Lo Spiegone

All’indomani del voto: un nuovo orizzonte per il Parlamento europeo?

di Sara Bianchi e Giovanna Coi

Le elezioni europee 2019 si sono concluse nei 28 Stati membri. Dati provvisori alla mano, è il momento di analizzare i risultati e capire cosa significano per il futuro dell’Unione europea. Cosa ci riservano i prossimi cinque anni? Il rilancio del progetto d’integrazione o il definitivo collasso del progetto europeo?

Partecipazione in crescita: un elettorato più europeista o più consapevole?

Per la prima volta dal 1999, l’affluenza alle elezioni europee ha superato il 50%: un aumento di 8 punti percentuali dal 2014, quando si attestò sotto il 43%. Con i risultati freschi di spoglio, è ancora presto per analizzare le cause di questa inversione di tendenza. Il dato dell’affluenza in sé è limitato e andrebbe letto insieme ai risultati nazionali.

 

Grafica: Lo Spiegone, fonte dati: Parlamento Europeo

 

In generale, la partecipazione è aumentata nella maggioranza degli Stati membri, sia in quelli storici, come Francia e Germania, sia in quelli di più recente ingresso, quali Romania, Ungheria, Polonia e Croazia.

L’aumento dell’affluenza non è correlato necessariamente a una spinta “pro-integrazione” nell’elettorato: un’ipotesi simile è contraddetta dai risultati nazionali, come quello dell’Ungheria, dove il partito euroscettico Fidesz ha ottenuto il 52% dei voti.

Piuttosto, i partiti nazionali si sentono più coinvolti nel dibattito politico europeo – e dunque incentivati a fare campagna elettorale – , e sempre più cittadini percepiscono che il loro voto può fare la differenza sul futuro dell’Unione.

La maggiore partecipazione nei nuovi membri, soprattutto in Europa centrale e orientale, è particolarmente significativa in questo senso, perché potrebbe suggerire un’“europeizzazione” del dibattito politico nazionale. Paesi che fino a questo momento si sono sentiti marginali nell’Unione europea rispetto ai “grandi” (come Francia, Germania, Regno Unito, Italia) iniziano ad avere un ruolo più attivo nel contribuire alle policies e all’orientamento politico dell’UE.

Nuovi equilibri in Parlamento

Le elezioni 2019 hanno decisamente penalizzato i gruppi vicini al centro: il PPE è passato da 217 a 180 seggi (-37), mentre S&D è sceso da 187 a 146 (-41), favorendo invece quelli con posizioni più nette sull’Unione europea: da un lato ALDE (109 seggi, +41 dal 2014) e Verdi (69 seggi, +17 rispetto a 5 anni fa), decisamente europeisti, dall’altro gli euroscettici dell’ENF (58 seggi, un guadagno di 22) e dell’EFDD (che passa da 41 a 54 MEP). L’ECR ha perso invece 17 seggi (da 76 a 59), soprattutto per la performance deludente dei Conservatori britannici. Anche la sinistra di GUE/NGL esce ridimensionata, passando da 52 a 39 seggi.

 

Distribuzione dei seggi secondo i risultati provvisori (grafica: Lo Spiegone, fonte dati: Parlamento europeo)

 

Come già anticipato dai sondaggi pre-elettorali, PPE e S&D non hanno più i numeri necessari per formare una maggioranza in Parlamento e saranno dunque obbligati a cercare delle alleanze per ottenere i numeri necessari. Poiché Manfred Weber, Spitzenkandidat del PPE, ha già escluso un’alleanza con l’estrema destra, i liberali dell’ALDE sono il candidato più probabile. Secondo i dati provvisori del 27 maggio, un’alleanza PPE-S&D-ALDE garantirebbe alla maggioranza 435 seggi, tranquillamente al di sopra della soglia di 376.

I verdi, quarto gruppo con 69 voti, non staranno di certo a guardare. Forti delle conquiste storiche in diversi Stati membri, tra cui Germania e Finlandia, avranno un peso significativo nelle politiche ambientali della prossima Commissione.

Nonostante il declino dei gruppi storici, il controllo dell’Europarlamento resta saldamente in mano alle forze europeiste, anche se con toni e priorità differenti. Insieme, comunque, le forze euroscettiche controllerebbero circa un quinto dei seggi: una minoranza significativa, anche se al di sotto delle aspettative.

Affinché questa coalizione euroscettica possa consolidarsi, però, i partiti nazionali dovrebbero trovare una linea comune, fatto per nulla scontato. Gli appelli di Salvini finora hanno raccolto interesse, ma non troppo entusiasmo, soprattutto nei Paesi est-europei, che non vedono di buon occhio l’orientamento pro-Russia della Lega e del Rassemblement National francese.

Un nuovo Parlamento: cosa vuol dire per l’Europa?

Dai risultati fino ad ora descritti ciò che risulta chiaro è che l’Unione si trova ad affrontare una fase di mutamento dei propri equilibri e della propria configurazione che non deve essere però intesa in chiave necessariamente negativa.
Con le Europee del 2019, infatti, forse per la prima volta nella lunga e travagliata storia dell’integrazione si è potuto assistere allo sviluppo di un primo nucleo di dibattito politico prettamente europeo.

Ciò che è sempre stato criticato al PE è di essere un parlamento di secondo ordine che viene eletto tramite elezioni subordinate alle ottiche e alle contese nazionali. Per molti versi, queste elezioni non si sono smentite: si veda il caso della Grecia, dove Alexis Tsipras, superato da Nuova Democrazia alle europee, ha convocato elezioni anticipate, o l’Austria, che sta vivendo una crisi di governo. Nella stessa Italia, così come in Francia, il risultato delle elezioni ridefinisce equilibri politici e di governo nazionali. Dinamiche europee e nazionali, dunque, continuano ad essere profondamente intrecciate e interdipendenti. Allo stesso tempo, però, ci sono dei segnali di cambiamento.

Il dibattito politico che ha preceduto le elezioni, e che ha portato alla configurazione del Parlamento di cui abbiamo parlato, è stato, infatti, per la prima volta un dibattito che potremmo definire “europeo”. L’ascesa dei sovranisti, degli euroscettici, ma anche dei verdi, ha fatto sì che si sviluppasse in tutta Europa, e in tutti gli Stati membri, un dialogo che ha avuto al centro non – come molti erroneamente sostengono – l’esistenza o meno dell’Unione, quanto piuttosto diversi modi di interpretare l’Unione e la direzione che dovrà essere presa nei prossimi anni. Tutte le principali forze che hanno svolto un ruolo nella campagna elettorale si sono mosse all’interno dell’Unione, all’interno dei suoi meccanismi e con il chiaro intento di rispettare le “regole base del gioco europeo”.

Da una parte gli euroscettici hanno mostrato chiaramente – attraverso l’alleanza sovranista europea – la loro intenzione di modificare l’Unione rimanendovi all’interno, al fine di orientare l’integrazione in senso intergovernativo, dando più potere ai singoli Stati, senza però prescindere dall’esistenza della stessa comunità; dall’altra i verdi e l’ALDE hanno portato avanti tematiche che difficilmente potrebbero essere comprese e realizzate se venissero racchiuse in ottica nazionale, ma che hanno avuto successo proprio perché adottate in chiave transnazionale e perché sono poste come obiettivo da raggiungere a livello europeo.

L’europeizzazione del dibattito, inoltre, ha in qualche modo coinvolto anche i gruppi più “stabili” del PE, che si sono trovati a doversi confrontare con un reale avversario politico contro cui è stato necessario strutturare e far valere le proprie idee sull’integrazione. Così, nonostante siano numericamente indeboliti, anche in questi ultimi il mutamento in corso ha prodotto degli effetti in qualche modo positivi, che si sono esplicitati nella necessità di porsi come estremi baluardi dell’“europeismo” e che, molto probabilmente, definiranno le scelte e le alleanza all’interno del nuovo Parlamento.

Ed è proprio questo nuovo Parlamento che potrebbe essere il primo beneficiario del mutato scenario politico europeo. Con la nascita di un vero dibattito e “scontro” al suo interno, potrebbe diventare l’istituzione rappresentativa di cui l’Unione sembra aver bisogno, anche se sicuramente ulteriori meccanismi dovranno essere adottati al fine di aumentarne i poteri decisionali e legislativi.

Certo è, comunque, che nei prossimi cinque anni al suo interno si svilupperà una dialettica tra fazioni opposte che si troveranno a doversi confrontare su temi che non riguarderanno più solamente il ruolo di Italia, Francia, Germania, Polonia in Europa, ma che influenzerà il futuro dell’Unione e il ruolo nel contesto internazionale. Questo confronto potrebbe avere due esiti: la fine del progetto di unione politica sovranazionale, con lo svilupparsi di un’Europa intergovernativa, o la nascita di una vera e propria Unione Europea, in cui il dibattito politico tra opposte ideologie può servire da carburante per la crescita a livello sovranazionale.

 

 

Copertina di Agnese Argondizza.

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