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Spazio & Difesa: la postura spaziale russa

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Lo spazio ha sempre ricoperto un ruolo di primo piano nelle necessità strategiche della Russia. Grande pioniera delle esplorazioni spaziali con la messa in orbita nel 1957 del primo satellite artificiale (lo Sputnik 1), Mosca ha mantenuto  un notevole, sebbene ridotto, prestigio nel settore anche in seguito al crollo dell’Unione Sovietica.

La Russia, con ben 146 infrastrutture operative, è tuttora la terza potenza mondiale in fatto di satelliti in orbita (Cina e Stati Uniti ne posseggono rispettivamente 250 e 859 – dati Aprile del 2018), mentre una certa competitività tecnologica è mantenuta anche per quanto riguarda le capacità di lancio. Se si prende invece in considerazione esclusivamente il numero di satelliti militari attivi, la Federazione Russa scavalca addirittura la Cina nella classifica, divenendo seconda solo agli americani.

In tale contesto, il Cremlino considera, al pari di Washington e Beijing, lo spazio come un dominio strategico di fondamentale importanza per le necessità di sicurezza del Paese. Agli occhi di Mosca, il proprio hardware satellitare costituisce uno strumento per incrementare le proprie capacità militari sulla terra, garantire la raccolta d’informazioni d’intelligence e servizi di comunicazione, nonché un mezzo per aumentare il prestigio internazionale e scientifico della Federazione Russa.

Le attività di Mosca nell’orbita terrestre vanno dunque a riconnettersi con le più vaste concezioni geopolitiche della Russia e con il tradizionale complesso di accerchiamento del Paese. La Russia, sin da epoca Zarista, si considera circondata da rivali e Stati ostili; ne deriva la necessità di costruire una forte sfera d’influenza oltre i sui confini per garantire la sicurezza del proprio territorio. In quest’ottica, anche lo spazio si trasforma in un terreno di confronto con i rivali geostrategici (primo tra tutti gli Stati Uniti) in cui Mosca è spinta ad assumere una posizione difensiva.

I documenti ufficiali che più riflettono le preoccupazioni della Russia per quanto riguarda le attività degli Stati Uniti nello spazio, sono le Dottrine Militari del 2010 e del 2014. Entrambi i documenti evidenziano quanto il Cremlino reputi la possibilità che gli Stati Uniti mettano in orbita sistemi di difesa antimissilistica o anche armi convenzionali capaci di condurre attacchi strategici di precisione, come una minaccia reale alla sicurezza del Paese. Tale eventualità metterebbe in pericolo le forze nucleari russe, riducendo l’efficacia e la credibilità del deterrente atomico di Mosca.

Di fatto, il Cremlino considera il proprio arsenale nucleare come la colonna portante del suo prestigio militare e già in passato aveva protestato a gran voce contro lo sviluppo e il dispiegamento sulla terra da parte di Washigton di sistemi antibalisitici avanzati come i THAAD (Terminal High Altitude Area Defense). Questi sistemi (sebbene non del tutto efficaci) rappresentano una minaccia potenziale per la Russia, in quanto capaci di intercettare i vettori nemici durante la fase di lancio, riducendo in tal modo l’efficacia di un eventuale attacco missilistico russo contro gli Stati Uniti.

Tenendo conto di ciò, un eventuale dispiegamento in orbita di sistemi antibalistici o anche di armamenti convenzionali capaci di colpire e neutralizzare dallo spazio le basi nucleari russe, costituirebbe una provocazione inaccettabile per Mosca. Non a caso Putin ha avviato un processo di riarmo volto a incrementare l’efficacia del proprio deterrente nucleare. Emblematici di questa nuova corsa agli armamenti sono i nuovi vettori presentati dal Presidente nel Marzo del 2018, durante il suo discorso sullo Stato della nazione.

Inoltre, non bisogna trascurare che il programma spaziale russo, sebbene ancora tra i più avanzati al mondo, sta sperimentando un lento declino iniziato col crollo dell’Unione Sovietica. Lo scorso luglio, lo scienziato Viktor Kudryavtsev è stato arrestato dall’FSB (i servizi segreti federali) per aver passato diverse informazioni sullo sviluppo di un missile ipersonico ad un membro della NATO. Diverse altre indagini sui collaboratori dello stesso Kudryavtsev sono al momento in corso, a dimostrazione che il problema della fuga d’ informazioni potrebbe essere ben più ampio.

Un’altra grande sfida è invece costituita dalla riduzione del budget allocato per il programma spaziale. In seguito all’occupazione della Crimea nel 2014, le sanzioni economiche applicate da Stati Uniti e UE, hanno portato Mosca a dover effettuare diversi tagli alla ricerca nel settore. Tali sanzioni hanno anche bloccato l’esportazione di tecnologie e componenti da parte degli Stati Europei, dai quali la Russai in parte dipende per le sue attività in orbita.

Ma i punti deboli della postura spaziale russa  non si fermano al budget ridotto e al doppiogiochismo degli scienziati. Diverse difficoltà sono state riscontrate anche nell’efficacia dei sistemi di comunicazione e informazione del Cremlino nel corso della guerra in Georgia del 2008. Il conflitto mise in evidenza l’incapacità delle infrastrutture satellitari russe di raccogliere intelligence e di coordinare efficientemente le forze schierate in campo.

Tali carenze hanno portato il Cremlino ad attivarsi per meglio incorporare le proprie infrastrutture spaziali con le forze armate. In questa direzione, la Russia sta costantemente migliorando il proprio sistema di navigazione globale, il GLONASS (Global Navigation Systems), ossia l’equivalente del GPS americano o del Beidou cinese.

Diverse iniziative sono state intraprese anche a livello di riorganizzazione delle forze armate. Infatti, al contrario degli Stati Uniti, i quali sono ormai in procinto di creare un nuovo ramo indipendente della propria macchina bellica, ossia la Space Force, la Russia sta procedendo in direzione opposta con l’incorporamento delle proprie forze spaziali nell’aeronautica militare. In seguito al crollo dell’Unione Sovietica, Mosca aveva provveduto alla creazione di un corpo separato dalle altre forze armate, al quale vennero demandate tutte le funzioni concernenti le attività in orbita. Tuttavia, nel 2015, anche prendendo esempio dalle operazioni militari americane in Iraq e Afghanistan, il Cremlino ha preso la decisione di integrare le forze spaziali russe nell’aeronautica militare, dando vita a ciò che ora ha il nome di Forza Aerospaziale Russa (VKS).

La postura spaziale di Mosca, in virtù degli attuali limiti in termini di risorse economiche e tecnologiche, si configura come difensiva e caratterizzata dall’adozione di tattiche asimmetriche per contrastare la superiorità statunitense in orbita. Il Cremlino preferisce quindi dare priorità allo sviluppo di tecnologie cyber finalizzate ad intaccare e danneggiare i satelliti avversari, piuttosto che a vere e proprie armi distruttive. Al contrario di Cina e Stati Uniti, i quali hanno dimostrato con dei test rispettivamente nel 2007 e 2008 di poter mettere in campo missili antisatellite (Anti Satellite weapons – ASAT), la Russia, pur avendo potenzialmente le medesime capacità tecnologiche, predilige un approccio più celato.

L’esempio più emblematico di questa tattica è il posizionamento in orbita di hardware in grado di riparare e sostituire i pezzi degli altri satelliti. Come denunciato lo scorso agosto nel corso di una conferenza sul disarmo tenutasi a Ginevra dall’inviato americano Yleem Poblete, tali infrastrutture costituiscono in realtà una minaccia per i satelliti USA, in quanto, le stesse dichiarate funzioni di riparazione possono all’occorrenza essere impiegate per danneggiare l’hardware americano in orbita. Ovviamente, Mosca ha smentito quanto dichiarato dall’inviato USA, ma le argomentazioni di Poblete non sembrano del tutto implausibili in un eventuale scenario di confronto diretto tra le due potenze.

Altro comportamento ambiguo di Mosca in tema spazio è il suo costante impegno diplomatico in seno ai fora internazionali esistenti  per prevenire il posizionamento di armi strategiche e difese antibalistiche nello spazio. Come già trattato, la Russia considera il dispiegamento di armi di distruzione di massa (Weapons of Mass Destruction – WMD) e di sistemi antimissilistici in orbita come una minaccia reale alla propria sicurezza. In particolare, la decisione degli USA di denunciare il Trattato anti missili balistici nel 2002 (Anti Ballisitic Missile Treaty) ha determinato un aumento dell’impegno russo per prevenire il piazzamento di tali sistemi nello spazio.

Nel 2008, Russia e Cina hanno presentato alla Conferenza sul Disarmo una prima bozza per un accordo finalizzato a prevenire l’allocazione di un qualsiasi tipo di arma in orbita (Prevention of the Placement of Weapons in Outer Space and the Threat or Use of Force Against Outer Space Objects’ – PPWT)  a complemento di quanto già previsto dall’Outer Space Treaty del 1967, il quale prende in considerazione esclusivamente armi di distruzione di massa. Tale iniziativa è stata bloccata dagli altri membri della Conferenza sul Disarmo in quanto non contemplava l’introduzione di meccanismi di controllo. Nel 2014 i due Paesi effettuarono un altro tentativo, anche questa volta con scarsi risultati.

In fine, nel 2015 Mosca ha presentato all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite una risoluzione con scopi simili, denominata appunto ‘no first placement of weapons in outer space’. Tale iniziativa ha trovato la forte opposizione di Washington, ovviamente in una posizione di vantaggio tecnologico ed economico, mentre solamente il Venezuela ha firmato il documento nel 2016.

Mentre Cina e USA si lanciano in una corsa allo spazio senza precedenti, la Russia sembra invece adottare un approccio più prudente, volto per lo più a contenere la colonizzazione spaziale dei suoi rivali. Tale dottrina si concretizza tramite l’utilizzo di tattiche ‘ibride’, in cui il mal celato sviluppo di cyberarmi e  hardware satellitari volti a danneggiare le infrastrutture avversarie in orbita, si affianca ad una costante azione diplomatica di Mosca  per regolarizzare e frenare le attività spaziali di USA e Cina.

 

Fonti e approfondimenti:

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