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I diritti umani secondo Lukašenko: quando libertà e stabilità non vanno di pari passo

Bielorussia diritti umani

@Viktar Palstsiuk - Wikimedia Commons - CC BY-SA 4.0

La Repubblica di Belarus (nome internazionale con cui la Bielorussia è stata riconosciuta dalle Nazioni Unite dopo la dissoluzione dell’URSS) non è un Paese solitamente sotto i riflettori del palcoscenico internazionale. Forse perché – come introdotto dal nostro precedente articolo sulla storia di questo Stato al centro dell’Europadal 1994 il regno senza fine di Aleksandr Lukašenko non ha lasciato grande spazio alla libera circolazione delle informazioni dentro e fuori Belarus.

Un mandato lungo 25 anni

Dalla prima elezione democratica della Repubblica di Belarus, Lukašenko è attualmente al suo quinto mandato come Presidente. In questi quasi 25 anni, è stato capace di costruire un regime autoritario in cui l’esercizio dei diritti civili e politici dei cittadini è considerato alla stregua di una minaccia alla “stabilità sociale”, e quindi costantemente ostacolato in tutti i modi possibili. Lukašenko, infatti, è stato in grado di assicurarsi il pieno potere esecutivo – che gli permette di emanare decreti e ordinanze con un’efficacia giuridica superiore a quella delle leggi adottate dal Parlamento – oltre ad un vastissimo potere discrezionale nel nominare giudici e riorganizzare tribunali.

Le sempre più evidenti carenze del procedimento elettorale bielorusso vanno di pari passo con la naturale tendenza del cosiddetto “ultimo dittatore d’Europa” a reprimere ogni opposizione politica attraverso mezzi intimidatori e violenti. Come è avvenuto il 25 marzo 2017 – tradizionalmente, la “Giornata della Libertà” in cui si celebra la proclamazione della brevissima Repubblica Popolare Bielorussa del 1918-19 – quando centinaia di persone sono state malmenate e arrestate dalla polizia per aver cercato di manifestare il proprio dissenso a Minsk, Brest e Grodno. Quest’anno la ricorrenza è stata di nuovo un plateale esempio dell’autoritarismo bielorusso, anche se i manifestanti arrestati nella capitale questa volta sono stati “solo” qualche decina.

Di seguito, quindi, illustreremo l’attuale situazione normativa vigente nella Repubblica di Belarus rispetto a tre diritti umani fondamentali, come la libertà d’espressione, di associazione e di riunione pacifica dei cittadini.

Libertà di espressione

Fin dalla sua adozione nel giugno 2008, la Legge sui Mass Media (N° 427-Z) non ha reso la vita facile ai giornalisti in Belarus – ai freelance che lavorano per media esteri in particolare. Stabilendo, infatti, che un giornalista che lavora per un organo di informazione straniero sia da considerare tale solo quando opera sotto contratto, la legge finisce automaticamente per escludere i freelance dalla definizione e, quindi , dall’accreditamento da parte del Ministero degli Affari Esteri bielorusso. Inoltre, è espressamente contro la legge (art. 35) che un organo di informazione estero conduca attività giornalistiche senza le credenziali ufficiali: fin dal 2014, l’articolo 22.9 del Codice dei Reati Amministrativi prevede la responsabilità amministrativa per questi casi di “produzione e distribuzione illegale di prodotti mediali”. Le multe sono lo strumento prediletto dalle autorità per scoraggiare giornalisti e freelance, ma anche metodi più “invasivi” – come perquisizioni e detenzioni arbitrarie – non sono disdegnati, alle volte, dalle forze dell’ordine.

Quest’anno, poi, dei nuovi emendamenti sono spuntati all’orizzonte – approvati in via definitiva il 14 giugno 2018 – per limitare ulteriormente la libertà di espressione e informazione di tutti i cittadini. Per la prima volta, è stata infatti introdotta la regolamentazione dei media online:

Il sistema di repressione ciclicamente messo in atto dalle autorità contro coloro che cercano di esprimere un’opinione diversa dalla linea ufficiale è ben esemplificato dalla detenzione arbitraria di decine di manifestanti nella “Giornata della Libertà” del marzo scorso, fra cui spiccano giornalisti e attivisti politici. Anche se l’anno peggiore per il giornalismo indipendente (almeno nel periodo post-2010) è stato il 2017: i casi di detenzione a breve termine di giornalisti fermati mentre erano intenti a svolgere il proprio lavoro sono stati 101, a fronte dei 13 registrati nel 2016. Perfino l’espressione artistica indipendente viene considerata dal regime come una minaccia ed è stata quindi posta sotto uno stretto controllo che ha condotto spesso alla violazione dei diritti culturali dei cittadini bielorussi.

Libertà di associazione

Nella Repubblica di Belarus, il diritto di associarsi è riconosciuto all’art. 36 della Costituzione. Tuttavia, l’istituzione di associazioni della società civile è fortemente limitata dalle disposizioni dell’art. 7 del “Civil Society Associations Act”, il quale – equiparando arbitrariamente l’attività di tutte le organizzazioni non-governative non registrate (ONG) alla propaganda che incita alla guerra e all’estremismo – dà pieni poteri al Ministro della Giustizia di limitare gravemente il reale esercizio della libertà di associazione.

Per evitare qualsiasi minaccia alla “stabilità” del Paese, infatti, le autorità hanno istituito un sistema burocratico (politicamente indirizzato) per la registrazione di qualsiasi ente. Peccato solo che il processo sia talmente complicato e poco trasparente, che molte ONG desistono dall’intraprenderlo. Inutile dire che, da diversi anni, non risultano registrate né nuove associazioni connesse ai diritti umani, né tantomeno nuovi partiti politici.

Ne consegue che la maggior parte delle ONG bielorusse operano senza essere registrate, e quindi illegalmente: un crimine che – secondo l’emendamento applicato all’art. 193 del Codice Penale di Belarus nel 2006 – può essere punito con la reclusione fino a 2 anni. Dalla sua entrata in vigore, migliaia di cittadini bielorussi sono diventati dei criminali e i servizi segreti bielorussi si sono visti fornire una giustificazione “legale” perfetta per la repressione politica degli attivisti per i diritti umani e altri oppositori del regime. Non sorprende che, dal 2006, nessun caso giudiziario in cui sia stato applicato l’art. 193.1 si sia risolto a favore dell’imputato.

Negli ultimi anni, le organizzazioni dei diritti umani bielorusse hanno ripetutamente chiesto al parlamento di rimuovere l’art. 193.1 dal Codice Penale, e di iniziare una discussione pubblica con tutte le parti in causa. Proprio quest’anno, il Consiglio dei Ministri ha presentato in parlamento una bozza di legge in cui una delle modifiche principali proposte è proprio quella di annullare l’art. 193.1 e di includere un articolo simile (art. 23.88) nel Codice dei Reati Amministrativi. In questo modo, le attività delle ONG verrebbero decriminalizzate e la responsabilità penale verrebbe sostituita con una multa.

Libertà di riunione pacifica

Le già citate proteste di marzo 2017 e marzo 2018 hanno comprovato la propensione delle autorità a sopprimere le riunioni pacifiche di cittadini con un approccio repressivo e violento. Le detenzioni preventive dei sospetti leader dei movimenti di protesta, poi, non sono mancate in entrambe le occasioni. Ad esempio, Mikalai Statkevich – celebre avversario politico di Lukašenko, già detenuto in carcere dal post-elezione del 2010 fino al 2015 – è stato arrestato davanti casa il 25 marzo 2018, mentre cercava di recarsi alla manifestazione di Minsk. Durante i raduni pubblici, non è raro che poliziotti in borghese arrestino i partecipanti in maniera mirata, ma senza alcun pretesto legale.

Non sorprenderà troppo, a questo punto, scoprire che nella Repubblica di Belarus la procedura per ottenere l’autorizzazione per riunioni pubbliche pacifiche è complicata tanto quanto quella per registrare un’associazione. Gli ostacoli sono imprevedibili: è facile che le autorità finiscano con imporre un cambio di spazio che renderebbe la manifestazione totalmente priva di significato, o che avanzino obiezioni su dettagli insignificanti per negare il permesso allo svolgimento dell’evento.

Molto similmente all’art. 193 del Codice Penale, gli articoli 23-24 del Codice dei Reati Amministrativi stabilisce pene fino a 15 giorni di carcere e multe da 5 a 500 euro (e lo stipendio medio bielorusso si aggira intorno ai 200 euro) per chiunque organizzi, partecipi o dia copertura mediatica a una riunione pubblica non autorizzata. Gli emendamenti recentemente approvati a proposito della Legge sugli Eventi di Massa (N° 114-Z, già emendata nel 2015), che avrebbero dovuto “estremamente liberalizzare” la normativa, hanno sostanzialmente fallito nell’intento. La situazione della libertà di assemblea in Belarus rimane pressappoco immutata.

Diritti umani: una questione ancora aperta

Ad oggi, grazie al freno posto alle proteste della società civile e al persistere della debolezza dell’opposizione, il governo di Lukašenko è libero quindi di continuare le sue politiche di “tiepida liberalizzazione” di facciata, mentre altre riforme politiche molto più urgenti e necessarie alla garanzia delle libertà fondamentali dell’individuo – come, ad esempio, la revisione del sistema elettorale e l’ampliamento dello spazio di competizione politica – sono scongiurate. Nonostante le numerose sanzioni e raccomandazioni poste dalla comunità internazionale (come già introdotto nel nostro precedente articolo), le autorità statali si ostinano a ignorare l’esistenza stessa della questione “diritti umani”. Non dimentichiamo che Belarus è l’unico Stato d’Europa in cui vige ancora la pena di morte, eseguita tramite colpo di pistola alla nuca, applicata peraltro fino allo scorso anno.

L’obiettivo principale di Lukašenko, ora che i rapporti con Mosca si stanno deteriorando, sembra essere quello di ingraziarsi l’Occidente (e possibilmente ottenere anche il suo supporto economico), cercando di scrollarsi di dosso l’immagine da “ultimo dittatore d’Europa”. Non è una coincidenza, infatti, che dal 2015 la misura repressiva preferita dal sistema giudiziario bielorusso per perseguire società civile e attivisti sia quella di imporre multe, piuttosto che fare prigionieri politici.

In un contesto normativo così ostile e restrittivo, le ONG bielorusse stanno dimostrando un’incredibile capacità di resilienza davanti ai numerosi tentativi delle autorità di ostacolare il loro operato – tentativi che, guarda caso, si fanno più frequenti nei periodi pre e post elezioni presidenziali. Grazie alle nuove tecnologie, in particolare, la società civile è riuscita, negli ultimi anni, a organizzare una vasta gamma di iniziative, come ad esempio la campagna social di raccolta fondi “BY_Help” per aiutare le famiglie dei manifestanti imprigionati e multati durante le proteste di marzo 2017 a coprire le spese legali (riuscendo a raccogliere in pochi mesi quasi 50’000 euro da ogni parte del mondo).

 

Fonti e approfondimenti

Report of the Special Rapporteur on the situation of human rights in Belarus, Human Rights Council, 38th session

Monitoring Right to Free Assembly, Belarus Country Report 2016-2017

Veranika Laputska (in cooperation with Łukasz Wenerski), The condition of NGOs and civil society in Belarus, Bertelsmann Stiftung, Policy Brief, 07.2017

BAJ (Belarusian Association of Journalists) MEDIA WATCH, Article 22.9 of the Code of Administrative Violations

BAJ MEDIA WATCH, BAJ Sent Its Comments on the Amendments to the Law on Mass Media to the Parliament

BELSAT, “Legislative amendments further restrict media in Belarus”, 18/06/18

BELSAT, “Economic expert: factual average salary in Belarus $ 200″, 27/05/17

Euronews, “Bielorussia, dove due gioventù vivono fianco a fianco”, 06/04/18

BBC News, “Belarus: the secret executions in Europe’s “last dictatorship””, 15/05/18

 

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