Site icon Lo Spiegone

Macron, secondo atto: la politica estera ed europea

politica estera di Macron

@Mathieu Cugnot Fonte: European Parliament Multimedia Centre

Rafforzare la leadership francese attraverso la dimensione europea: questa la missione di Macron fuori dal Paese, attraverso un “rinascimento europeo” che si traduca in approfondimenti del progetto comunitario. Per ora un progetto in cantiere, un processo salutato dall’esito positivo per il fronte europeista e per i liberali di Renew Europe (ALDE+En Marche) delle elezioni europee, maappro che vede nella formazione della nuova Commissione, nella stagione di riforme interne alla Francia e negli assetti dell’asse franco-tedesco a seguito della successione di Angela Merkel le sue prossime tappe fondamentali.

Dalla grandeur francese alla grandeur europea

Forse Frans Timmermans ha centrato perfettamente la questione dimensionale delle sfide che attendono Macron quando ha affermato “Esistono due tipi di Paesi in Europa: quelli piccoli e quelli che ancora non si sono accorti di essere piccoli”. Il senso di grandezza francese si scontra con il fatto che la Francia non sia più una superpotenza, ma proprio dalle riflessioni dello stesso Macron sul “vuoto strategico” lasciato dagli Stati Uniti emerge la risposta ai dubbi organizzativi del presidente francese, consapevole di poter trovare una grandeur francese solo in una grandeur europea.

A fronte di una presidenza come quella di Trump, Macron sta cercando di rafforzare la leadership francese attraverso un rinvigorimento del progetto europeo. Ovviamente consapevole della non sostituibilità francese al potere americano, il presidente è comunque tra i più attivi fautori del riempimento del vuoto che gli Stati Uniti stanno lasciando. Il tutto con una sostanziale differenza rispetto all’interlocutore europeo delle scorse amministrazioni americane: la Germania.
Infatti – a differenza della Merkel, che ha sottolineato l’”inaffidabilità statunitense” – Macron non ha mai premuto per una netta rottura dei rapporti con Washington, limitandosi caso per caso a contrapporre la propria visione su determinati dossier, ad esempio quello climatico.

In un discorso durante la campagna elettorale per le europee, il capo dell’Eliseo ha indicato la propria visione riguardo il ruolo internazionale della Francia:

“A tutti coloro che sono abituati a soluzioni che provengono dall’altra sponda dell’Atlantico per i propri problemi, faccio notare che siamo davanti a un cambiamento epocale nella politica estera statunitense. L’alleanza con gli U.S.A. rimane fondamentale su un livello strategico, operativo e di intelligence… ma per adesso gli americani sembrano volersi concentrare su loro stessi. L’imprevedibilità dell’azione esterna di Washington sta mettendo in discussione molti presupposti che davamo per scontati, ma parallelamente sta lasciando scoperti molti fronti in Europa, in Medioriente e in Asia. Dunque, è responsabilità francese ed europea intervenire dove sono in gioco nostri interessi e trovare partner pronti a lavorare per sostituire a caos e violenza pace e stabilità.”

Il tesoretto delle nomine europee

Renew Europe, il gruppo politico europeo formato dai liberali dell’ALDE e da La République en Marche, è stato tra i soggetti politici più in vista alle elezioni di maggio. Buona parte dell’aumento di seggi dei liberali è dovuto a Macron, il quale ha già iniziato a riscuotere il credito politico del successo elettorale.

Macron si è presentato al negoziato sulle nomine europee con obiettivi chiari e può dirsi soddisfatto della designazione della nuova leadership europea. Innanzitutto, il presidente francese sapeva benissimo cosa non volesse: Manfred Weber a capo della Commissione, con il suo approccio ambiguo nei confronti degli euroscettici dell’Europa dell’est. La fine dello Spitzenkandidat coincide, parallelamente, con l’affermazione dei liberali e di Macron quali ago della bilancia nella nuova maggioranza.
Ursula von der Leyen rappresenta l’ideale guida dell’esecutivo europeo nell’ottica francese, specie per la propria apertura a un processo di riforma UE che vada a rivedere ambiti come la politica industriale, la difesa e la lotta al cambiamento climatico.
Con la nomina del belga Charles Michel alla Presidenza del Consiglio europeo assistiamo alla nuova leadership “francofona”, che il presidente saprà far fruttare comunicativamente nei confronti dei propri elettori.
Anche la nuova presidente della Commissione è una fluente francofona, ma la sua cittadinanza tedesca fa della von der Leyen un perfetto mezzo di contatto francese verso il panorama politico tedesco.

Infine, il maggior successo del post-elezioni è arrivato con la decisione di nominare Christine Lagarde alla testa della Banca Centrale Europea. Nonostante le iniziali critiche sulla sua formazione, non strettamente economica, c’è da sottolineare in primis il saluto positivo dei mercati alla notizia, ma soprattutto il prestigio di cui godel’ex capo del Fondo Monetario Internazionale presso i principali governi europei. Nell’ottica di riformare la politica economica dei Paesi dell’eurozona, dossier sul quale Parigi punta molto, la presenza di Christine Lagarde alla BCE sarà particolarmente vantaggiosa per Macron.

Prospettive e problemi di una difesa europea

Uno dei punti centrali della visione europea di Macron è senza dubbio la costruzione di una difesa europea. Il settore della difesa è al centro degli interessi di diversi attori. Gli sviluppi della Pesco, del Fondo Europeo per la Difesa e della Coordinated Annual Review of Defence (CARD) così come le “coalizioni di volenterosi” – fuori dal quadro UE, fortemente sponsorizzate dai francesi – della l’European Intervention Initiative (E2I) dimostrano che a livello continentale vi è una volontà di sviluppare un’industria autonoma e, progressivamente, capacità operative congiunte.

Ovviamente, sussistono attriti tra Paesi europei, dovuti ad esempio alla posizione di terzo e quarto esportatore mondiale d’armamenti di Francia e Germania. A tal proposito, è indicativa la posizione dei due Paesi verso l’Arabia Saudita, con Parigi che vede in Riyadh un partner commerciale fondamentale per la propria industria bellica e Berlino che ha bloccato l’export in seguito allo scandalo Khashoggi e agli sviluppi della situazione yemenita.
Ma lo sviluppo di un’industria bellica europea rafforzerebbe la posizione di competitor con gli Stati Uniti e fomenterebbe le tensioni con l’altra sponda dell’Atlantico, soprattutto sotto il profilo della dotazione di armamenti di produzione europea (francese in primis).
Simbolica la dichiarazione del ministro della Difesa francese Florence Parly, che lo scorso marzo, sottolineando come i meccanismi di mutua difesa insiti nel funzionamento della NATO non comportino automaticamente una dipendenza da forniture statunitensi, ha dichiarato: “Si chiama Articolo 5, non Articolo F-35”.

Una posizione europea sulla Libia a patto di un passo indietro di Parigi

Parallelamente a grandi progetti a guida francese, Parigi dovrebbe comprendere che su alcuni dossier la miglior iniziativa è fare un passo indietro. Un’Unione europea più coesa sul dossier Libia rappresenterebbe, infatti, un passo avanti verso una soluzione del caos al confine europeo. La formazione di una posizione comune riguardo de-escalation, pacificazione e transizione politica tra Regno Unito, Germania e Italia necessita, tuttavia, di un ultimo partner: la Francia.

Il coordinamento di Parigi con i tre partner europei rappresenta una soluzione tanto necessaria quanto naturale, data l’importanza dell’attore nel teatro libico e data la sempre maggior chiarezza che il supporto ad Haftar non rappresenti una prospettiva sostenibile per le sorti del Paese nordafricano. Inoltre, una posizione comune e coerente tra attori europei potrebbe comportare un incoraggiamento più vigoroso verso gli Stati Uniti a impegnarsi in un processo di stabilizzazione, soprattutto alla luce dei rischi legati alla stabilità dei mercati energetici e al terrorismo in un clima strutturalmente instabile.
Ovviamente le difficoltà insite nell’approccio unitario sono svariate, ma d’altra parte l’esperienza degli ultimi anni sancisce il fallimento dell’approccio disomogeneo tra Paesi europei e dimostra come l’unità d’azione sia l’unica prospettiva rimasta, pena l’irrilevanza nelle dinamiche libiche e il rischio di conseguenze economiche, umanitarie e politiche insite nella destabilizazione del Paese.

Fonti e approfondimenti

Tarek Megerisi, Waiting for France: The missing member of Europe’s coalition on Libya, European Council on Foreign Relations, 18/04/2019.

Federica Saini Fasanotti and Ben Fishman, How France and Italy’s Rivalry Is Hurting Libya, Foreign Affairs, 31/10/2018.

Alina Polyakova and Benjamin Haddad, Europe Alone, Foreign Affairs, luglio-agosto 2019.

Alessandro Marrone, Paola Sartori, Recenti sviluppi verso la difesa europea: opportunità e sfide per l’Italia, Istituto Affari Internazionali, gennaio 2019.

Jean-Pierre Darnis, Italia-Francia: finita la crisi, restano i problemi, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, 21/02/2019.

Mujtaba Rahman, Brussels horse-trading is a win for Macron, Politico.eu, 03/07/2019.

Exit mobile version