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Deforestazione in Brasile: la responsabilità dei fondi pensione

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Nel nostro precedente articolo, abbiamo parlato dell’espansione della soia in Brasile e del ruolo fondamentale dell’aumento del consumo di carne in questo processo, in particolare di quello cinese.  Oltre all’utilizzo della soia come mangime animale (circa il 75% della soia coltivata), questo legume è importante per altre innumerevoli filiere produttive: da carburanti, a oli e prodotti alimentari, fino a prodotti di cosmesi.

Gli interessi economici che ruotano attorno alla soia sono quindi enormi, e il sistema di attori (agricoltori, agroindustrie, investitori) attorno alla sua produzione è estremamente complesso. In Brasile, tali interessi  sono cresciuti nel tempo a spese di due territori diversi, entrambi importantissimi globalmente, sia per la stabilità del clima e la biodiversità che per la presenza di popolazioni indigene che hanno protetto queste regioni per generazioni. I territori in questione sono la foresta pluviale dell’Amazzonia, nella parte Nord del Brasile, e la savana del Cerrado, nella parte Sud-Est del Paese.

Un pericolo non solo per l’Amazzonia

Il Cerrado – sebbene meno citato della foresta amazzonica – è un territorio vastissimo che ospita il 5% della biodiversità mondiale. Inoltre, anche se appare molto più arido e brullo, il suo profondo sistema di radici agisce da serbatoio di carbonio ed è quindi importante per la stabilità climatica.

Oggi, nel Cerrado, rimane solamente il 55% della vegetazione nativa, mentre in Amazzonia se n’è salvato l’82%. Tale vantaggio è dovuto principalmente al Forest Code, che regola la percentuale di vegetazione nativa (chiamata Legal Reserve) da mantenere in ogni proprietà privata (inclusi campi agricoli): 20% nel Cerrado, 80% in Amazzonia, e 35% nell’area di transizione tra le due zone. Quest’ultima zona di transizione comprende la cosiddetta “regione di Matopiba“, l’ultima frontiera delle coltivazioni di soia dove oggi si concentrano ingenti investimenti agricoli provenienti da diversi Paesi del mondo.

Nonostante il Forest Code e la presenza di aree riservate alle popolazioni indigene, finora, siano riusciti a tutelare la Foresta Amazzonica, i piani politici di Bolsonaro minacciano questa protezione. In seguito alla sua propaganda elettorale e alla sua elezione nel 2018, la deforestazione e gli episodi di land grabbing in Amazzonia sono aumentati del 50%.

Infatti, le violenze dei cosiddetti “grileiros” – criminali locali che occupano con la forza centinaia (o anche migliaia) di ettari – sono state alimentate dalle promesse elettorali di Bolsonaro. Attratti dai piani di “sviluppo” per il Paese e considerati come possibili acquirenti delle terre acquisite illegalmente dai grileiros, i grandi investitori e le agroindustrie hanno intensificato le operazioni di land grabbing – in modo diretto o meno.

I piani di Bolsonaro sono, perciò, legati a interessi provenienti da ogni parte del mondo, che però hanno impatti negativi locali sia dal punto di vista ambientale che sociale. In Brasile, infatti, sono 10 gli investitori esteri che possiedono il controllo di circa 1 milione e mezzo di ettari di terreni agricoli e sono responsabili della deforestazione di almeno 423.000 ettari dal 2000 (considerando solo la regione di Matopiba).

Tra questi investitori, troviamo TIAA-CREF, un’agenzia statunitense d’investimento che gestisce anche fondi pensione, i fondi di dotazione di Harvard, e società d’investimento canadesi come la Brookfield. Ci sono anche investitori argentini, giapponesi e britannici che possiedono vasti territori, e a ognuno di essi sono associati ettari di deforestazione.

Il destino di vasti territori sia nel Cerrado che nella Foresta Amazzonica è, perciò, determinato in gran parte da questi investitori esteri, sia direttamente – canalizzando capitale nell’agricoltura brasiliana e controllando quindi come questi territori vengano amministrati – sia indirettamente – come dimostrato dal land grabbing dei grileiros, fiduciosi di vendere i loro campi rubati a popolazioni locali o deforestati illegalmente.

 

Terreni agricoli come beni finanziari

L’interesse di questi grandi investitori nell’agricoltura si è intensificato a seguito della crisi finanziaria del 2007-2008, portando a un processo di conversione dei terreni in veri e propri “beni finanziari materializzati”. In Brasile, in particolare, gli investimenti si sono concentrati nel Cerrado e nella regione di Matopiba, principalmente a causa della regolamentazione meno severa del Forest Code.

I grandi investitori hanno visto nei terreni agricoli una buona opportunità di investimento a causa dell’aumento della domanda di cibo per la popolazione mondiale in crescita, e a causa del crescente consumo pro-capite di carne – per cui un aumento della produzione di mangimi ricchi di proteine, come la soia, è necessario.

Inoltre, tali investitori esteri si sono sempre più orientati verso una strategia di acquisto diretto di terreni agricoli brasiliani, costruendo complesse strutture di filiali locali per controllare direttamente i loro possedimenti, e facendo così apparire i loro investimenti più locali di quanto in realtà non siano. Le imprese pensionistiche sono tra i principali attori coinvolti in questo processo di “finanziarizzazione” e tra i principali attori legati al land grabbing.

 

Fondi pensione europei, land grabbing e deforestazione

Una delle modalità principali attraverso cui i fondi pensione investono nei terreni brasiliani sono i cosiddetti “fondi agricoli”, ovvero fondi d’investimento unicamente indirizzati a campi e produzione agricola. In Brasile, i due più importanti fondi agricoli usati dai fondi pensione sono TIAA-CREF Global Agriculture I e II (più comunemente conosciuti come TCGA I e II), fondati nel 2012 dall’omonima agenzia statunitense.

In questi due fondi agricoli investono capitale non solo fondi pensione dagli Stati Uniti, ma da tutto il mondo, soprattutto dai Paesi europei (Svezia, Paesi Bassi, Germania e Regno Unito). Solamente il fondo pensione svedese (AP2) possiede il 23% del primo fondo agricolo e 25% del secondo. Secondo i report di sostenibilità di TIAA-CREF e AP2, entrambi garantiscono la trasparenza dei loro investimenti, promuovendo sostenibilità ambientale e il rispetto dei diritti delle popolazioni e dei lavoratori. Inoltre, sono gli unici investitori in Brasile ad avere in atto una politica di deforestazione zero.

Tuttavia, quest’unica politica di deforestazione mira a eliminare solamente la deforestazione illegale, rifiutando di acquistare terreni deforestati recentemente. Nessun accenno però allo stop della deforestazione legale, ovvero permessa nei limiti del Forest Code. Inoltre, almeno tre campi agricoli di loro proprietà sono stati acquistati da uno dei più grandi land grabbers brasiliani, Euclide De Carli. Secondo le testimonianze raccolte da due ong, Fian International e Grain, le popolazioni che vivono ai confini delle loro proprietà hanno infatti denunciato di essere stati forzati a lasciare le loro terre, e soffrono ora di scarsità d’acqua e malattie dovute al pesante uso di pesticidi e di sostanze chimiche per le coltivazioni.

 

Necessità di investimenti agricoli sostenibili nei paesi in via di sviluppo

Risulta quindi evidente il divario tra le dichiarazioni di sostenibilità e responsabilità d’investimento dei fondi pensione e i loro effettivi impatti ambientali e sociali a livello locale. Questi attori finanziari hanno il potere di influenzare direttamente deforestazione e land grabbing, e il livello di responsabilità che hanno si riflette in tutte le loro enormi e complesse filiali. Una maggiore responsabilità da parte loro potrebbe, quindi, avere effetti positivi su larga scala in termini di cambiamenti climatici, sicurezza alimentare e giustizia sociale.

Paesi in via di sviluppo come il Brasile offrono le proprie risorse – quali la soia e altri prodotti agricoli (ma non solo) – a grandi investitori esteri nella speranza di maggiore benessere economico e prosperità. Sarebbe, perciò, auspicabile che i flussi di capitale finanziario che circolano attorno a queste risorse iniziassero a creare reale sviluppo a livello locale, e non più solo profitti per alimentare il sistema di circolazione del capitale stesso. 

 

 

Fonti e approfondimenti

Grain, “Foreign pension funds and land grabbing in Brazil”, novembre 2015

Grain, “The global farmland grab by pension funds needs to stop”, 13 novembre 2018

Grain, Bread for the World, Comissão Pastoral da Terra, Development and Peace, Aidenvironment, FIAN, “Transnational corporations and land speculation in Brazil”, 2018

Chain Reaction Research, “Foreign Farmland Investors in Brazil Linked to 423,000 Hectares of Deforestation”, 17 dicembre 2018

Marta Gatti, “Diritto alla terra negato in Brasile”, Osservatorio Diritti, 10 aprile 2017

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