presidente.

Durante gli anni del conflitto in ex-Jugoslavia, la condizione della popolazione albanese in Kosovo continuava a peggiorare e l’opzione della resistenza non violenta non pareva più sostenibile. È in questo frangente che nel 1997 l’Esercito di liberazione del Kosovo (UCK) fece la sua prima comparsa. Oltre ad operare con azioni di guerriglia contro obiettivi serbi, come agenti di polizia, istituzioni, civili, l’UCK sviluppò anche attività e traffici illeciti, come quello di armamenti provenienti dall’Albania. Le azioni paramilitari albanesi provocarono un’escalation del conflitto tra l’etnia serba e quella albanese, senza che mancassero rappresaglie serbe e contro-reazioni della guerriglia albanese. Nel 1998, la situazione precipitò, con la popolazione civile esposta a scontri sempre più violenti. La Comunità internazionale tentò di intervenire attraverso il Gruppo di contatto, costituito da Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia, Germania e Italia. Nonostante gli sforzi, i tentativi di mediazione diplomatica si rivelarono vani. Il rapido fallimento degli Accordi di Rambouillet, conclusi nel febbraio 1999, aprì la strada all’intervento NATO contro Milosevic, con intense azioni militari che durarono dal 24 marzo al 10 giugno 1999.

La Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 10 giungo 1999 ha sancito l’inizio dell’amministrazione civile dell’ONU in Kosovo (UNMIK, United nations ad interim mission in Kosovo). Gli anni di amministrazione internazionale furono caratterizzati da un progressivo rafforzamento delle istituzioni di auto-governo albanesi e dal conseguente boicottaggio della componente serba, che aveva istituito un parallelo organo di governo che rispondeva a Belgrado e con sede istituzionale nel nord del Kosovo.

Dopo un prolungato stallo politico, a seguito di disordini etnici nel 2004 quando i gruppi estremisti albanesi hanno guidato rivolte anti-serbe e anti-internazionali, il negoziato per lo status del Kosovo ha conosciuto una notevole accelerazione tra il 2005 e il 2007. Dopo quasi due anni di shuttle diplomacy, il piano pro-indipendenza condizionata del Kosovo redatto dall’Inviato speciale delle Nazioni Unite Athisaari è stato respinto da Belgrado, mentre l’opposizione russa all’interno del Consiglio di Sicurezza ha impedito una soluzione concertata, spingendo il Gruppo di contatto ad un ulteriore tentativo di mediazione tra le parti, questa volta guidato dai rappresentanti di Russia, Stati Uniti e Unione Europea, il cui mandato si conclude però con un ulteriore nulla di fatto.

Il 17 febbraio 2008 l’Assemblea parlamentare kosovara ha dichiarato unilateralmente l’indipendenza, ispirandosi ai contenuti e alle riforme previste dal Piano Athisaari, successivamente riconosciuta dai paesi del Quint e da gran parte dei paesi dell’Unione Europea. Il giorno precedente l’UE aveva approvato il dispiegamento della missione civile internazionale EULEX, per sostenere le attività kosovare nel mantenimento della sicurezza e dell’ordine pubblico, nel settore doganale e nell’amministrazione della giustizia. Il governo serbo e la maggioranza dei serbi in Kosovo hanno accettato la missione EULEX a patto che essa avrebbe operato in piena coerenza con la Risoluzione 1244 e con la neutralità UNMIK in relazione allo status del Kosovo. Nonostante il Kosovo sia ora riconosciuto da oltre cento paesi, mancano all’appello cinque paesi europei (Cipro, Grecia, Romania, Slovacchia e Spagna), così come anche paesi cruciali come Russia, Cina e Serbia.

Allo stato attuale, in una prospettiva di futuro allargamento,  l’Unione Europea ha vincolato l’ingresso della Serbia e del Kosovo nell’Unione Europea alla risoluzione delle questioni ancora aperte tra i due Paesi. Nonostante il percorso di normalizzazione diplomatica sia ancora complicato, il Kosovo prosegue lungo la strada dell’integrazione europea e nel 2016 l’Accordo di stabilizzazione e associazione è ufficialmente entrato in vigore.

Prospetto economico

Il Kosovo sta mostrando significativi progressi nella transizione verso un’economia di mercato e nel mantenimento della stabilità macroeconomica, ma è ancora fortemente dipendente dalla comunità internazionale e dalla diaspora albanese per quanto riguarda forme di assistenza tecnica e finanziaria. Si stima che il denaro della diaspora, proveniente principalmente da Germania, Svizzera e paesi nordici, raggiunga circa il 17% del PIL, mentre l’assistenza dei donatori internazionali costituisce circa il 10% del PIL. Grazie all’assistenza internazionale, il Kosovo è riuscito a privatizzare la maggior parte delle imprese statali.

Dopo la Moldavia, i cittadini del Kosovo sono i più poveri in Europa. Il tasso di disoccupazione è pari al 33% e quello giovanile raggiunge circa il 60% in un paese in cui l’età media è di 26 anni, incoraggiando l’emigrazione e stimolando l’economia informale. La maggior parte della popolazione vive nelle zone rurali vicine alla capitale, Pristina. Nonostante i costi del lavoro siano più bassi rispetto al resto della regione, gli alti livelli di corruzione, lo scarso adempimento dei contratti e i rifornimenti energetici poco affidabili hanno scoraggiato i potenziali investitori. Il settore minerario e la produzione di metalli, un tempo colonne portanti dell’industria kosovara, sono in declino a causa dell’equipaggiamento sempre più inadeguato e arretrato e di investimenti insufficienti.

Nonostante l’economia continui a fare progressi, essa necessita di ulteriori riforme e di investimenti per aumentare il tasso di crescita, andando così a ridurre la disoccupazione e a migliorare gli standard di vita in modo significativo.

Componente etnico-religiosa

Le fonti più recenti sulla distribuzione etnico-religiosa del Kosovo risalgono al censimento svolto nel 2011, in cui però la percentuale relativa alla presenza dei serbi e dei rom potrebbe essere sottostimata, poiché essi hanno deciso di boicottare il censimento nel nord del paese.

Dal punto di vista etnico, il Kosovo è composto da sei gruppi riconosciuti. Il gruppo più numeroso è quello degli albanesi, seguito poi da serbi, turchi, gorani, rom e bosgnacchi.

Dal punto di vista religioso, la distribuzione religiosa riflette in gran parte la composizione etnica, con una maggioranza musulmana e a seguire le minoranze ortodossa e cattolica.

Bandiera

La bandiera del Kosovo presenta la silhouette del Paese, dorata e in posizione centrale sullo sfondo blu scuro, sormontata da sei stelle a cinque punte disposte leggermente ad arco. Ciascuna stella rappresenta uno dei principali gruppi etnici che abitano il Kosovo: albanesi, serbi, turchi, gorani, rom, bosgnacchi.

È interessante notare che il Kosovo è uno dei due paesi, insieme a Cipro, in cui la mappa del paese è utilizzata come elemento grafico nella bandiera.

 

Fonti e Approfondimenti

CIA Database

European Commission, European Neighbourhood Policy and Enlargement Negotiations: Kosovo

Privitera, Francesco (a cura di). Guida ai paesi dell’Europa centrale orientale e balcanica. Annuario politico-economico 2010. Bologna: Il Mulino (2011).

World Bank Database

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