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La questione di genere in Bielorussia: cosa c’è oltre le statistiche?

donne Bielorussia

@Sergei Degtyarev - Pexels - Pexels License

A livello di numeri e statistiche, le donne della Bielorussia sembrano non passarsela poi così male rispetto ad altri Paesi dell’Europa orientale, e non solo. Nel Global Gender Gap Index del 2017, la Bielorussia si trova al 26° posto su 144 Paesi, in una posizione più alta di quella di Australia e Paesi Bassi.

Non ci sono disparità di genere nell’educazione primaria e secondaria, anzi, le donne sono più propense degli uomini a intraprendere l’educazione terziaria: nel 2016, il 56,1 % delle bielorusse – contro il 43,9 % della controparte maschile – possedeva un’istruzione universitaria. Inoltre, il livello di partecipazione all’economia della forza lavoro femminile si mantiene relativamente alto e stabile dal 2000 (circa il 52 % delle donne sopra i 15 anni).

Anche la rappresentazione politica femminile ha visto dei sostanziosi progressi negli ultimi decenni: alle elezioni locali di febbraio scorso, il 48,2 % dei nuovi eletti era composto da donne, così come il 34% dei deputati attualmente presenti nel parlamento nazionale (e la media mondiale si attesta intorno al 22,9 %).

Un modello di società patriarcale

Eppure, queste donne bielorusse colte e ambiziose, che cercano di realizzarsi professionalmente e di contribuire allo sviluppo e all’economia del proprio Paese, si trovano molto spesso a scontrarsi con una mentalità ancorata a modelli di genere tradizionali di impronta patriarcale.

Solo un paio di anni fa, per esempio, la presidente della Commissione Elettorale Centrale (CEC) bielorussa Lidia Yermoshina affermava che “le donne sono apolitiche per natura. Secondo il suo punto di vista, le donne avrebbero bisogno di tenersi impegnate in attività come la vita coniugale, la cucina e il cucito, non in questioni “astratte” come la vita pubblica. D’altronde, la stessa Yermoshina preferisce definirsi come “dipendente pubblica” piuttosto che “politica”, e di dichiarazioni di questo genere ne ha fatte molte altre. Come quando ha definito le donne che non pensano al matrimonio come “anormali” e “disumane”, dal momento che creare una famiglia e occuparsi dei figli fa parte della “mentalità femminile”; oppure, quando ha espresso la propria antipatia verso il movimento femminista, sostenendo di essere stata in grado di raggiungere il proprio ruolo all’interno della CEC solo grazie al comunismo.

Proprio durante il periodo sovietico, nell’attuale Bielorussia, sono state avviate le prime politiche di emancipazione femminile. Grazie al comunismo, infatti, ebbe inizio la “femminilizzazione” dei settori a basso reddito dell’economia nazionale, oltre che la distribuzione di sussidi e agevolazioni alle donne, e venne fondato il Comitato Bielorusso delle Donne Sovietiche. Le bielorusse ebbero così accesso, per la prima volta, all’istruzione e alle professioni di prestigio, alla sanità pubblica (diritto di aborto incluso) e ai servizi per l’infanzia.  Tuttavia, già all’epoca, non c’era nessuna vera intenzione di sfidare il modello sociale patriarcale vigente: più che a difendere i diritti e gli interessi delle donne, il partito comunista mirava a salvaguardare la costruzione del proprio regime, strumentalizzando la questione femminile.

Nella società bielorussa, infatti, le tradizionali divisioni di genere fra donna come “moglie, madre, e casalinga” e uomo come “capofamiglia” forte e impegnato nella vita pubblica sono tuttora ben radicate nell’immaginario collettivo. Media, sistema educativo, e politica contribuiscono al perpetuarsi di questi stereotipi. Lo stesso presidente Aljaksandr Lukashenko non sembra attribuire grande importanza all’implementazione delle politiche di genere, avendo recentemente rigettato la prospettiva di una bozza di legge per criminalizzare la violenza domestica – etichettandola come “nonsense occidentale”.

In Bielorussia, la priorità delle politiche di educazione di genere sembra essere ancora quella di preservare l’istituto della famiglia e di integrare la definizione di ruoli e abilità di donne e uomini in base a qualità “innate” legate al sesso biologico.

La discriminazione economica  

La discriminazione sostanziale delle donne bielorusse è giunta così fino ai giorni nostri, soprattutto in ambito economico, sotto forma di “doppio carico” di lavoro dentro e fuori le mura domestiche. In diversi studi sociologici, le donne lavoratrici bielorusse hanno affermato di spendere il doppio del tempo nella cura della casa e della famiglia rispetto ai propri compagni (81,5% nel 2013); e sono loro le prime, nelle coppie con figli, a scegliere di lavorare part-time.

Un alto livello d’istruzione, inoltre, non garantisce automaticamente alle donne le stesse opportunità degli uomini nel mercato del lavoro: in Bielorussia, la maggior parte delle donne è impiegata in settori economici mal retribuiti e considerati poco prestigiosi, come quelli pubblici della sanità e dell’educazione. A parità di posizione, rispetto agli uomini, le bielorusse ad oggi vengono pagate circa il 25 % in meno – divario aumentato rispetto al 2001, quando era “solo” del 19%.

In qualsiasi ambito lavorativo, poi, il cosiddetto “soffitto di cristallo” rimane ben presente: sono poche le donne che raggiungono i vertici e le posizioni dirigenziali – che si tratti di aziende, uffici pubblici o cariche accademiche.

La discriminazione politica

Non ci sono barriere legali all’equa partecipazione delle donne alla vita pubblica della Bielorussia. Anzi, come sopracitato, le donne bielorusse non sono assenti dalla scena politica. Tuttavia, il loro numero resta relativamente basso, così come la loro posizione nella scala gerarchica. In varie occasioni, il Comitato ONU per l’Eliminazione della Discriminazione contro le Donne (CEDAW) ha espresso profonda preoccupazione, non solo per il fatto che le donne bielorusse siano sottorappresentate ai vertici di governo, giudiziari e diplomatici, ma anche per la generale assenza della questione dell’uguaglianza di genere dai programmi elettorali di pressoché tutti i candidati politici del Paese, maschi e femmine.

Per le autorità, infatti, le politiche di genere rivestono una priorità talmente bassa che, anche quando vengono preposte delle apposite istituzioni pubbliche (come il Consiglio Nazionale per la Politica di Genere, creato nel 2000), queste si rivelano poco attive e inefficaci.

Il regime autoritario di Lukashenko, d’altra parte, lascia poco spazio alle opportunità di influenzare i processi di decisione politica. Ad oggi, UE e OSCE non hanno riconosciuto come legittimi nessuno dei risultati elettorali raggiunti dal 1996 (pesanti accuse di falsificazione e frode sono peraltro state mosse contro la CEC, e Yermoshina in particolare). Proprio a causa della sua forte dipendenza dall’amministrazione del presidente, il parlamento non può essere considerato un organo legislativo a pieno titolo: in questo senso, il 34% delle deputate attualmente presenti a livello nazionale sarebbe quindi un prodotto più della volontà di Lukashenko che dei cittadini bielorussi.

Nel 2014, l’OEEC (Office for European Expertise and Communications) di Minsk ha rilevato che l’86,6% dei bielorussi considerava la mancanza di rappresentanza delle donne in politica come naturale ordine delle cose, in quanto necessaria conseguenza del ruolo primario rivestito dalle donne come mogli e madri.

Il primo (e unico) partito politico delle donne nato nel 1994, Nadzeja, è stato soppresso dalla Corte Suprema bielorussa nel 2007.

Un movimento femminile, ma non femminista

Secondo un sondaggio condotto nel 2012, all’interno della Comunità degli Stati Indipendenti (composta da 9 delle 15 ex-Repubbliche Socialiste Sovietiche) la Bielorussia è in assoluto il Paese con il minor livello di tolleranza verso le idee femministe: solo il 4% delle donne e il 6% degli uomini si sono dichiarati a favore. Anche i politici, che siano sostenitori del governo o dell’opposizione, ne prendono pubblicamente le distanze. Alyona Alkhovka, direttrice dell’Associazione Internazionale per la Prospettiva di Genere, riconduce questa attitudine dei bielorussi a un’interpretazione distorta dell’assunto portante del femminismo, ossia la distinzione tra sesso biologico e ruolo socialmente costruito dei generi.

Tuttavia, ciò non significa che non esista un movimento femminile nella società bielorussa, anche se ancora estremamente frammentato, debole e inefficace. Anzi, nel settore di genere le organizzazioni della società civile sono le più proattive: la loro influenza sull’opinione pubblica è ancora limitata – le ONG di donne registrate nel Paese sono circa una trentina, meno dell’1,5 % del totale – ma sono le uniche a farsi portatrici di valori di uguaglianza di genere, e a cercare di sollecitare lo Stato a mantenere gli impegni presi in questo ambito. Nel febbraio del 2017, per esempio, il Consiglio dei Ministri bielorusso ha firmato l’ennesimo piano d’azione nazionale per l’uguaglianza di genere (il quinto dal 2000), l’ultimo di una lunga serie mai giunta ad un’implementazione reale.

Tenendo a mente il difficile contesto legislativo in cui si muovono in generale le ONG bielorusse, si può comprendere come le organizzazioni femminili finiscano per essere fortemente penalizzate dal regime di Lukashenko. Le organizzazioni non-governative create e controllate dal governo (cosiddette GONGO) riescono facilmente a prevalere anche in questo campo: fra di esse, figura l’erede del Comitato delle Donne Sovietiche, ossia l’Unione Bielorussa delle Donne che dal 1991 raccoglie ormai più di 170,000 iscritte. La sua funzione principale, infatti, è quella di aiutare il regime a monopolizzare il settore, promuovendo valori familiari tradizionali in cambio di generose sovvenzioni statali.

Per questo motivo, negli ultimi anni sono fiorite online numerose iniziative non registrate a sostegno dei diritti delle donne (e del femminismo) – come MakeOut, Zdolnaya, Gender Route and HerRights. Tutti progetti che aprono nuove strade alla lotta per la parità di genere, ma che rimangono caratterizzati da una bassa popolarità e numerose restrizioni legali.

Tuttavia, quello che manca veramente in Bielorussia è un approccio integrato alla questione femminile da parte di Stato, società, media e attivisti, che aiuti cittadine e cittadini a comprendere la connessione presente fra stereotipi di genere e diseguaglianza. Servono cambiamenti fondamentali alla base della struttura stessa delle relazioni sociali – e questo non solo in Bielorussia, ma anche nel resto del mondo.

 

Fonti e approfondimenti

BELTA (Belarusian Telegraph Agency), “Lukashenko lambastes new domestic violence bille”“Lukashenko lambastes new domestic violence bille”, 05/10/18

The Borgen Project, “Girls’ education in Belarus: equal education is not equal opportunity”, 16/09/18

World Bank Blogs, “Has Belarus really succeeded in pursuing gender equality?”, Eurasian Perspectives, 07/08/18

BELTA (Belarusian Telegraph Agency), “Belarus’ local elections: Almost half of new councilors are women”, 21/02/18

Belarus Digest, “Women’s activism in Belarus: towards the real gender equality”, 08/03/17

Belarus Digest, “Feminism in Belarus: present but unpopular”, 07/12/16

Journal Dipservice, p. 70-79, 08/07/16

Office for European Expertise and Communications, Analysis of the Gender Sector in Belarus, 2014

The World Bank, Belarus: Country Gender Profile, Poverty Reduction and Economic Management Unit – Europe and Central Asia Region, 2014

East-European School of Political Studies, Participation of Women in Public and Political Life – Belarus, Country report, 2013

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