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Il personaggio dell’anno dell’UE: Federica Mogherini

Federica Mogherini. Fonte: EU2017EE Estonian Presidency_Flickr

Federica Mogherini ha vinto il la sfida come personaggio dell’anno dell’UE, strappando la vittoria a Michel Barnier. Ad un anno dalla fine del suo mandato, l’Alto Rappresentante è ancora una figura chiave nel panorama istituzionale europeo.

L’inizio

Classe 1973, romana, una laurea alla Sapienza incentrata sull’Islam politico e una storia politica nella sinistra post-comunista italiana. Queste erano tra le caratteristiche principali elencate a metà 2014 per descrivere Federica Mogherini, quando la sua candidatura come nuovo Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri e la Politica di Difesa cominciava a divenire realistica. Alla descrizione si aggiungevano poi altri dettagli, fondamentali in quel momento per assumere il ruolo: donna, socialista e proveniente dall’Europa meridionale. La composizione politica all’interno dell’Unione e della Commissione nel 2014 rendeva la Mogherini la candidata perfetta.

Ciononostante, il tema ricorrente quattro anni fa era quello dell’inesperienza. A soli 41 anni, la candidata a nuovo “Ministro degli Esteri Europeo” poteva vantare, come esperienza governativa, soltanto otto mesi in qualità di capo della Farnesina sotto il governo Renzi. In molti notavano il ruolo fondamentale esercitato nel promuoverla dal neo-PM italiano, allora in piena ascesa politica e forte dal 41% ottenuto alle elezioni europee. C’era chi sottolineava come la candidatura della Mogherini fosse una sorta di slogan politico renziano in Europa e chi invece osservava come ciò fosse un modo per legittimare la giovane età di Renzi stesso – all’epoca appena trentottenne.

Ad ogni modo, la nomina di Federica Mogherini come Alto Rappresentante è stata accolta con grande scetticismo – il francese Le Monde parlava addirittura di “un giorno triste per l’Europa” – a causa della poca esperienza e delle sue sospettate simpatie per la Russia, retaggio della tradizionale posizione italiana al riguardo.

Oggi, a quasi cinque anni di distanza, la situazione è molto cambiata. La Mogherini è ormai una personalità consolidata e il numero di viaggi compiuti nel corso del suo mandato l’hanno col tempo vista diventare davvero il capo della diplomazia europea. Nonostante questo, il suo tentativo di ridare lustro alla carica di Alto Rappresentante, da molti vista come poco più che simbolica, è riuscito soltanto in parte.

Il compito non era facile, considerate le numerose limitazioni imposte dagli attuali trattati. La politica estera europea è ancora quasi completamente in mano ai singoli Stati membri, tanto  che molti di questi ultimi, a discapito delle critiche, non sono rimasti troppo turbati dalla nomina di Federica Mogherini nel 2014. In quanto personalità politica poco influente e rilevante nel panorama europeo, difficilmente sarebbe stata in grado di imporre una decisa traiettoria europea alla politica estera dell’Unione. Numerosi Stati membri, gelosi della propria autonomia al riguardo, trovavano la Mogherini preferibile a figure di più alto rango e spessore politico – come lo era stato ad esempio Javier Solana in passato.

La Strategia Globale dell’Unione Europea

Proprio da quest’ultimo, Federica Mogherini ha lavorato per  promuovere, nel 2016, la Strategia Globale dell’Unione Europea. Tale documento rappresenta la diretta continuazione della Strategia di Sicurezza Europea, approvata da Solana nell’ormai lontano 2003, e ne aggiorna le priorità, adattandole al nuovo contesto europeo.

Sviluppato quasi in segreto, per non influenzare con le proprie proposte il dibattito sulla Brexit che si svolgeva in quei mesi, la Strategia Globale aveva lo scopo non dichiarato di aumentare le competenze e le possibilità operative per l’Unione in campo geopolitico e strategico. Il modo migliore per affrontare le sfide che il blocco si preparava allora ad affrontare – la crisi ucraina in Crimea, la creazione di una “cintura di sicurezza” nel vicinato mediterraneo e orientale, il processo di allargamento nei Balcani, la crisi migratoria e quella siriana, il cyberterrorismo, eccetera – sarebbe stato quello di dotare l’Unione di più strumenti.

Strumenti spesso di natura militare, che spiegano il timore di rendere più probabile la Brexit: a Londra qualunque accenno a un esercito europeo non è mai stato visto di buon occhio. La Strategia prevede la rimozione agli ostacoli per la creazione di forze armate europee, una maggiore coordinazione negli investimenti in materia di difesa, la creazione di unità a risposta rapida e la possibilità per gli stati membri che lo desiderino di approfondire la cooperazione militare. Concetto, quest’ultimo, incarnatosi nella PESCO (Permanent Structured Cooperation), previsto sin dal Trattato di Lisbona ma rilanciato sotto il mandato Mogherini.

Un progetto ambizioso ma per ora poco efficace nella pratica, criticato per la sua troppa inclusività: venticinque Stati su ventisette ne fanno parte, inclusi alcuni, come la Polonia, cui vi hanno aderito soltanto per rallentarne il processo decisionale. Il consolidarsi della PESCO è stato permesso dal concretizzarsi della Brexit e dall’elezione negli Stati Uniti di Donald Trump, che hanno convinto diversi Stati europei ad approfondire il discorso sulla cooperazione militare.

Critiche e lodi

La Strategia Globale Europea sarà probabilmente l’eredità principale lasciata dalla Mogherini. Ma l’Alto Rappresentante è stato molto attivo in diversi altri campi. In particolare, ha gestito tra numerose critiche la crisi ucraina, che continua a protrarsi tutt’oggi. All’inizio del suo mandato, nel 2014, era stata criticata per la sua posizione troppo morbida – in linea con quella tradizionale italiana – e in seguito a causa del suo scarso coinvolgimento nella strada che ha portato agli accordi di Minsk. I leader dell’Europa Centro-Orientale si erano mostrati particolarmente critici nei confronti di questo atteggiamento. Oggi, benché l’Unione abbia fatto ben poco al riguardo, la posizione è più dura: la Mogherini ha recentemente dichiarato che l’Unione supporta la piena integrità territoriale ucraina e ritiene illegali le elezioni organizzate dalle autorità russe in Donbass.

L’altro grande palcoscenico nel quale la Mogherini ha agito è stato quello mediorientale. Ha giocato un ruolo relativamente subordinato nella gestione dell’intervento occidentale in Siria, teatro di una realpolitik che ancora non appartiene al DNA europeo. Dove invece è stata in grado di lasciare un segno importante è stato in Iran, nella negoziazione e poi firma del Piano d’Azione Congiunto Globale, più noto come accordo sul nucleare iraniano. Qui, l’Alto Rappresentante si è rivelato particolarmente importante per l’effettiva chiusura delle negoziazioni, riuscendo a presentare una posizione europea unita. Tale posizione è rimasta comune, perlomeno sulla carta, anche con il naufragare dell’accordo da parte americana. La decisione unilaterale di Trump di vanificare gli sforzi fatti fino a quel momento e di reimporre le vecchie sanzioni su Teheran è troppo recente per poterne percepire davvero gli effetti. L’Unione, però, ha dichiarato di essere intenzionata a vedere l’Iran deal sopravvivere: bisognerà vedere se sarà in grado di mantenere le condizioni tali da permettere alle imprese europee di investire nella zona e aggirare le sanzioni statunitensi. Al riguardo, la Mogherini ha formalmente annunciato che verrà istituito uno strumento finanziario, dalle caratteristiche ancora poco chiare, precisamente con questo scopo.

La Mogherini ha avuto modo di intervenire in gran parte del mondo: dai Balcani, all’Africa del nord e subsahariana, all’Estremo Oriente. Malgrado i progressi fatti, però, la costante della politica estera dell’Unione è rimasta quasi sempre quella: grandi discorsi e interventi in aree poco sensibili, estrema cautela e poca azione in zone calde, dove gli interessi contrastanti dei vari Stati membri bloccano l’artificioso processo decisionale del vecchio secondo pilastro.

Poche settimane fa, la Mogherini ha annunciato che non cercherà la riconferma come Alto Rappresentante alla scadenza del suo mandato – che terminerà il prossimo ottobre, come quello di tutta la Commissione a guida Juncker. La sua dichiarazione ha dato il via alle classiche speculazioni su chi potrebbe essere il suo successore, che per ora non vedono grandi favoriti. Quello che è certo è che la carica di Alto Rappresentante ha una funzione simbolica importante. La decisione del 2014 di nominare Federica Mogherini, certamente capace ma inesperta e dal basso profilo politico, ha fatto trapelare la volontà dell’Europa di non approfondire davvero la politica estera e di sicurezza comune. Questo sarà vero anche nel caso del suo successore: gli Stati membri vorranno dare la carica a un personaggio influente e incisivo, in grado di far trasformare davvero l’Alto Rappresentante in un Ministro degli Esteri dell’Unione Europea?

Fonti ed approfondimenti

https://www.politico.eu/list/politico-28-class-of-2017-ranking/federica-mogherini/

https://www.theguardian.com/world/2018/aug/07/eu-foreign-policy-chief-calls-on-firms-to-defy-trump-over-iran

https://www.ft.com/content/ab3d31dc-9c7d-11e8-9702-5946bae86e6d

https://www.politico.eu/article/federica-mogherini-italys-scapegoat/

https://www.politico.eu/article/vladimir-putin-opponents-pile-onto-federica-mogherini-eaststratcom-sandra-kalniete-jakub-janda-estonia-atlantic-council-ben-nimmo-fake-news-russia-putin-europe-foreign-policy/

 

 

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